Caucaso del sud: che dice l’UE?

Nell’ultimo mese, rappresentanti UE si sono occupati di Caucaso meridionale in più occasioni, ponendo frequentemente attenzione a questioni relative alla difesa dei diritti umani. Il quadro di un’Unione che cerca di esserci, senza immischiarsi nelle lotte politiche interne dei Paesi della regione

13/06/2011, Marilisa Lorusso -

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Catherine Ashton (European Parliament/Flickr)

Maggio 2011 è stato un mese che ha visto l’attenzione dell’Unione europea rivolta più volte al Caucaso meridionale. Un’attenzione che si articola su due piani: da un lato i tavoli di negoziazione permanente, dall’altro la reazione dell’UE alle situazioni contingenti. Cominciando da quest’ultime, l’alto rappresentante per le relazioni esterne, Catherine Ashton, ha rilasciato tre dichiarazioni, due sull’Azerbaijan e una sull’Armenia.

La Ashton ha espresso la propria preoccupazione per gli arresti degli attivisti Jabbar Savalan e Bakhtiyar Hajiyev (dichiarazione A 194/11, 20 maggio) e manifestato la propria soddisfazione per il rilascio di una figura storica del giornalismo indipendente dell’Azerbaijan, Eynulla Fatullayev dopo quattro anni di reclusione (dichiarazione A 215/11, 27 maggio). Nello stesso giorno di quest’ultima dichiarazione, l’alto rappresentante si felicitava anche per l’amnistia proclamata in Armenia (dichiarazione A214/11, 27 maggio). L’amnistia rientra nel processo di allentamento della tensione nel Paese, prevede la liberazione di alcuni dei manifestanti coinvolti nei disordini del 2008 che seguirono l’elezione del presidente Serzh Sargsyan, che quasi certamente cercherà il rinnovo del suo mandato nel 2013.

Un invito alla trasparenza e alla riappacificazione era venuto anche dal presidente dell’europarlamento Jerzy Buzek che, visitando la regione durante la seconda decade del mese, aveva espresso a Yerevan l’auspicio che la “ferita aperta” degli scontri di tre anni fa venisse finalmente sanata attraverso un accertamento di responsabilità e il rilascio di chi aveva subito un arresto per motivi politici.

Una condanna per quanto avvenuto in Georgia, cioè per le manifestazioni dell’opposizione tenutesi tra il 21 e il 26 maggio brutalmente sgomberate dalla polizia, è arrivata invece dalla portavoce del commissario per l’allargamento Štefan Füle, Natasha Butler, che stando ad alcuni media avrebbe dichiarato: “L’UE […] sollecita il governo georgiano ad investigare tutti gli ipotetici casi di eccesso nell’uso della forza e di violazioni da parte della polizia. Esortiamo sia l’opposizione che le autorità a non usare la violenza per raggiungere scopi politici”. Sia dal consiglio che dalla commissione che dal parlamento si sono quindi udite voci non tanto di condanna dello specifico comportamento delle élite dirigenti, quanto inviti a rispettare gli impegni assunti a livello interno, internazionale e nel quadro degli accordi bilaterali e multilaterali con l’UE.

L’Eastern Partnership e un nuovo strumento dell’UE

Rispetto a questi ultimi, il mese di maggio ha visto anche un rilancio dell’Eastern Partnership (EaP). Il programma, caldeggiato da parte polacca e svedese sul modello dell’Unione per il Mediterraneo, cresciuto in seno all’ENP, European Neightbourhood Policy, prevede una serie di tavoli negoziali sia a livello di organi esecutivi che legislativi. La sessione inaugurale di Euronest, il forum parlamentare multilaterale che raccoglie le delegazioni di Armenia, Azerbaijan, Georgia, oltre a Bielorussia, Moldavia, Ucraina che parimenti sono parte dell’EaP, si è tenuta il 2 e 3 maggio.

Tre settimane dopo, la dichiarazione congiunta dell’alto rappresentante, del parlamento europeo, del consiglio, del comitato europeo economico e sociale e del comitato delle regioni (COM(2011) 303, 25 maggio) si può interpretare come un manifesto delle aspettative e degli scopi dell’Unione nelle aree del partenariato orientale e mediterraneo, anche alla luce degli eventi che stanno attraversando i paesi della costa sud.

L’UE intende lanciare un nuovo strumento per la promozione democratica, lo European Endowment for Democracy, che si aggiungerà agli strumenti già previsti per la promozione della democrazia e dell’armonizzazione di principi e valori europei presso Paesi terzi (come previsto da tutti gli accordi UE-stati terzi o da specifici programmi come European Instrument for Democracy and Human Rights, EIDHR). Il nome del nuovo progetto richiama quello del National Endowment for Democracy, NED, agenzia americana sponsorizzata dal congresso statunitense spesso accusata di interferenza negli affari interni degli Stati.

Finora la politica estera europea, vuoi perché poco strutturata e dotata di strumenti implementativi blandi, vuoi perché poco coesa al proprio interno, aveva mantenuto un profilo piuttosto neutrale rispetto agli eventi interni dei Paesi, attirandosi anche per questo le critiche sia di alcune fette della società civile europea che di quella di Paesi terzi. Dopo il trattato di Lisbona e la conseguente riforma della carica dell’alto rappresentante e la formazione del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) potenzialmente essa può acquisire maggiore incisività.

È auspicabile che questa incisività sia esercitata nel rispetto dei valori europei e con riguardo alla sovranità che i Paesi della regione assaporano da solo vent’anni. In ogni caso, pare vada sempre salutata positivamente una coerente posizione europea sul rispetto dei diritti umani come valore universale e imprescindibile. A costo, invece, di raccogliere dissensi anche fra i filo-europei, altrettanta coerenza è desiderabile nell’assoluta neutralità sulle lotte politiche interne ai Paesi con cui l’UE si relaziona.

Va inoltre considerato che il processo di avvicinamento all’UE è perseguito dai partner con finalità differenti. All’interno del gruppo di Paesi EaP solo Ucraina e Georgia hanno espresso la volontà di divenire Paesi membri dell’Unione. La macchina del consenso all’Europa non può passare né per la sovra-valutazione degli strumenti di dialogo, per non creare aspettative che poi potrebbero essere frustrate, né attraverso una forzatura verso una strada che non ritengono compatibile con la gestione delle proprie relazioni internazionali o interessi nazionali.

Un pericolo che, comunque, finché la politica estera europea rimane frammentata dalle diverse priorità degli Stati membri, si scongiura da solo.

(http://marilisalorusso.blogspot.com/ – il blog di Marilisa Lorusso dedicato al Caucaso del sud)

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