Esad Midžić, eroe partigiano. Un caso di memoria rimossa

Prijedor, Bosnia settentrionale è una città dalla memoria ancora lacerata. Una ferita aperta che si trascina dalla Seconda guerra mondiale, attraversando gli avvenimenti recenti della dissoluzione della Jugoslavia sino ad arrivare ai giorni nostri. Un’intervista a chi, in città, è per professione un "custode" della memoria. Riceviamo e volentieri pubblichiamo 

18/10/2011, Simone Malavolti -

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Nelle cantine del Museo Kozara di Prijedor - foto di Simone Malavolti

La gestione della memoria nella città di Prijedor, seguiva come in qualsiasi altra città della Jugoslavia, il dogma del bratstvo i jedinstvo (fratellanza e unità) e come mito fondativo la Seconda guerra mondiale ed in particolare la lotta partigiana contro il fascismo e per il socialismo. Prijedor città simbolo, prima della lotta partigiana, e poi della feroce pulizia etnica durante la recente dissoluzione della ex Jugoslavia (nei suoi dintorni furono aperti i campi di Omarska, Keratern e Trnopolje), fondava la propria memoria proprio su tre figure eroiche di capi partigiani: Mladen Stojanović, Esad Midžić e Rade Kondić. Il primo serbo, il secondo musulmano e il terzo croato.

Oggi l’eroe Mladen Stojanović sembrerebbe godere di ottima salute a Prijedor dove è stata aperta da un paio di anni un museo nella sua casa natale. Sembra invece completamente scoparso l’altro eroe partigiano, Esad Midžić con cui per 50 anni (1942 – 1992) ha condiviso lo stesso destino. Ne parlo con Milenko Radivojac, direttore del Museo di Kozara di Prijedor, museo cittadino che ospita mostre etnografiche, artistiche, fotografiche e, a volte, storiche con cui il Museo Storico del Trentino collabora da molti anni.

Chi era Esad Midžić?

Quello che si sa su di lui, secondo la documentazione esistente, è che nacque a Prijedor nel 1917 in una famiglia povera, ma che era uno studente brillante. Terminò le scuole elementari e il liceo a Prijedor e iniziò la facoltà di Giurisprudenza a Belgrado. Si distinse tra i suoi coetanei per le idee progressiste, in particolare per quanto riguardava le questioni dell’appartenenza nazionale. Quando iniziò la Seconda guerra mondiale si pose immediatamente a fianco degli antifascisti. Queste idee progressiste arrivarono a piena maturazione già nel 1940 quando a Ljubija venne organizzato dal Partito Comunista un grande sciopero1. Si pose al fianco dei minatori e divenne subito membro del partito, sostenendo lo sciopero che dopo 2 mesi ottenne un’importante vittoria.

Una volta dichiarata la ribellione partì per il Kozara, dove si avvicinò a Mladen Stojanović e partecipò alla prima battaglia del ’41 più conosciuta come la battaglia del Mrakovica2, quando i partigiani vinsero per la prima volta una parte delle forze tedesche. Grazie alle sue idee progressiste, ben presto divenne commissario politico. Il 9 febbraio ’42 Esad Midžić ottenne il titolo di Commissario della formazione proletaria del Kozara. Si trattava di una formazione creata dalle forze partigiane perché andasse a combattere contro i cetnici in Bosnia centrale dove erano particolarmente forti. Ai cetnici si affiancavano anche le forze tedesche, come accadeva per gli ustaša.

Così il gruppo dove si trovava anche il fratello di mio nonno, che poi morì sul Kozara, partì per quella zona dove ebbe un feroce scontro con i cetnici, una parte del battaglione morì mentre un gruppetto di circa 20 partigiani cercò di fuggire verso sud, cadendo però prigionieri. Vennero trasportati a Banja Luka3. Il tentativo dell’allora governo ustaša di convincerlo a passare dalla loro parte, non andò a buon fine. Diceva: “So tutto, conosco tutti i capi partigiani, ma non parlerò mai”. E così venne condannato a morte. Quando giunse l’imam, Esad lo allontanò dicendogli che non gli serviva perché lui era comunista. Venne fucilato a Banja Luka il 17 luglio 1942. Venne proclamato eroe nazionale nel 1951, come giovane che aveva combattuto ed era morto per le sue idee.

Questa la vita del personaggio storico. Cosa ha rappresentato l’eroe Esad Midžić per i cittadini di Prijedor dopo la Seconda guerra mondiale ?

Il Kozara ha avuto 45 eroi nazionali4, alcuni di loro morirono durante la Seconda guerra mondiale, altri sopravvissero. Gli eroi nazionali, per me, sono i personaggi più gloriosi tra i combattenti nella lotta per la libertà, ed Esad Midžić è stato uno di loro. Qui a Prijedor ha quindi significato molto, soprattutto per i giovani delle scuole perché fu uno dei rari combattenti che aveva studiato, diciamo che era un intellettuale. E quindi il liceo, dove anch’io sono andato, venne intitolato a lui, finché l’intero centro scolastico (Liceo, Istituto Economico, Istituto Tecnico, ecc) non ha preso il suo nome. Davanti a queste scuole si trovava infatti un busto di Esad Midžić che purtroppo quando sono iniziate le distruzioni è stato rovinato, ma che noi abbiamo salvato e che si trova ora nel nostro deposito.

Quando è arrivata questa guerra, che non ha un nome ancora definitivo ma che noi chiamiamo guerra patriottica, lotta per i nostri focolari domestici in cui da sempre viviamo5 che l’altra parte chiama come guerra di aggressione, le scuole sono state ridivise, ovvero non esisteva più questo centro scolastico, ma ognuna era autonoma. Il liceo ha quindi preso il nome di San Sava, un grande educatore serbo6.Oggi il nome di Esad Midžić è quindi scomparso come nome delle scuole, anche se soltanto il liceo attualmente ha un nome, mentre le altre sono indicate solo col nome generico della tipologia di scuola.

Quale è stata dunque la politica della memoria fino a questa guerra?

Il territorio del Kozara, che ha avuto questi 45 eroi, è lungo 80 km e largo 40 e comprende le municipalità di Prijedor, Novi Grad, Koštanica, Dubica, Gradiška. In ognuna di queste città le persone hanno segnalato i nomi degli eroi che provenivano dal loro territorio. Ad esempio Stojanović era di Prijedor, Midžić era di Prijedor, Kondić era nato vicino a Kozarac.

Queste persone erano per noi molto importanti, stavano ad un livello superiore rispetto ad altri che erano ancora vivi, come ad esempio il generale Stevo Rauš poi rimasto negli alti gradi dell’esercito a Belgrado. Anche questi ultimi erano importanti ma non come quelli che avevano perso la vita. Qui erano decisamente più sentiti i nostri eroi nazionali, al cospetto di quelli, ad esempio, di Dubica. Ogni luogo aveva i suoi eroi nazionali, anche se si sapeva che anche gli altri appartenevano al territorio del Kozara.

Il criterio era, possiamo quindi dire, territoriale. Non vi era alcun criterio legato all’appartenenza nazionale? Era comunque risaputo quale fosse la loro appartenenza nazionale?

L’appartenenza nazionale non è mai stata presa in considerazione. Esad Midžić è stato glorificato non come Mladen Stojanović perché era ad un livello più alto, ma come Rade Kondić con cui erano allo stesso livello. Fino agli anni ’90 la parola d’ordine è stata bratstvo i jedinstvo (fratellanza e unità), e nessuno sottolineava le appartenenze nazionali. Nessuno poteva dire niente di male di lui. Tutti sapevano che era musulmano, e lo commemoravano perché era un eroe nazionale. A nessuno disturbava la sua appartenenza nazionale. Così era il sistema in quello Stato.

Esisteva una sorta di politica che concedeva un eroe nazionale per ogni nazionalità?

La maggior parte degli eroi sono stati scelti nel 1951 dal parlamento, anche se altri, come Stojanović, sono stati dichiarati eroi nazionali già durante la guerra. Se ci sia stato una sorta di spartizioneAll’epoca era molto forte la parola d’ordine del bratstvo i jedinstvo perché si doveva costruire e preservare uno Stato così eterogeneo. Penso che all’inizio fosse così, forse più tardi è cambiato, ma al principio non era importante chi fosse cosa. La cosa importante era soltanto chi era morto e chi aveva combattuto coraggiosamente.

Esisteva soltanto un monumento dedicato a Esad Midžić?

All’interno del Liceo c’è un targa commemorativa con i nomi dei caduti e lì vi era anche il busto di Esad Midzic fatto da Ljubo Stakar, uno scultore di Prijedor che adesso vive a Zagabria. Più tardi è stato fatto un altro busto proprio qui dove oggi si trova quell’altro monumento7.

Quando e da chi venne tolto il busto di Esad Midžić?

Semplicemente quando è iniziata la guerra, quando ci sono stati i primi morti… Sai che la guerra è stata tra serbi, musulmani e croati. Quando arrivarono i primi soldati qui, dopo l’attacco dei musulmani… Credo sia avvenuto quando vennero uccisi 30 soldati serbi, allora qualcuno lo distrusse. Qualcun altro portò in salvo il busto nella scuola e quando lo venni a sapere lo andai a prendere. Lo portai quindi in salvo nel museo, perché si tratta di un’opera d’arte dello scultore Miro Vucon, del 1984. Forse fu un ubriaco che pensò: “Ecco stanno arrivando i musulmani…”.

Nessuno ha organizzato la sua rimozione, si è trattato di un gesto… Non puoi immaginare cosa succede durante una guerra, quando arrivano i primi morti, quando ti chiamano aggressore. Ma quello che è successo qui è successo anche nella Federazione croato-musulmana. Così avviene quando c’è una guerra civile.

La lotta contro il fascismo però è stata la lotta più gloriosa ed Esad Midžić ne ha fatto parte. Considero quindi che arriverà il momento, direi è già arrivato, il momento in cui si tornerà a riconoscere quei valori.

Quali sono oggi i sentimenti dei cittadini di Prijedor nei confronti di Esad Midžić? I giovani, ad esempio, sanno chi era costui?

Credo di no, che ne sappiano poco. Sinceramente non so neanche quanto si studi a scuola la storia nazionale8. Si studia sicuramente la Seconda guerra mondiale quindi sicuramente viene citato e si sa chi era, ma dubito che i giovani siano interessati a saperne di più.

Per quanto riguarda gli adulti, sanno certamente chi era. Sicuramente le famiglie dei combattenti e dei partigiani, diciamo pure le famiglie partigiane, che hanno parenti morti e spesso ricordati con monumenti o lapidi.

Qui alcuni combattenti diventarono partigiani già nel ’41. A costoro fu dedicato un monumento speciale ed avevano un tempo anche alcuni privilegi particolari in quanto “combattenti della prima ora”. Allo stesso modo per questa guerra, esiste uno status speciale per molti “combattenti della prima ora”.

Qual è invece invece la politica della memoria, oggi? Quale dovrebbe essere a tuo parere?

È difficile dirlo. Non so quale organizzazione di combattenti della Seconda guerra mondiale dovrebbe averne cura, se spetta a loro conservare questa memoria, le modalità di commemorazione riguardanti tutti questi avvenimenti storici, come il Giorno delle Brigate, Giorno del Reparto, Giorno della rivolta. C’è inoltre quest’ultima guerra, finita solo 15 anni fa, che è ancora decisamente troppo fresca, così come il ricordo delle sue vittime. La Seconda guerra mondiale è stata una lotta contro il fascismo, una lotta contro le forze occupanti ma anche contro coloro che si sono posti al loro fianco così come gli ustasa e i cetnici, anche se non ci sono state formazioni cetniche nel nostro territorio.

Penso che… Quando è stato proclamato lo Stato Indipendente Croato, la Croazia si pose al fianco dei tedeschi e delle forze fasciste di allora. D’altronde i partigiani in Croazia c’erano già prima nel 1941 e lottavano contro gli ustasa.

Adesso però quando Mesić9 ha proclamato che la Croazia è il Paese che nei Balcani ha dato di più alla lotta antifascista, in qualche modo, ha provocato le persone di questa regione che lottarono e morirono. Prima infatti metà della Croazia era a fianco dei tedeschi adesso è diventata antifascista! Questo sentimento antifascista qui è forse è un po’ cresciuto anche a causa di questa dichiarazione.

Pensate di rimettere il busto e rimettere i nomi delle strade?

Non so quale ente dovrebbe decidere, probabilmente l’Unione dei combattenti della Seconda guerra mondiale. Penso comunque che esista una Commissione per questi monumenti nazionali.

Qui, ad esempio, alle nostre spalle [fuori dal museo] si trova il busto di Josip Mažar Šoša che era un croato. Qualcuno l’aveva tolto e così pensavano che fosse stato un atto nazionalista perché era croato. È stato poi ritrovato in una discarica. Qualcuno, delle zone povere, l’aveva rubato perché era di bronzo, un metallo prezioso. L’avevano quindi rotto per rivenderlo al ferrivecchio. È stato poi rimesso al suo posto. Non ci sono soltanto monumenti a serbi, ma anche agli altri popoli.

Allo stesso modo penso che anche per Esad Midžić verrà il momento di ricevere nuovamente un riconoscimento.

Per quanto riguarda le vie, invece, ancora non rientra in questa prima ordinanza a cui sta lavorando la “Commissione per i nomi delle vie” perché si tratta di insediamenti specifici abitati da profughi e sfollati serbi. Personalmente non me la sento di accettare alcune proposte che irriterebbero la popolazione, non mi viene neanche in mente. Lassù dove abitano oggi gli sfollati serbi di Sanski Most e di Petrovica, ci sono circa 50 nuove strade a cui dare un nome.

Io avrei proposto che una via in città fosse dedicata a Esad Midžić. Ma non posso farlo in un villaggio a maggioranza serba. Loro non accettanno alcun nome musulmano per le loro vie, anche se si tratta di un eroe nazionale. Quando in città verrà costruita una nuova strada, ho proposto di dargli il nome di Esad Midžić, Mire Cikota e Sako Kovačević, eroe di Sutjeska. Adesso infatti che siamo nel XXI sec., dobbiamo pensare a come cambiare i nomi delle vie. Sia i serbi che i musulmani erano antifascisti nella Seconda guerra mondiale ed hanno combattuto contro il fascismo. E questo è l’importante. Io sono per dare i nomi di queste persone, ma in strade dove vivono sia i bosgnacchi sia i serbi… ma non posso chiedere di farlo in un contesto etnicamente puro10.

Per quanto riguarda i monumenti di quest’ultima guerra, esiste una politica ufficiale da parte del comune?

Penso che non esista una politica ufficiale. Per quanto riguarda il comune di Prijedor, esiste un monumento centrale per i combattenti della guerra patriottica, di quest’ultima guerra, la croce fatta da Miodrag Živković11. Adesso si sta parlando di scrivere tutti i nomi dei combattenti caduti di Prijedor12.

Per decisione dell’Organizzazione dei combattenti di questa guerra, così come molte aziende ed imprese hanno messo delle targhe commemorative o dei piccoli monumenti all’interno delle loro proprietà in ricordo dei combattenti provenienti dalle loro fila. Molte aziende hanno i loro monumenti.

I bosgnacchi13 allora hanno iniziato, rispetto a tutto quello che è successo a Prijedor, a mettere in prevalenza vicino ai luoghi di culto, tranne che a Kozarac, monumenti o targhe commemorative su cui hanno scritto quanti sono caduti nel periodo ’91-95 e i loro nomi. Penso invece che il Comune non abbia messo bocca su quanto hanno fatto a Kozarac, non si è pronunciata né in senso positivo né in senso negativo. Il monumento nel centro di Kozarac è stato fatto dalla circoscrizione locale14.

Per quanto riguarda i luoghi di culto, esiste una Commissione per i monumenti nazionali a livello di Bosnia Erzegovina che ha proclamato tutti i luoghi di culto distrutti che fossero musulmani o croati o serbi, monumenti culturali protetti a livello nazionale e ha decretato che se ne permettesse la ricostruzione negli stessi luoghi e uguali a come erano prima. Per questo è tornata la moschea in città, nella città vecchia, a Kozarac, così come le chiese distrutte a Mostar e in altri luoghi.

Attualmente quindi ognuno erige i propri monumenti. Pensa sia possibile una politica condivisa della memoria?

Ci vorrà molto tempo. Esiste però una sezione per la questione dei combattenti in comune che conosce sicuramente dove vengono eretti i nuovi monumenti. Ma tutto ciò è profondamente politico ed io mi occupo di cultura.

Io ricordo sempre che sul Kozara ci sono state circa 45.000 vittime. Purtroppo allora, nel 1941, una parte della popolazione locale musulmana e croata accolse subito lo Stato Indipendente Croato. Ho trovato su un sito un testo di Izudin Čauseviċ, musulmano e combattente durante la Seconda guerra mondiale, che fa venire i brividi che narra le vicende fin dai primi giorni della battaglia sul monte Kozara nel 194115. Racconta che ci furono incredibili uccisioni e stragi. In due giorni vennero uccise 4.000 persone, ma non col fucile bensì con i coltelli e pezzi di legno. Esistono libri e libri su questi avvenimenti. Questa memoria non è ancora superata. Non voglio passare per nazionalista, ma non esiste neanche una famiglia serba qui che non abbia almeno un componente morto nella Seconda guerra mondiale.

Capisci quanto sia difficile. Io so come sono andate le cose in questa guerra e nessuno mi può chiamare aggressore. Ciò nonostante ancora oggi nella televisione della Federazione croato-musulmana dicono “aggressori” e “politica di aggressione”. Chi è l’aggressore quando io e il mio vicino di casa siamo nati qui, ed io attacco la Bosnia. Ma io mi sono soltanto difeso perché volevamo vivere qui, noi volevamo essere parte della Jugoslavia mentre loro volevano diventare uno Stato a sé stante. Noi non volevamo stare in uno Stato in cui ogni testa aveva un voto e ci saremmo così ritrovati in minoranza. Così è infatti la mappa nazionale della Bosnia Erzegovina.

Diciamo, ad esempio, che ci sono circa un milione di serbi e un milione e 800mila di musulmani. Che Stato poteva essere in cui ogni abitante avrebbe avuto un voto e non si sarebbe potuto far niente, perché 1.800.000 sarebbero stati in maggioranza su un milione. E noi non volevamo vivere in uno Stato del genere. Noi volevamo restare parte della Jugoslavia che oggi purtroppo non c’è più.

Per questo servirà molto tempo perché le nuove generazioni che vivranno assieme… D’altronde ci sarà sempre scritto da qualche parte “Scusate, ma non possiamo dimenticare”. Queste memorie non saranno dimenticate mai né da una parte né dall’altra.

 

L’intervista si conclude con la visita nel deposito del Museo dove mi lasciano gentilmente fotografare il busto di Esad Midžić. Il deposito, come luogo fisico della conservazione delle memorie rimosse, contiene numerosi oggetti interessanti che riesco a vedere di sfuggita. Oltre al busto di Midžić , vi trovo la foto di Josip Broz Tito, presente in tutti i luoghi pubblici, un suo busto in ottone che si trovava all’ingresso del Museo e numerose casse che, mi viene detto, contengono decine e decine di fucili e armi della Seconda guerra mondiale.

 

Bibliografia di riferimento:

– AA.VV., Narodni heroji Jugoslavije, inMladost“, Belgrado, 1975.

– Izudin Čaušević, Ustaška vlast i teror na Kozari 1941. – 1942. godine in Kozara u narodnooslobodilačkoj borbi i socijalističkoj revoluciji (1941-1945): radovi sa naučnog skupa održanog na Kozari (Mrakovica) 27. i 28. oktobra 1977 su http:www.znaci.net/

– Branka Jesilavac, Ljubija Sjećanja jača od željeza, Muzej Kozare, 2011.

– Dragoja Lukić, Kozarsko djetinjstvo, Nacionalni parkt »Kozara« Prijedor

– Peklć — Ćurguz, Bitka na Kozari, Nacionalni park »Kozara« Prijedor

– Jože Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni. Storia di tre nazioni, Il Mulino, 1995

 

Note:

1 Ljubija è il paese in cui venne costruito già nel 1917 da parte degli austroungarici la miniera di ferro e attorno a cui si è sviluppata l’intero sviluppo prima economico poi anche sociale della Municipalità di Prijedor. Lo sciopero capeggiato da Toni Peric e Drago Lukic i cui busti sono ancora presenti nel parco cittadino di Ljubija. Branka Jesilavac, Ljubija Sjećanja jača od željeza, Muzej Kozare, 2011.

2 Il Mrakovica è la cima del complesso montuoso del Kozara. Luogo dove si svolse una famosa battaglia è ora il luogo dove si trova un monumento, un museo e il Parco Nazionale del Kozara dedicati alle vicende della Seconda Guerra Mondiale.

3 Nel raccontare le vicende della II guerra mondiale, si può osservare le numerose frasi interrotte, così come i tentennamenti ed in particolare la puntualizzazione sugli ustasa, indicative di una difficoltà a trattare l’argomento in maniera distaccata. Più volte, infatti, il direttore sente la necessità di ricordare che non solo i cetnici erano a fianco dei tedeschi ma anche gli ustasa, così come l’esigenza di ricordare che nel territorio di Prijedor non esistevano bande cetniche. Queste difficoltà si spiegano con l’esigenza di salvaguardare una memoria locale di serbi senza macchie ed esclusivamente vittime. Come spiegherà più avanti, questa memoria rappresenta la base narrativa e di legittimazione della loro posizione di non colpevoli nei confronti di tutti gli avvenimenti successivi.

4 Si è scelto di tradurre l’espressione “narodni heroj” con eroi nazionali invece che eroi popolari come sarebbe traducendo alla lettera, perché convinti che la prima opzione si avvicini di più al significato e alle sensazioni che deve richiamare.

5 L’espressione utilizzata è vjekovna ognjista che alla lettera sarebbe focolari secolari. L’espressione arcaica ed evidentemente standardizzata denota una certa retorica e ideologizzazione del discorso.

6 Ratsko Nemanja, diventato monaco col nome di Sava è stato un importantissimo personaggio della storia serba medievale, non tanto come figura di educatore, quanto piuttosto perché divenne nel 1219 il primo arcivescovo della chiesa metropolita autocefala serba. Lui e il padre Stefano Nemanja, che portò il regno serbo medievale al suo apogeo nel XIII sec. anche grazie a Sava, rappresentano i due miti e legittimanti della nazione serba, il potere temporal e il potere religioso. Jože Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni. Storia di tre nazioni, Il Mulino, 1995

7 Ovvero il monumento appena terminato dedicato ai caduti serbi nella guerra del ’92 – ’95.

8 Purtroppo gli aggettivi “nacionalni”, ovvero nazionale e “narodni”, alla lettera popolare, sono spesso ambigui, a volte si fa riferimento alla nazione come popolo altre volte alla nazione come stato. Ma trovandosi in una situazione in cui non esiste uno stato-nazione omogeneo, questa distinzione diventa determinante. Qui non si capisce se si riferisce alla storia della Bosnia Erzegovina come stato o se si riferisce alla storia della nazione serba che è quindi diversa sia dalla storia dello Stato serbo che dalla storia dello Stato bosniaco.

9 Stipe Mesić, presidente della Repubblica Croata dal 2000 al 2010 e figura politica centrale della Jugoslavia e della sua fine.

10 La parte in corsivo è ripresa interamente dal colloquio avuto con il direttore del museo Radivojac il 16 settembre 2011. Tra I diversi argomenti affrontati il direttore aveva illustrato anche la questione della Commissione per i nomi delle strade che qui accenna solamente perché già affrontato.

11 Miodrag Živković è anche l’autore del celebre monumento dedicato ai caduti della battaglia di Sutjeska della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un particolare di non poco rilievo proprio perché ci dà l’ennesimo caso di risemantizzazione dei monumenti e quindi della memoria della lotta partigiana. Si tratta dello stesso procedimento mentale adottato dal direttore nell’illustrare le ragioni dei serbi nella guerra degli anni ’90, ricorrendo agli avvenimenti della Lotta partigiana e mescolando elementi anifascisti e nazionali.

12 Qui l’intervistato senza rendersene conto sorvola sul fatto che “tutti i combattenti” sono in realtà soltanto i combattenti serbi. Le vittime non serbe di Prijedor sono state per oltre il 95% composte da civili, mentre i caduti serbi di Prijedor sono quasi esclusivamente militari.

13 Cittadini bosniaci di religione musulmana.

14 Si fa riferimento ad un nuovo monumento inaugurato da non più di un anno nel centro della cittadina di Kozarac, quasi completamente rasa al suolo e “ripulita” durante il ’92. Su questo monumento vi sono iscritti i nomi di tutte le vittime, distinte tra militari dell’Armata Bosniaca e civili.

15 Il riferimento bibliografico è probabilmente al testo Izudin Čaušević, Ustaška vlast I teror na Kozari 1941 – 1942 godine che si trova sul sito http://www.znaci.net/, dove non ci sono però ulteriori riferimenti bibliografici.

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