Elezioni in Albania: verso sinistra
L’asse politico si sposta verso sinistra. È questo l’esito delle amministrative albanesi di domenica 8 maggio che vedono in calo il partito del premier Berisha. Manca però ancora il dato importante della capitale. Polemiche per i ritardi nello scrutinio
Lo scorso 8 maggio in Albania si sono svolte le elezioni amministrative. Diversamente da quanto si temeva, durante la giornata si sono verificati solo pochi incidenti di scarsa importanza, in zone isolate, e gli albanesi non hanno denunciato pressioni o irregolarità particolari. Il 50.9% degli aventi diritto si è recato alle urne, segnando la massima partecipazione nazionale a Kukes col 66,9% e la minore a Tirana col 38,1%.
Le elezioni di domenica scorsa hanno segnato un notevole miglioramento rispetto alle consultazioni elettorali precedenti. Non si può dire lo stesso però del processo di scrutinio, che come sempre rimane lungo e farraginoso, in particolar modo nelle zone più decisive, tra cui Tirana.
Testa a testa per Tirana
Nonostante siano passati ben 5 giorni, non è ancora chiaro chi sarà il sindaco di Tirana per i prossimi 4 anni. Si tratta di un duro testa a testa tra Edi Rama, il sindaco uscente, e leader del Partito Socialista, e Lulzim Basha, ex ministro degli Interni, delfino di Sali Berisha nelle fila del Partito Democratico. I risultati cambiano di ora in ora. È invece fuori discussione il candidato del Partito Comunista, Hysni Milloshi, i cui voti lo escludono dalla gara con Rama e Basha.
Se nel resto del Paese durante lo scrutinio dei voti non si sono verificati gravi incidenti, il lento spoglio nella capitale ha fatto sì che più volte si animassero dibattiti e accuse reciproche tra le parti. Difficile prevedere quale candidato avrà la meglio, e tanto meno si può prevedere come cambierà la scena politica albanese in seguito. Le tensioni degli ultimi giorni, la solita violenza verbale tra le parti, lasciano pensare che, come in passato, anche in queste elezioni mancherà la cosiddetta cultura della sconfitta, e il perdente finirà per accusare l’avversario di brogli.
Qualche analista di Tirana non esita a prevedere nuovi disordini, e nuove crisi, che la parte perdente, qualunque essa sia, avrà intenzione di alimentare. A Tirana si decide sul futuro politico dei grandi partiti albanesi, sul rafforzamento di uno dei due e sull’indebolimento dell’altro. La sconfitta a Tirana sarebbe un durissimo colpo per Edi Rama, probabilmente tanto forte da delegittimare anche la sua posizione all’interno del PS. Le divisioni all’interno del partito si rafforzerebbero, e probabilmente si andrebbe verso una nuova riformulazione della sinistra albanese.
Edi Rama si candida per la quarta volta a sindaco della capitale. A capo del Partito Socialista dal 2005, è diventato uno dei tanti leader irremovibili in Albania, ma anche uno di quelli che iniziano a perdere punti presso un elettorato più maturo rispetto al passato. A concorrere con Rama è Lulzim Basha, ministro e uomo politico il cui nome risulta in diversi affari poco chiari pubblicati dai media albanesi negli ultimi anni. Non da ultimo, era il ministro degli Interni durante i disordini di inizio anno, e di conseguenza ha avuto un’enorme responsabilità nella violenza sproporzionata esercitata da parte delle forze dell’ordine sui manifestanti (provocando la morte di ben 4 persone) lo scorso 21 gennaio. I curricula piuttosto problematici e lo scontento degli albanesi nei confronti di entrambi hanno probabilmente determinato la scarsa affluenza alle urne.
Sorpresa e consuetudine
Mentre gli albanesi scommettono sul prossimo sindaco di Tirana, nel resto del Paese lo scrutinio è finito e le sorprese sono state numerose. Come consuetudine, la sinistra ha ottenuto più voti nelle zone urbane e la destra è stata più votata in quelle periferiche e rurali. A Himara ha sorpreso la sconfitta di Vasil Bollano, il politico grecofono che ha animato varie tensioni tra greci e albanesi al sud del Paese, e l’elezione di Gjergj Goro candidato albanofono del Partito Socialista.
Un duro colpo per il Partito Democratico del premier Berisha è stata la perdita di alcuni dei suoi bastioni, tra cui anche Kavaja, la zona elettorale dove il leader del PD viene eletto puntualmente a ogni mandato. Rimangono invece fedeli al premier la sua regione d’origine con capoluogo Kukes, e le provincie di Scutari e Lezha. In molti avevano scommesso una perdita dei bastioni storici del Partito Socialista, quali Fier, Valona e Korça, amministrate per più di due legislature dagli stessi uomini politici, altri irremovibili che hanno provocato enorme scontento presso la cittadinanza a causa delle promesse non mantenute e del cosiddetto processo di “cementizzazione e ruralizzazione” delle città. Ma l’elettorato sembra aver preferito punire il governo Berisha e rieleggere gli stessi leader.
L’Albania che verrà
All’indomani delle amministrative dell’8 maggio, l’Albania è un Paese spostato a sinistra. Un fenomeno che va attribuito all’intenzione di voler punire l’attuale governo Berisha, piuttosto che la dimostrazione di un’attrazione per la sinistra albanese, che giace in una crisi di valori e di monopolizzazione del potere all’interno del partito dalle stesse personalità storiche. Tale punto di vista è apparso chiaro in ciò che i media di Tirana hanno portato sugli schermi degli albanesi negli ultimi giorni. I cittadini indignati e delusi affermavano la loro diffidenza nei confronti di entrambi i poli della politica albanese. Nei social network in molti hanno invece chiesto di protestare votando in bianco o semplicemente di boicottare le elezioni in mancanza di alternative valide.
Una volta determinato chi governerà la capitale nei prossimi quattro anni, saranno chiare anche le conseguenze e i cambiamenti che l’8 maggio ha segnato nella politica albanese. Intanto la calma con cui gli albanesi hanno affrontato le elezioni, e il principio di punizione che li ha guidati, dimostrano chiaramente la voglia di normalità e la maturità che caratterizza la cittadinanza a differenza della logorata classe politica. Dello stesso parere anche i numerosi osservatori internazionali, che definiscono le elezioni come normali, ma condannano la lentezza dello scrutinio nelle zone più importanti.