Vugar Bayramov, un economista a Baku
E’ nella classifica dei 500 musulmani più influenti al mondo. Vugar Bayramov, classe 1975, dopo aver svolto ricerca negli Stati Uniti, è tornato in Azerbaijan per fondare un think-tank. Dalla sua analisi emerge il ritratto di un’economia basata su un settore, quello energetico, gestito in modo poco trasparente e incapace di redistribuire ricchezza nel Paese. Un’intervista
Lei è stato menzionato nella classifica dei 500 più influenti musulmani al mondo dal the Royal Islamic Strategic Studies Centre nel 2010, nonché nominato ‘Persona dell’Anno’ da Media FM nel 2009. Lei è il più importante giovane economista azero. Qual è il ruolo degli economisti oggi in Azerbaijan?
Il ruolo degli economisti azeri è ovviamente di carattere consultivo e non abbiamo un peso concreto sul processo decisionale. In altre parole le policies governative si appoggiano a studi di settore elaborati da think-tank, quali il CESD che io dirigo o altri di rilievo nazionale, ma è il gabinetto presidenziale a decidere quali sono le misure da adottare. Il ruolo dell’economista in Azerbaijan oggi è dunque molto limitato poiché, nonostante la necessità di un rinnovamento strutturale, non vi è sbocco rispetto alle proposte di riforma.
Quali sono state le ragioni che l’hanno spinta a fondare un think-tank?
In primo luogo la volontà di creare think-tank indipendenti nasce dalla necessità di coordinare una pluralità di proposte in ambito economico, politico e sociale che altrimenti non avrebbero possibilità di esprimersi. La creazione di un think-tank va sempre di pari passo con la promozione di valori sociali quali la partecipazione e la trasparenza che vengono poi traslate nell’ambito politico ed economico.
Può descrivere in breve l’attività del CESD?
L’attività del nostro centro si articola su due piani distinti: da una parte elaboriamo analisi economiche a supporto delle policies governative, dall’altra svolgiamo attività di promozione della società civile, tanto nelle aree rurali, quanto nei centri urbani. Per quanto i due aspetti possano sembrare distanti, c’è in realtà tra i due una sorta di legame, relativo alla volontà di porre in atto uno sviluppo complessivo che comprenda la sfera sociale, economica, ambientale e politica.
Lei ha avuto un’esperienza accademica di prestigio presso la George Washington University in St. Louis. Quale valore aggiunto ritiene di aver guadagnato da questa esperienza all’estero?
Senza dubbio il sistema educativo statunitense e azero sono agli antipodi. Il problema del nostro Paese consiste nel fatto che è sinceramente difficile incontrare un professore non corrotto. Se all’interno delle nostre istituzioni, devo ammettere, è diffuso un sistema clientelare e corporativo, devo purtroppo affermare che all’interno delle università è assolutamente radicato e accettato un esplicito e sfacciato sistema di corruzione. La mia permanenza all’estero mi ha chiaramente reso partecipe di dinamiche completamente opposte, basate sul merito e sulla qualità della ricerca. Tuttavia non posso negare che le falle del sistema educativo azero mi erano chiare ben prima di intraprendere la mia carriera accademica negli Stai Uniti.
Perché ha deciso di tornare in Azerbaijan?
Senza voler sembrare retorico, il mio obiettivo è quello di prendere parte al processo decisionale del mio Paese. Una buona parte della mia generazione con un alto livello educativo ha lasciato il Paese e questo non è solo triste, ma lascia il Paese privo delle sue migliori menti. Ricordo sempre ai miei studenti la crescita personale e culturale che una permanenza all’estero concorre a creare, tuttavia tale valore aggiunto, a mio parere, dovrebbe essere speso in patria, al fine di contribuire a quel processo creativo e innovativo, di fatto, già in atto nel Paese.
Entro quale orbita, secondo lei, si muove l’universo accademico azero: Europa, Stati Uniti, Russia o Medio Oriente?
Direi Russia. La quasi totalità dei nostri esperti ha ricevuto la propria educazione in Russia se non in istituzioni russe in Azerbaijan. Questo ha contribuito a creare e consolidare nel tempo legami di elité tra i due stati. Non è un caso che l’uso del russo sia così diffuso: ancora oggi i libri di testo di maggiore diffusione sono in russo. Persino diversi manuali universitari americani vengono usati qui attraverso la loro traduzione in russo. Senza dubbio l’Azerbaijan rientra nella sfera d’influenza russa, e questo è evidente in diversi campi.
Può, secondo lei, la crescita del PIL, rappresentare un’opportunità di cambiamento sociale? In altre parole, c’è spazio per la creazione di una classe media in Azerbaijan?
Come nella quasi totalità delle transizioni, la crescita dei valori macroeconomici cela problemi ridistributivi di fondamentale importanza. Esiste nel Paese una classe media che si differenzia dalla fascia ‘bassa’. Tuttavia entrambe queste categorie sono schiacciate verso il basso e le sperequazioni economiche tra l’elité e resto della società rimangono drammatiche. Nonostante i dati di crescita economica questo gap è aumentato negli ultimi anni.
Come definirebbe, in qualità di accademico, l’attuale modello di produzione azero?
Il nostro modello di produzione è estremamente semplice: la ricchezza è creata da un unico settore, quello energetico, da cui dipendono il budget statale e il PIL. Nel 2010, ad esempio, il budget statale ammontava a circa US$15 miliardi. Se tuttavia eliminiamo la voce ‘oil revenues’ dal computo, il budget statale crolla a soli US$5 miliardi. Non mi sento di definire tale modello di produzione. Mi limito a costatare che tale modello è chiaramente sbilanciato ed ha un grado estremamente basso di complessità.
Come valuta l’uso da parte del governo dei proventi derivanti dal settore energetico?
Purtroppo il problema è molto complesso. Tanto il governo quanto le singole compagnie petrolifere non rispettano alcun parametro di trasparenza. Non solo per le persone comuni ma anche per noi addetti ai lavori è tecnicamente impossibile tracciare il denaro proveniente dal settore petrolifero e impiegato in programmi di sviluppo nazionale. Ad esempio diversi nostri report riguardano le gare per le licenze di tali progetti. Molto spesso, paradossalmente, tali gare non hanno nemmeno luogo. Inoltre il denaro in possesso del fondo sovrano azero, giustamente impiegato all’estero al fine di non creare spirali inflazionistiche nel Paese, è assolutamente impossibile da controllare. Come se non bastasse i nomi dei manager coinvolti nei processi decisionali di spesa ed investimento del denaro pubblico non vengono resi noti.
Quali sono, secondo lei, le prospettive di dialogo politico ed economico nel Caucaso meridionale?
Al momento l’Armenia si presenta come un Paese isolato ed economicamente privo di qualsiasi potenziale di sviluppo. Le maggiori economie della regione sono Azerbaijan e Georgia. Qualora si dovesse parlare di accordi o di cooperazione economica regionale, dovremmo parlare di semplici accordi bilaterali. Senza dubbio un certo grado d’integrazione tra i due Paesi è auspicabile poiché Baku e Tbilisi si trovano già in una situazione di reciproca interdipendenza economica.
Ritiene sia in atto una competizione tra Russia e Turchia sul Caucaso meridionale?
Direi di no. Senza dubbio Russia e Turchia hanno interessi convergenti riguardo problemi puntuali. Non leggo tuttavia un articolato programma di competizione tra i due Paesi. Vedo piuttosto una maggiore asprezza nelle relazioni UE-Russia o USA-Russia. In diversi casi però, è da notare, la Russia è talmente influente da non avere alcun rivale. Senza dubbio l’attività della TPAO (compagnia petrolifera turca, NdR) si è trovata a competere con la Gazprom per le licenze dei giacimenti di gas caspico. Tuttavia non mi sento di poter parlare di competizione tra due stati, tra due sfere d’influenza.
In conclusione, qual è il ruolo dell’Unione Europea nel Caucaso meridionale?
L’Unione Europea ha lanciato diversi progetti di sviluppo e partnership con il vicinato, registrando risultati mediocri tanto sul piano economico, quanto sul piano delle relazioni istituzionali. Devo però ammettere che senza la presenza politica e diplomatica europea la condizione economica e sociale della regione sarebbe senza dubbio peggiore. Il ruolo dell’Europa non è solo quello di maggiore partner commerciale della regione, ma anche e soprattutto quello di promotore di trasparenza, democratizzazione e diritti umani.