Kosovo del nord, guerra di nervi
Serbi nuovamente sulle barricate nel Kosovo settentrionale, dopo che doganieri europei e kosovari hanno preso il controllo dei valichi di confine con la Serbia centrale. Il traffico di merci e persone è interrotto, gli scambi procedono solo su percorsi alternativi. La tensione cresce nell’assenza di un’efficace mediazione internazionale
La spettacolare vittoria della rappresentativa serba di pallavolo contro la nazionale italiana nella finale dei campionati europei, giocata a Vienna domenica scorsa, ha emozionato tutta la Serbia, movimentando anche le strade di Mitrovica nord. Lunghi caroselli di auto addobbate con la bandiera serba hanno invaso le strade della città, suonando i clacson a più non posso tra il frastuono di fuochi d’artificio, ed arrivando fino alla barriera di ghiaia eretta di fronte al ponte sul fiume Ibar, “confine” con la Mitrovica albanese.
I festeggiamenti per l’inaspettato trionfo hanno liberato per un attimo le tensioni accumulate nelle ultime settimane. In questa parte del Kosovo la tensione è palpabile da alcuni giorni, da quando cioè, dopo un annuncio congiunto del premier kosovaro Hashim Thaci e di Eulex, doganieri della missione europea, accompagnati da un doganiere kosovaro per ogni valico di confine, hanno preso posizione a Jarinje e Brnjak, una mossa contestata dai serbi del Kosovo.
Stallo
I serbi hanno bloccato tutte le strade che da Pristina portano al nord del Kosovo, ma anche gli stessi valichi di confine, mentre la KFOR ha fermato il traffico verso la Serbia centrale. Il blocco, in vigore ormai da giorni, è stato aggirato solo in parte da vie alternative, rappresentate per i serbi del nord da strade di montagna e, per chi viene da Pristina, dalle vie aeree.
I doganieri Eulex e kosovari sono stati trasportati ai valichi con elicotteri nella mattina del 16 settembre, subito dopo lo scadere di un accordo provvisorio sullo status di Jarinje e Brnjak. Secondo testimoni, oltre a trasportare personale e cibo, negli ultimi due mesi gli elicotteri hanno portato ai valichi sacchi di sabbia e filo spinato. Da entrambe le parti, per così dire, si scavano trincee. I soldati tedeschi rafforzano le protezioni dei valichi, mentre i serbi aggiungono ghiaia alle barricate esistenti, alcune delle quali hanno ormai raggiunto cinque metri di altezza. Lunghe bandiere serbe sono state distese su grandi cumuli di terra davanti ai soldati della KFOR. Da entrambe le parti, per il momento, la situazione sembra però calma e sotto controllo.
Guerra di nervi
La popolazione serba aspetta il primo segnale di allarme per gettarsi in strada e salire sulle barricate per prevenire possibili azioni da parte di Eulex o KFOR. I serbi sembrano motivati ad utilizzare la disobbedienza civile per impedire l’integrazione del Nord nel “sistema Kosovo”, e affermano di poter resistere in questa specie di assedio molto a lungo.
Per molti serbi questa è una “guerra di nervi”, e questo significa che la situazione sul terreno potrebbe restare bloccata a lungo. “Da anni sopravviviamo senza diritto alla dignità. Siamo sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale, nelle mani di tedeschi e albanesi, e ora siamo nuovamente oppressi. Ma possiamo resistere a lungo, perché siamo abituati alle difficoltà e difenderemo le nostre case”, sostiene un anziano abitante di Mitrovica nord, Srbislav (73).
Nella pentola a pressione
Ora le merci dalla Serbia centrale arrivano in Kosovo settentrionale in modo intermittente, attraverso strade alternative, ma al momento i beni essenziali sono ancora disponibili, visto che tutti hanno messo mano alle riserve accumulate. Le pompe di benzina sono rimaste a secco. Il traffico però continua, anche se con frequenza ridotta. Il trasporto di pazienti verso la Serbia è stato interrotto, e secondo notizie non confermate, un malato di cuore sarebbe morto a causa dell’impossibilità di trasferimento verso un ospedale meglio attrezzato in Serbia.
Prima dell’azione del 16 settembre, descritto come il “D-Day” per il Kosovo del nord, molti studenti e cittadini hanno fatto ritorno a casa a Mitrovica e nelle municipalità circostanti in tutta fretta.
“E’ come se i serbi fossero stati infilati in una pentola a pressione”, ha dichiarato il capo negoziatore serbo Borislav Stefanović, in questi giorni in Kosovo settentrionale. “La situazione è tesa, ma calma. I serbi sulle barricate sono sotto pressione, e tutti stiamo pazientemente attendendo una risposta da Bruxelles al piano di Belgrado per risolvere la questione dei valichi attraverso il dialogo”, ha dichiarato Stefanović al quotidiano belgradese “Press”.
Belgrado – Pristina
Una proposta per la soluzione dell’attuale complessa situazione è stata infatti inviata da Belgrado a Bruxelles alla fine della scorsa settimana, mentre il premier e il presidente del Kosovo, Hashim Thaci e Atifete Jahjaga, partivano per una visita di alcuni giorni negli Stati Uniti, paese che sostiene con forza l’azione del governo del Kosovo. Come detto da Stefanović, il governo serbo è ancora in attesa di una risposta.
A settembre era stato raggiunto un accordo tra Belgrado e Pristina sulla questione dei timbri doganali, che aveva fatto precedentemente alzare la tensione tra le parti, portando ad una interruzione del dialogo bilaterale a luglio, al blocco delle esportazioni serbe verso il Kosovo e infine a un’operazione delle forze speciali della polizia di Pristina, finita con la morte di un poliziotto kosovaro. Per Pristina il fatto che Belgrado riconosca oggi i timbri kosovari rappresenta un “riconoscimento di fatto” dello stato del Kosovo. Belgrado ribadisce che i timbri ora accettati recano la dicitura “Dogane del Kosovo”, e non “Dogane della Repubblica del Kosovo”, e non recano alcun simbolo statuale.
Pristina ha annunciato l’invio di doganieri subito dopo lo scadere dell’accordo provvisorio sui valichi di Jarinje e Brnjak, che prevedeva la presenza di truppe KFOR a guardia dei valichi stessi. Belgrado ha protestato, sottolineando che il dialogo è bloccato, e sostenendo che la comunità internazionale e le autorità di Pristina sono da ritenere responsabili per qualsiasi conseguenza di atti unilaterali.
L’azione di Belgrado
La Serbia ha tentato di opporsi all’azione di Pristina con una retorica violenta, e azioni di diplomazia. Ma sebbene Belgrado abbia annunciato un pacchetto di misure “segrete”, sembra proprio che, al di là della protesta gridata, che dovrebbe spaventare i partner della Serbia a livello UE, il blocco pro-europeo al governo a Belgrado non abbia alcuna strategia alternativa, e che l’unico strumento di lotta siano gli stessi serbi del Kosovo settentrionale, e la loro capacità di resistere sulle barricate.
Il governo serbo, nel frattempo, ha deciso di reintegrare il Kosovo del nord nel sistema di tassazione generale, reintroducendo l’Iva per i prodotti diretti in Kosovo. I serbi del Kosovo, infatti, erano fino ad oggi esentati dal pagare l’Iva sui prodotti acquistati in Serbia. Il governo di Belgrado sostiene che queste misure servono soprattutto a depotenziare il principale argomento di Pristina sull’esistenza di un “paradiso del contrabbando” a nord di Mitrovica.
Con il sostegno della Russia, sulla situazione in Kosovo è stato intanto tenuto a porte chiuse un incontro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Anche se non è trapelata nessuna dichiarazione, secondo molti media la discussione tra i Paesi rappresentati è stata molto tesa.
Campagna elettorale in Serbia
A Belgrado, le divisioni tra i partiti politici sulla questione del Kosovo del nord sono state evidenti fin dalla crisi di luglio. I partiti di opposizione accusano il governo di aver tradito i serbi di Mitrovica e dintorni.
Dopo l’annuncio che il 16 settembre sarebbe stato il “D-Day”, i leader dell’opposizione hanno fatto numerose dichiarazioni ai media sui valichi contesi, alla presenza di organizzazioni di destra, evento che molti hanno interpretato come apertura non ufficiale della campagna elettorale in Serbia. Molti “ospiti” politici hanno raggiunto il Kosovo attraverso strade alternative, e hanno trascorso un giorno sulle barricate.
Così Sanda Rašković Ivić, ambasciatore serbo in Italia, ha raccontato le sue impressioni sul Kosovo settentrionale dopo la sua visita: “Quello che ho visto ricorda i confini dell’Europa orientale ai tempi della Cortina di ferro. E’ proprio contro il comunismo che l’Occidente ha combattuto, creando la NATO nel 1949. Paradossalmente, ora sono lo stesso Occidente, e la stessa NATO, ad aver creato una frontiera congelata nel cuore geografico dell’Europa”.
“Se c’è un serbo qui, batta un colpo.”
Il controverso ambasciatore russo a Belgrado, Alexander Vasilyevich Konuzin, ha contribuito a surriscaldare l’atmosfera intorno alla questione kosovara. Nel giorno in cui elicotteri croati trasportavano doganieri internazionali e kosovari a Brnjak e Jarinje, durante una conferenza stampa a Belgrado, Konuzin, con un tono inusuale per un diplomatico, rimproverava in modo emotivo e pieno di rabbia la Serbia, colpevole di non difendere i propri interessi e quelli dei propri compatrioti in Kosovo. La sua frase, divenuta subito famosa, “Se c’è un serbo qui, batta un colpo”, ha polarizzato ancora di più l’opinione pubblica serba.
I serbi sulle barricate non si avventurano in profonde analisi sul come e perché l’ambasciatore russo si è comportato in quel modo, ma sono concordi nell’affermare che la frase "Se c’è un serbo qui batta un colpo" descrive bene la Serbia di oggi e il suo atteggiamento verso il Kosovo.
Per i serbi che vivono in questa regione, la tensione e il blocco del Kosovo del nord appaiono davvero minacciosi. La pressione della comunità internazionale, e di Pristina, non è mai stata così forte, e il sostegno di Belgrado così debole.