Un sorso di Balcani
Grande successo all’ultima edizione di Vinitaly a Verona per la Cooperativa Vitivinicola Vino Daorson, la prima cantina sociale bosniaca, creata a Stolac, Bosnia Erzegovina, grazie al sostegno italiano
All’ultima edizione di Vinitaly, tra le più importanti fiere mondiali del settore, svoltasi dal 7 all’11 aprile scorsi a Verona, addetti ai lavori e stampa hanno potuto degustare “un sorso di Balcani”. Grazie all’ospitalità nello stand della cantina umbra Arnaldo Caprai, il 9 aprile è stato infatti presentato il vino Pinnes, prodotto dalla Cooperativa Vino Daorson, la prima cantina sociale in Bosnia Erzegovina nata sul modello italiano.
15 ettari
La cooperativa è stata fondata a Stolac, nella regione dell’Erzegovina, nel giugno 2010, nell’ambito del progetto “Tutela e valorizzazione del prodotti agricoli tradizionali di pregio”, promosso dalle ONG italiane Oxfam Italia e CEFA con il supporto del ministero degli Esteri italiano.
Obiettivo del progetto è quello di sostenere le produzioni di pregio della regione dell’Erzegovina, area tradizionalmente vocata all’agricoltura, con particolare attenzione ai piccoli e piccolissimi produttori che operano nei settori caseario e apistico, di cui si occupa Oxfam Italia, e vitivinicolo, di cui è responsabile CEFA.
Negli ultimi due anni, grazie al sostegno del progetto, sono stati impiantati o ricostruiti 15 ettari di vigneti, nelle zone di Stolac, Buna e Bjelo Polje, in prevalenza su terreni già destinati in passato alla produzione vitivinicola, ma che erano stati distrutti o abbandonati durante il conflitto degli anni ’90.
La cooperativa, che prende il nome da un’antica città Illirica situata nei pressi di Stolac, riunisce oggi otto soci, ma conta di ampliarsi ulteriormente. Il nome del vino deriva dal fatto che a Daorson è stato ritrovato un elmo da guerra illirico forato da un colpo di lancia o di spada con il nome Pinnes inciso sopra, presumibilmente quello del soldato che lo indossava. Con questi nomi, quindi, i soci hanno voluto dimostrare il forte legame con il proprio territorio.
La prima vendemmia
Con la vendemmia del 2010 sono stati prodotti circa 19.000 litri di vino, di due varietà autoctone, Žilavka (bianco) e Blatina (rosso). Di questi, circa 4-5.000 litri di seconda qualità andranno venduti come sfuso, mentre il vino di prima qualità verrà imbottigliato, con una produzione di circa 12.000 bottiglie di bianco e 3.000 di rosso.
Il mercato verso cui si è orientata la cooperativa è quello bosniaco, ma la partecipazione a Vinitaly ha favorito anche i contatti commerciali per l’importazione in Italia. Il risultato della presentazione alla rassegna veronese è stato infatti ottimo. “Un successo inaspettato”, afferma Alberto Moia, il cooperante esperto vitivinicolo di CEFA che ha contribuito negli ultimi tre anni alla nascita della cooperativa.
Un esito inatteso se si pensa che quella del 2010 è stata la prima vendemmia per questa realtà appena nata: la cantina, localizzata a Stolac, è stata infatti attrezzata solamente nel giugno scorso. “Il progetto”, come ci spiega Moia “è stato molto impegnativo, perché siamo partiti da zero: avevamo i beneficiari teorici, individuati un anno e mezzo prima che cominciasse l’intervento, ma in un anno e mezzo le cose cambiano, la gente ha altri progetti”.
Gli sforzi sono stati quindi notevoli, lavorando oltretutto in un settore come quello vitivinicolo “che richiede molto tempo, grossi investimenti, un processo di lavorazione complesso, un processo commerciale molto lungo”.
Non solo simpatici
Come ci dice ancora Alberto Moia, la Cooperativa Vino Daorson ha suscitato interesse perché “è diventata un po’ una curiosità del Vinitaly, perché quando sono uscite le prime agenzie stampa che dicevano che c’era una cantina bosniaca, creata grazie ad un progetto di solidarietà, siamo diventati simpatici”.
La nascita della cooperativa ha un alto valore sia per quanto riguarda l’aspetto sociale, sia per la rinascita economica dell’Erzegovina. In un territorio come quello di Stolac, pesantemente colpito dalle violenze dell’ultimo conflitto, il progetto è riuscito a riunire piccoli produttori al di là della loro appartenenza nazionale. “Io sono bosgnacco, ci sono sei croati e un serbo”, ci dice infatti Alija Lizde, il direttore della cooperativa, “e questo è molto interessante. Loro hanno scelto me come direttore. La Bosnia è anche questo”.
In una situazione di difficoltà generale per lo sviluppo delle attività agricole nel Paese anche il settore vitivinicolo stenta a riprendersi dai danni causati dalla guerra, a causa del limitato accesso a finanziamenti, alla scarsa disponibilità di attrezzature moderne e alla mancanza di politiche adeguate. Il progetto ha quindi offerto nuove opportunità a piccoli e piccolissimi produttori, che non avrebbero altrimenti la possibilità di vinificare in proprio e che in passato erano costretti a vendere l’uva alle poche grandi aziende esistenti, a condizioni sfavorevoli.
Anche chi riusciva a produrre vino, come Marinko Bosković, uno dei soci della cooperativa, incontrava poi difficoltà nella vendita: “Avevo una produzione di 7-8.000 litri, da solo non ce la facevo a entrare nel mercato”.
Ma l’apprezzamento per i vini presentati è andato anche al di là della semplice simpatia o dell’attenzione agli aspetti etici del progetto: alla cooperativa e ai suoi vini hanno dedicato diversi articoli sia i media italiani che quelli stranieri, fino addirittura al Qatar Tribune. Nel suo Speciale Vinitaly, l’Espresso ha inserito lo Žilavka tra i “10 vini da non perdere” segnalati dal sommelier Luca Gardini.
Il merito di questo successo va anche al fatto che, come ci dice Alberto Moia, “fin dall’inizio i soci della cooperativa sono sempre stati convinti di voler puntare al vino di qualità”. Lo conferma anche il direttore della cooperativa Alija Lizde: “Dobbiamo fare un vino di qualità per avere un buon mercato. Tutti siamo d’accordo su questo. Faremo vino di qualità affinché arrivi sul mercato e sia riconosciuto”.
Un sostegno in questa direzione è arrivato anche dal coinvolgimento di diversi soggetti italiani nel progetto. Durante i tre mesi e mezzo della vendemmia il giovane tecnico della cooperativa, Nedim Marić, è stato affiancato da un enologo italiano, Lorenzo Mazzucconi. Leonardo Valenti, della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano, ha inoltre fornito consulenza tecnica durante tutta la durata del progetto. Ed è proprio tramite Valenti che la cooperativa bosniaca è entrata in contatto con la Cantina Arnaldo Caprai, una delle realtà più importanti nel panorama italiano, che ha ospitato gratis nel proprio stand il Pinnes, oltre a fornire assistenza tecnica e un appoggio durante la vendemmia, facendo le analisi dei vini nei propri laboratori.
“Attorno al progetto”, ci spiega Moia, “si è creato un interesse “disinteressato” da parte di altre persone, per esempio quelli che ci hanno fornito i macchinari. A un certo punto hanno preso a cuore quest’idea di creare la prima cantina sociale di Bosnia, per cui oltre a procurarci i macchinari a condizioni estremamente vantaggiose, ci hanno aiutato concretamente in modo volontario, venendo loro a fare i lavori, mandando altre persone e inviandoci materiali gratuiti”.
La sfida per il futuro è quella di consolidare i risultati raggiunti fino a ora, prima di tutto facendo conoscere e apprezzare il vino della Cooperativa Vitivinicola Vino Daorson sul territorio stesso della Bosnia Erzegovina. Dal 31 ottobre prossimo, infatti, il supporto da parte del progetto di CEFA e Oxfam Italia terminerà e la cooperativa dovrà continuare a camminare solamente con le proprie gambe.