Torna Tanović con Cirkus Columbia
Tanović torna in Bosnia con il suo ultimo film Cirkus Columbia. Storia di vite in subbuglio alla vigilia della guerra. Perdita dell’innocenza, rassegnazione e comprensione sotto il cielo dell’Erzegovina
Com’è scoppiata la guerra nella mia famiglia. Potrebbe chiamarsi così il nuovo lavoro di Danis Tanović, parafrasando il titolo di un film del regista croato Vinko Brešan. Cirkus Columbia arriva finalmente nelle sale italiane, distribuito in 20 copie da Archibald, dopo il premio del pubblico al Festival di Sarajevo, la candidatura all’Oscar e il passaggio alla Mostra di Venezia nelle Giornate degli autori e al Trieste Film Festival. Dopo il sottovalutato L’enfèr e il fiacco Triage, rovinato dalla coproduzione internazionale, Tanović torna a lavorare in Bosnia a nove anni da No Man’s Land, palma per la miglior sceneggiatura a Cannes (2001) e Oscar come miglior film straniero (2002). Nel frattempo a Sarajevo ha messo su famiglia e ha fondato un partito politico, Naša Stranka.
Prendendo spunto dal libro Cirkus Columbia del giornalista Ivica Djikić, la storia si svolge in un piccolo villaggio dell’Erzegovina (Tanović ha girato a Čapljina e Vipava) nell’estate del 1991. Le televisioni rimbalzano quello che sta accadendo in Slovenia e Croazia, si sentono le tensioni che porteranno al conflitto, molti si preparano a schierarsi e armarsi. Il film comincia col ritorno a casa di Divko (Miki Manojlović). Emigrato, anzi fuggito, in Germania una ventina d’anni prima, torna intenzionato a divorziare dalla moglie Lucija (Mira Furlan, vista nelle serie tv Lost e Babylon 5), che aveva abbandonato con un figlio piccolo, per sposare la nuova compagna, la giovane, bella e eccentrica Azra (Jelena Stupljanin).
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Padre e figlio
Divko, sicuro di sé e del fatto che nulla sia mutato in quel remoto paese dell’Erzegovina, grazie all’amicizia col sindaco Ivanda, fa sfrattare moglie e figlio. I due vengono alloggiati in un fatiscente appartamento comunale, mentre Divko e Azra prendono possesso della casa in paese. Il figlio ventenne Martin (Boris Ler) è un radioamatore. Torna di nascosto nella mansarda di casa, dove ha nascosto l’attrezzatura per riuscire a mettersi in contatto con l’Occidente. Divko si confronta con il figlio che non ha mai conosciuto, nemico dei suoi amici.
La rivalità padre-figlio viene raccontata in modo originale, tra scontri e curiosità reciproca. I due si troveranno anche a contendersi la stessa donna. Il padre sognava di tornare in paese da vincente, per essere rispettato e ammirato. Si accorge invece di non appartenere più a quel luogo. Il figlio si trova a vivere il momento tanto atteso dell’incontro con il padre, ma nel modo in cui non avrebbe mai pensato. Mentre scorrono le settimane estive, fatte di bagni nel fiume e nottate con il ricetrasmettitore CB in mansarda, Martin affronta la perdita dell’innocenza, il passaggio all’età adulta e la scoperta dell’amore.
Tutto si svolge in poche settimane, non accadono fatti sconvolgenti. La trama però, apparentemente semplice, si articola su più punti. L’interesse principale del regista, oltre ai sogni di Divko che si scontrano con la realtà, è la vita quotidiana che si sgretola. Lucija lotta per riprendere possesso della casa, Divko vuole mantenere la promessa fatta ad Azra: regalarle un negozio da parrucchiera. Scompare intanto il suo gatto nero Bonny, l’unico essere vivente a cui in fondo vuole bene.
Ritorno in Bosnia
Tanović torna in Bosnia dalle parti del primo Kusturica, quello di “Ti ricordi di Dolly Bell?”. Con meno energia e accumulo di situazioni e forse più sentimento. Non esagera, non sbaglia i toni, nemmeno nelle scene più grottesche di rissa tra amici, litigate tra ex coniugi e ricerca del gatto nero Bonny. Realizza un film classico che ricorda le pellicole degli anni ’80 e ’90, per ambientazione, fotografia e ritmo.
Da non trascurare i personaggi secondari. C’è l’immancabile matto del paese, che garantisce un tocco surreale portando a Divko gatti che non somigliano a Bonny. Poi c’è Pivac, amico d’infanzia di Martin, che si unisce a un gruppo di paramilitari croati. Va menzionato anche Savo, fedele alla Jugoslavia e amico di Lucija, capitano dell’esercito che si contappone alla militija che sta con lo spregiudicato Ivanda e i suoi che non aspettano che una resa dei conti. Infine Anton, anziano ex sindaco comunista ormai rassegnato, che sostiene Martin ma poi lascia il villaggio quando sta per scoppiare il conflitto.
Tanović, più che dalla nostalgia per il periodo pre-guerra, si fa trascinare dall’affetto per i suoi personaggi, prima dote di un bravo narratore. Riesce a mostrare i diversi punti di vista, il loro modo di vivere e a tutti regala un momento di comprensione. Lo stesso Divko nella scena finale, tra le più emozionanti del film, si riappacifica con se stesso e con il mondo tra i seggiolini del luna park Cirkus Columbia.