Le reazioni in BiH all’arresto di Mladić
Una rassegna non esaustiva sulle reazioni di media e istituzioni della Bosnia Erzegovina alla notizia dell’arresto di Ratko Mladić
Tutti i media bosniaci in questi giorni hanno dato ampio spazio alla notizia dell’arresto di Ratko Mladić, commentandone però il significato da prospettive diverse. Nella giornata di giovedì, la televisione della Federacija BH, FTV, e il canale nazionale BHT1 hanno subito mandato in onda una diretta speciale ripercorrendo i crimini di cui Mladić è accusato attraverso testimonianze e immagini d’archivio, con interviste in studio e interventi telefonici in diretta (tra gli altri del rappresentante croato della presidenza bosniaca, Željko Komšić, e del generale dell’esercito bosniaco Jovan Divijak da Vienna). La televisione della Republika Srpska, TVRS, dopo la conferenza stampa di Tadić ha invece mandato in onda un servizio sull’agricoltura biologica. Solo a seguire, una ricostruzione della vita di Mladić con interviste ad amici, parenti e commilitoni, che mostrava l’immagine di un patriota e soldato valoroso. Alcuni spezzoni mostravano un Mladić che rimproverava un ufficiale per essere stato troppo duro con i prigionieri, e un’intervista in cui il generale sosteneva di non aver fatto altro che difendere la nazione serba.
I politici della Federazione
L’arresto sarebbe avvenuto grazie alla collaborazione tra i servizi di sicurezza della Bosnia Erzegovina e le autorità serbe. Lo ha dichiarato il ministro della Sicurezza bosniaco, Sadik Ahmetović, durante una conferenza stampa tenuta a Sarajevo dopo la cattura del latitante, e ripresa dal media elettronico BIRN. Ahmetović ha poi aggiunto che l’arresto di Mladić rappresenta “l’evento più importante nella storia del dopoguerra nei Balcani”.
La notizia della collaborazione tra Bosnia Erzegovina e Serbia è stata ripetuta anche da Bakir Izetbegović, rappresentante bosgnacco della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, che ha aggiunto che “la giustizia è lenta ma inevitabile. Questo arresto offre speranze per l’accertamento della verità e incoraggia la fiducia a livello regionale.”
Il rappresentante croato della presidenza, Željko Komšić, ha invece dichiarato di essere “estremamente contento che l’arresto sia avvenuto, che Mladić sarà processato e interrogato sulle atrocità commesse in territorio bosniaco e in particolare per il genocidio commesso a Srebrenica.”
Secondo Komšić le autorità serbe sapevano dove si trovava Mladić, così come hanno sempre saputo dove si trovasse Radovan Karadžić, e che “entrambi sono serviti come moneta di scambio nei negoziati con l’Unione Europea.”
RS
Secondo il presidente della Republika Srpska (RS), Milorad Dodik, l’arresto di Mladić rappresenta l’adempimento di obblighi internazionali contratti con i Trattati di Pace di Dayton. In un comunicato stampa il presidente della RS si è augurato che Ratko Mladić “abbia un processo equo, con tutte le garanzie previste dalle convenzioni sui diritti umani.” Dodik ha aggiunto che la RS “non difenderà mai chi si sia macchiato di crimini di guerra”, e ha espresso la speranza che “Atif Dudaković, Naser Orić e altri ufficiali del ‘cosiddetto Esercito della Bosnia Erzegovina’ [Armija BiH, ndr] siano condotti di fronte alla giustizia, per costruire la necessaria fiducia in Bosnia.”
Il Primo ministro della RS, Aleksandar Džombić, ha dichiarato di essere certo che Mladić avrà la possibilità di presentare la propria versione dei fatti, aggiungendo che la Serbia, i serbi e la RS non dovrebbero essere tenuti in ostaggio da chi ha commesso crimini. “Nessuno dovrebbe esultare per questo arresto. Al contrario, tutti dovrebbero adempiere ai propri obblighi relativi all’arresto di criminali di guerra, così che possano essere processati anche tutti i crimini compiuti contro il popolo serbo.”
Il direttore del Centro della RS per le indagini sui crimini di guerra, Janko Velimirović, ha dichiarato che le istituzioni della RS dovrebbero offrire il loro sostegno al team di difesa di Mladić all’Aja.Il concetto è stato ribadito da Pantelija Đurguz, presidente dell’organizzazione dei veterani della Republika Srpska “BORS”. L’organizzazione ha convocato per oggi alle 12.00 a Banja Luka una manifestazione di sostegno a Ratko Mladić. Il presidente della BORS ha dichiarato che obiettivo della manifestazione è creare un ambiente favorevole affinché le istituzioni della RS sostengano finanziariamente e in ogni modo possibile la difesa del generale.
Carta stampata
Nei giorni successivi l’attenzione dei media bosniaci si è concentrata sulle reazioni all’arresto, e in particolare sulle manifestazioni organizzate nel Paese e in Serbia. Oslobodjenje (29 maggio) ha dato grande rilievo alla notizia del raduno di più di un migliaio di persone (la BBC ha fornito un numero superiore, intorno alle 3.000 persone) nel paesino dove Mladić è nato, presso Kalinovik, organizzato sempre dalla BORS. Il quotidiano sarajevese ha riportato la cronaca, gli slogan lanciati nel corso della manifestazione e le immagini dei numerosi poster affissi con le scritte “Benvenuti al paese di Mladić”, “Siamo tutti Ratko” e “Avete preso la nostra aquila, ma il suo nido è sicuro”.
Nella stessa giornata il maggiore quotidiano bosniaco, Dnevni Avaz, ha aperto con l’immagine di una donna davanti ad una bara che veniva interrata, titolando: “La Bosnia Erzegovina seppellisce i morti, la Serbia festeggia i criminali”, unendo le due notizie di un funerale collettivo di vittime di guerra a Višegrad e della manifestazione dei radicali a Belgrado. Nezavisne novine invece, da Banja Luka, apriva nella stessa giornata con le dichiarazioni di Mladić: “Non c’entro con Srebrenica.”
Le parole pronunciate dall’ex generale anni fa a Sarajevo e Srebrenica sono state riprese in questi giorni da diversi media. Questi due luoghi pesano più di ogni altro nel lungo atto d’accusa stilato dai giudici dell’Aja, e su queste due città viene in questi giorni mantenuta l’attenzione. Tra i passaggi più citati ci sono la trascrizione del video del 28 maggio 1992 nel quale Mladić ordina all’artiglieria serbo-bosniaca di “bombardare Velušići [Velešići], e Pofalići” i quartieri [di Sarajevo] in cui “non ci sono serbi”, e di “far impazzire” gli abitanti della città, o le parole pronunciate di fronte a un cameraman serbo l’11 luglio 1995 in una Srebrenica deserta: “Eccoci nella Srebrenica serba […] questo è un dono per il popolo serbo […] questa è la rivincita contro i turchi”. Nei giorni successivi ci fu la strage.