Il ceceno, una lingua sul letto di morte

Sì, ma come si dice “letto” in ceceno? In Cecenia si è da poco, e in gran pompa, celebrata la festa della lingua cecena. Ma la lingua ufficiale del Paese è il russo, e sono sempre di meno i ceceni che padroneggiano perfettamente la propria lingua

12/07/2011, Majnat Kurbanova -

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"Studiamo la lingua cecena" (ifl/flickr )

Come si dice “tavolo” nella nostra lingua? Questa domanda, apparentemente stupida, è una delle più frequenti sui forum dove la gioventù cecena si raccoglie per imparare almeno le basi della propria lingua madre. Nonostante la lingua cecena disponga di alcuni sinonimi per indicare lo sfortunato mobile, sono pochissimi a conoscerli. Questo perché i ceceni, nella vita quotidiana, si esprimono in una terribile miscela di russo e ceceno, con una prevalenza di parole ed espressioni russe. Quest’abitudine si è consolidata in decenni di politiche linguistiche, sovietiche prima e russe poi, mirate a sopire ogni specificità nazionale, casomai parlare una lingua diversa instillasse nei montanari germi di identità nazionale o aspirazioni all’indipendenza. Il risultato è che oggi pochissimi ceceni sono in grado di esprimersi con chiarezza e precisione nella propria lingua madre senza ricorrere al vocabolario russo.

Nella Cecenia sovietica

Quando c’era l’Unione sovietica, nelle scuole si insegnava e si comunicava solo in russo. Parlare in ceceno era proibito, nonostante non ci fosse una legge che lo stabilisse ufficialmente. Così è anche oggi. In pratica, però, ogni tentativo di parlare in ceceno a scuola, al lavoro o nei luoghi pubblici veniva represso dagli organi di supervisione del Partito comunista, sempre attenti ad evitare che si diffondessero “tendenze nazionalistiche”, definizione che comprendeva anche il desiderio di parlare nella propria lingua madre. Ricordo ancora quando ogni parola in ceceno sui mezzi pubblici provocava l’aggressiva reazione degli abitanti di lingua russa. “Le persone per bene parlano in russo. Non siete nelle caverne, non potete confabulare nella vostra lingua da selvaggi”. Questi erano i più gentili fra i rimbrotti amministrati dai rappresentanti del popolo “fratello maggiore”.

Ora l’oblio ha inghiottito l’Unione sovietica, ma non la tradizione di silenziosa distruzione delle lingue nazionali. Nella Russia contemporanea e “democratica”, esattamente come in passato, le minoranze nazionali non hanno la possibilità di sviluppare le proprie lingue né di cercare di preservarle. Si sa che l’unico modo di salvare una lingua è parlarla, ogni giorno e in ogni situazione, e svilupparne la scrittura. Questo però è impossibile se la lingua ufficiale rimane il russo, perché tutte le pratiche burocratiche, i documenti e le leggi sono in russo. Il ceceno, espulso dalla sfera pubblica, è condannato all’estinzione. Attualmente esiste un solo quotidiano in lingua cecena, ma sono in pochi a leggerlo, anche perché è scritto in un linguaggio artificiale che ricalca il modello russo. Inoltre, i ceceni devono scrivere in cirillico, alfabeto che mal si concilia con le specificità della lingua cecena. Storicamente, i ceceni utilizzavano l’alfabeto arabo, adattato alla fonetica del ceceno. C’è stato anche un periodo in cui si usava l’alfabeto latino. Ma dalla Rivoluzione d’ottobre in poi i ceceni, come tutti i piccoli popoli della Russia, hanno subito una transizione forzata al cirillico. Ancora oggi, la Costituzione della Federazione russa prevede che tutti i popoli utilizzino l’alfabeto cirillico.

Una lingua in pericolo

Qualche anni fa, l’Unesco ha inserito il ceceno nell’elenco delle lingue in pericolo. Da allora, né le autorità russe né i loro rappresentanti locali hanno fatto nulla per preservare una delle lingue più antiche del Caucaso, e le poche iniziative in merito del governo ceceno sono state ferocemente represse dal Cremlino. Ad esempio, qualche anno fa il Ministero dell’istruzione aveva introdotto il ceceno nelle scuole primarie, con la motivazione che nelle famiglie, tradizionalmente, si parla in ceceno e quindi gli alunni faticano a seguire le lezioni in russo. Ma subito Mosca aveva cassato pubblicamente l’idea, dichiarando che il russo, lingua ufficiale della Federazione, rimaneva l’unica lingua d’istruzione, si trovassero le scuole a Mosca, in Cecenia o in Siberia.

Alle autorità locali non era rimasto che ritirare l’iniziativa, definendola prematura. In compenso, avevano rimediato all’imbarazzo introducendo la festa della lingua cecena. In un giorno d’aprile, tutti i dipendenti pubblici devono presentarsi al lavoro nel loro costume nazionale, che è in disuso dall’Ottocento e si può forse vedere solo nelle danze folcloristiche. Non è chiaro il collegamento con la lingua: in fin dei conti, non è la festa del costume tradizionale. Eppure, a quanto pare, è proprio così che il governo locale immagina di salvare la lingua nazionale: indossando costumi folcloristici, aggirandosi come mimi per le strade della città e mettendo un paio di striscioni sulle facciate delle case.

Negli ultimi anni, la situazione non ha fatto che peggiorare. Nei lunghi anni di guerra, sono morte molte persone che avrebbero potuto tramandare la lingua letteraria cecena. Le persone anziane, il cui linguaggio non è ancora “contaminato” dai neologismi russi, scompaiono. Oltre centomila giovani hanno lasciato il Paese per l’Europa, dove spesso non hanno la possibilità di comunicare fra di loro nella lingua madre. Poiché l’emigrazione cecena è un fenomeno abbastanza recente, la diaspora non riesce ancora ad organizzarsi per creare scuole o corsi dove insegnare o imparare la lingua d’origine. Forse ci vorrà ancora qualche anno, ma l’esigenza di preservare e sviluppare la lingua è già un’urgenza. Ecco perché giovani sparsi in tutto il mondo si ritrovano in rete a condividere le loro sempre più modeste conoscenze e cercare freneticamente la risposta alla domanda: come si dice “tavolo”?

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