Mitrovica, ritorno nel conflitto congelato

L’americano Gerard Gallucci, rappresentante regionale dell’Unmik a Mitrovica dal 2005 al 2008, è tornato in visita in Kosovo. Noto per la sua posizione fortemente critica rispetto ad un’azione più decisa degli internazionali per "ridurre alla ragione" i serbi che vivono nel Kosovo settentrionale, Gallucci continua a seguire la situazione con il suo blog. Nostra intervista

26/07/2011, Tatjana Lazarević - Mitrovica

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Il "muro dell'Unmik" a Pristina - CharlesFred/flickr

Non ha mai smesso di pensare a Mitrovica. Da quando, a fine 2008, ha lasciato l’incarico di Regional Representative dell’Unmik nella città divisa, fra le polemiche dei rappresentanti stranieri in Kosovo che avrebbero voluto un’azione più decisa nel nord del Paese, e ha continuato la propria attività di peacekeeping sul web.

Attualmente Gerald Gallucci, il blogger più attivo sul Kosovo con centinaia di post, prova a demistificare la complicata situazione di Mitrovica con il suo stile diretto e tutto americano. Inizialmente, l’opinione pubblica serba ha reagito con cautela ai suoi toni amichevoli e così insoliti per un americano, ma poi ci ha fatto l’abitudine. Quella albanese, dall’altro lato, lo ha accusato di parzialità e di tradire la tradizionale amicizia fra i due Paesi.

Gerald però nega con forza di aver mai fatto o scritto niente di filo-serbo o anti-albanese. Dice invece che la sua missione era il peacekeeping e che le sue idee si rifanno al bisogno di dialogo piuttosto che ad ogni azione unilaterale. Galluci è tornato da poco a Mitrovica Nord.

Dopo due anni e mezzo, è di nuovo fra le mura di Mitrovica (“From Outside of the Walls” è il titolo del suo blog [N.d.A.]). Che sensazione le dà?

È bello tornare, rivivere questo posto. Continuo a seguire gli eventi e a scrivere, ora su Transconflict. Nel complesso, però, è anche deprimente, perché non è cambiato quasi niente. Forse c’è più libertà di movimento, più vita nelle strade, sono stati rimossi i chioschi che avevano invaso gli spazi comuni, ma essenzialmente la situazione è la stessa. Questo è un conflitto congelato e le persone non hanno potuto tornare ad avere una vita normale. Anzi, è tutto anormale da molto tempo.

Come vedono la situazione i serbi del nord? Ha avuto messaggi da parte loro?

Da quanto ho sentito, direi che la domanda chiave, dopo tutti questi anni di pressioni, è: sono pronti ad arrendersi, ad accettare lo Stato, le istituzioni e l’autorità di Pristina? La mia impressione, parlando con ufficiali e persone comuni, è che le cose non sono cambiate. I serbi del nord continuano a rifiutare l’indipendenza del Kosovo e resistere alle autorità di Pristina. Mi sembra che, molto più di quanto non fosse vero l’ultima volta che sono stato qui, le persone si preoccupino del proprio futuro, di nuovi conflitti, di cosa li aspetta.

Perché? Cos’è cambiato rispetto al 2004 o al 2008?

Il tempo passa, e quando le cose rimangono uguali e non migliorano cresce la preoccupazione per il futuro. La sensazione qui è che Tadić, lavorando per l’integrazione europea, abbia finito per concedere troppo, a nord e a sud, quindi la gente teme di non avere più il completo sostegno di Belgrado, e questo causa incertezza. Certo, poi c’è preoccupazione per eventuali provocazioni al sud, possibili incidenti causati da albanesi e americani…

Sta dicendo che, a parte la mancanza di sicurezza, si teme che Belgrado stia lentamente cambiando atteggiamento e interpretando diversamente la realtà del sud?

Penso che sia così. E penso ci sia molta apprensione rispetto all’impegno a lungo termine di Belgrado verso i serbi del Kosovo, forse per via delle cose successe al sud, che potrebbero prima o poi riflettersi anche al nord.

Prima di arrivare in Kosovo, lei ha avuto la possibilità di comunicare con i rappresentati di Unmik, KFOR, Eulex e ICO a Ohrid. Chi ha davvero controllo sul nord?

Credo che nessun attore internazionale ce l’abbia. Sono qui. È importante sapere che Mitrovica nord e le altre tre municipalità del nord del Kosovo sono sotto l’ombrello della risoluzione 1244, con la presenza dell’Unmik. Questa è la situazione legale e un importante fatto politico. Il resto del Kosovo è uscito dai confini della 1244…

Legalmente?

Non so se dovrei commentare su questo, ma direi che le istituzioni parallele rispetto alla 1244 si trovano al sud. Al nord, le istituzioni collaborano con l’Unmik e rispettano la 1244. Pristina ne è uscita nel momento in cui ha dichiarato l’indipendenza. Il Tribunale internazionale non l’ha nemmeno dichiarato legale né illegale. Non c’è niente nel diritto internazionale al riguardo, anche se il Tribunale ha detto che la 1244 rimane diritto internazionale. Qui a Mitrovica nord, l’ONU è rimasta.

Per molte persone è una situazione molto difficile da capire. Prendiamo ad esempio il cosiddetto accordo a sei punti sulla presenza Eulex, avviata sotto l’ombrello Unmik, che però riconosce l’indipendenza del Kosovo, giusto?

Eulex è qualcosa di diverso. Nel novembre 2008, Eulex ha ricevuto dalle Nazioni unite il mandato per l’istituzione dello stato di diritto in Kosovo. Quel mandato doveva essere neutrale rispetto allo status. Penso ci siano molte ragioni per mettere in discussione questa neutralità. Nel sud, Eulex è rimasta in disparte mentre le autorità del Kosovo attuavano provvedimenti aggressivi verso i serbi, smontavano antenne telefoniche e sequestravano stazioni elettriche, in generale ha lasciato che le autorità albanesi compissero intimidazioni contro i serbi perché accettassero l’indipendenza del Kosovo. A Eulex piace pensare e dire che si limita a monitorare, ma in realtà, secondo me, ha poteri esecutivi come l’ONU. Questo significa che c’è un problema con la polizia e quando Pristina ordina unilateralmente la rotazione dei comandanti, senza alcuna consultazione con le autorità locali, Eulex dovrebbe esercitare la propria autorità.

Eulex sta ancora preparando una presenza più ampia al nord?

Probabilmente questa è un’altra strategia, uno sforzo per dare l’idea di stare facendo qualcosa e magari trovare un modo per farlo. Negli ultimi mesi ho notato un cambio di strategia da parte dell’Unione europea, con meno uso della forza e più lavoro in direzione della pace. C’è stata una crescente differenza nell’approccio fra Europa e Stati uniti: l’Unione europea riconosce che il Kosovo è in Europa, collabora con il presidente Tadić e con i serbi del posto, sono in corso negoziati che potrebbero portare a qualche progresso pratico. Penso che l’UE si stia abituando all’idea che il suo compito non sia cambiare le cose, ma aiutare le persone ad andare avanti con le loro vite mentre le questioni politiche si affrontano altrove, quindi forse anche Eulex ha un nuovo approccio.

Anche l’Unmik a suo tempo aveva provato a cambiare le cose con la forza, prima di cambiare approccio. Crede che Eulex potrebbe finire per fare lo stesso?

Forse, ma direi anche che si tratta della stessa dinamica. Quando sei a Mitrovica, la realtà ti si sbatte in faccia. A Pristina è diverso, sei circondato da un’entità mono-etnica che ora è un governo indipendente. Penso ci sarà sempre tensione fra la percezione che si ha qui e quella che si ha a Pristina, anche per gli internazionali. Quando dico che forse Eulex sta cambiando approccio, non so se tutti comprendono che quello che serve è il peacekeeping. Proprio come quando ero qui con l’Unmik: sul campo capivamo che era necessario fare peacekeeping, mentre a Pristina pianificavano l’uso della forza.

Qual è il ruolo dell’ICO?

Praticamente irrilevante al sud e sicuramente irrilevante al nord. Il loro compito era sostenere le istituzioni del Kosovo. Qui la gente rifiuta quelle istituzioni e quindi anche l’ICO, che di conseguenza non ha alcuna presenza. L’anno scorso avevano la loro strategia per il nord, che è fallita ancor prima di essere lanciata. Dovrebbero andarsene l’anno prossimo, e penso che allora nessuno in Kosovo sentirà la loro mancanza, anzi.

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