ONG e bambini in Caucaso
In Caucaso, ONG locali spesso colmano le lacune nel sistema pubblico di tutela dei bambini, in campi che vanno dall’istruzione all’assistenza ai disabili. L’Open Society Foundation sostiene ONG locali attive in questo ambito in Caucaso del nord e in Caucaso del sud. La giornalista Natasha Yefimov ha raccontato queste esperienze in un libro, Kids Across the Caucasus. Un’intervista
Nel Caucaso martoriato dalle guerre e affollato da profughi, le infrastrutture per servizi sociali come l’istruzione di base sono spesso compromesse. Tuttavia, alcune ONG locali stanno lavorando con successo per reintegrare bambini vulnerabili nei sistemi educativi e sociali da cui sono rimasti esclusi a causa di guerre, povertà, disabilità o traumi psicologici.
Il Programma di sostegno all’istruzione della Open Society Foundation (OSF-ESP) sostiene questi sforzi a livello locale, e alcune di queste storie sono state raccolte nel libro Kids Across the Caucasus recentemente pubblicato dall’OSF e liberamente scaricabile in formato pdf. Le aree di interesse comprendono Armenia, Azerbaijan, Georgia e Caucaso del nord (Cecenia e Ossezia del nord). Il programma, che contiene anche raccomandazioni per il sostegno internazionale all’istruzione nella regione, individua nel diritto all’istruzione un elemento centrale per migliorare la situazione per quanto anche riguarda sicurezza, diritti umani e per la democrazia stessa.
La giornalista Natasha Yefimov ha viaggiato per il Caucaso nella seconda metà del 2009 per raccontare queste iniziative locali. Dal suo reportage, fatto di storie che scaldano il cuore e altre che lo spezzano, scaturisce il libro Kids Across the Caucasus. Fra le tante troviamo quella di Davit, un bambino armeno di 11 anni colpito da un ictus che gli ha causato danni fisici e mentali. Con l’aiuto di un’organizzazione no-profit che lavora sull’integrazione dei bambini disabili nelle scuole pubbliche, Davit ha potuto finalmente andare a scuola e la sua famiglia ha visto i primi miglioramenti già dopo poche settimane (p. 22-25.)
OBC ha incontrato Natasha Yefimov a Budapest ad una presentazione organizzata da OSF-ESP in collaborazione con la Central European University Human Rights Initiative.
Dove scrivi di solito?
Ad una scrivania, che però può essere a New York, in Pennsylvania, a Mosca o, come adesso, a Bishkek, in Kirghizistan.
Parliamo di lavoro sul campo. La regione è divisa da molti confini geografici e politici. In che modo questo influenza la popolazione locale, le organizzazioni internazionali e che conseguenze ha avuto sul tuo lavoro di giornalista?
Non sono nella posizione di parlare delle organizzazioni internazionali, avendovi ricoperto solo funzioni marginali. Per quando riguarda il mio lavoro, certo queste molteplici divisioni richiedono grande attenzione nella ricerca di informazioni, perché entrano in gioco sentimenti molto forti, soprattutto in merito al senso di appartenenza a comunità locali. Questo va tenuto presente quando si fanno domande o si cercano informazioni. Ad esempio, se viaggi tra Armenia e Azerbaijan (cosa che nemmeno si può fare direttamente), vedi che in una scuola armena ci sono mappe del Paese che comprendono alcune regioni che l’Azerbaijan considera occupate, direi non senza motivazioni dal punto di vista del diritto internazionale. Invece in Azerbaijan, soprattutto dove risiedono profughi, ci sono mappe che commemorano la guerra e contrassegnano tutte le regioni in mano armena con fiamme e fumo di cannone. Questo rafforza costantemente nei bambini la memoria e l’interpretazione locale di quanto accaduto.
Sicuramente le organizzazioni che si occupano di risoluzione del conflitto sperimentano una collisione fra la propria missione e i tentativi locali di affermare una versione particolare degli eventi. Ci sono generazioni di bambini che crescono senza contatti con le popolazioni vicine, esposti a narrazioni parziali del conflitto non mitigate dall’interazione, come invece poteva succedere alle generazioni precedenti. Ricordo quanto diceva un’insegnante in Azerbaijan, lei stessa profuga, che lavorava in un insediamento di profughi: “Quando eravamo più giovani, avevamo tutti amici e vicini armeni, ci conoscevamo e ci aiutavamo; ora questi bambini non sanno nemmeno se gli armeni sono homo sapiens perché non ne hanno mai visto uno, hanno solo sentito parlare di questa mitica creatura collettiva, manca loro l’interazione umana".
Hai nominato la discrepanza fra la rappresentazione dei governi locali e gli sforzi delle ONG per aumentare il dialogo inter-culturale. Hai visto come le ONG locali cerchino creativamente di bilanciare le loro esigenze con quella di “mantenere le apparenze” dei governi locali? O come reagiscono i governi locali su questo tema?
Per tornare alla domanda sui casi di conflitto fra ONG e governi locali, ti faccio un esempio. In Cecenia, una delle ONG sostenute da OSI, che ha l’obiettivo apparentemente ineccepibile di combattere l’analfabetismo negli adolescenti, deve tenere un basso profilo per evitare che i suoi sforzi mettano in evidenza il fallimento del governo nell’assicurare l’alfabetizzazione. Non si tratta quindi di un conflitto ideologico, ma di un rischio creato dal fatto che mettere in imbarazzo il governo può essere preso molto sul personale dai suoi rappresentanti. In molti altri posti, come nel Caucaso del sud e nell’Ossezia del nord, c’è invece molta collaborazione fra le ONG sostenute da OSI-ESP e i governi locali, perché le prime fanno un lavoro che i secondi non riescono a fare.
Quasi colmando delle lacune?
Sicuramente, e questo emerge chiaramente dalle sezioni del libro dedicate a Georgia, Ossezia del nord e Armenia. Nel caso dell’Azerbaijan, gli sforzi del governo sul fronte profughi sono stati più lenti più recenti di quanto la comunità internazionale avrebbe voluto, perché l’Azerbaijan ha grandi risorse di petrolio. Il governo è stato accusato di aver reagito così lentamente per motivi legati alla politica interna. D’altra parte, ammetto che questo è un tema che non ho approfondito.
Ci sono giornalisti che lo hanno fatto?
Penso che i giornalisti occidentali si interessino al Caucaso solo in casi estremi di violenza o disastri naturali, come il terremoto in Armenia alla fine degli anni ottanta. Per chi scrive di economia c’è un flusso più regolare di notizie legate ad arcani petroliferi e così via.
Puoi citare qualche caso di sinergie efficaci fra organizzazioni internazionali e partner locali? Quali progetti sono più efficaci e sostenibili?
La cosa bella di tutte le organizzazioni di cui si parla nel libro è che si è trattato di sforzi locali che si sono rivelati efficaci e hanno quindi ottenuto il sostegno di OSF e altri donatori. Mi sembra che la chiave del successo per ogni progetto siano l’iniziativa e il sostegno della popolazione locale che lavora con e per i propri concittadini. Le organizzazioni sostenute da OSF (parliamo di una dozzina di progetti) hanno queste caratteristiche, e nel libro parliamo di quelle che si sono rivelate le più tenaci, ingegnose e piene di energia. Molto spesso si tratta in maggioranza di donne, certo con una minoranza di uomini molto attivi e intelligenti, che vedono una situazione di forte bisogno nei bambini e si spremono le meningi per alleviarla.