Amnistia

E’ il candidato all’Oscar da parte dell’Albania come miglior film straniero. E’ "Amnistia", di Bujar Alimani. Una storia senza speranze, a dispetto del titolo. Verrà presentato a Torino sabato prossimo

27/10/2011, Nicola Falcinella -

Amnistia

Dalla locandina del film "Amnistia"

Viene presentato sabato a Torino, alle 19 al Cineporto di via Cagliari 42 (e replica alle 22), il film albanese “Amnistia” di Bujar Alimani. Il film d’esordio del quarantaduenne regista è il candidato dell’Albania per l’Oscar al miglior film straniero e ha vinto, tra le altre cose, il premio C.I.C.A.E del Festival di Berlino (dove era nella sezione Forum) e del premio Cineuropa al Festival di Lecce.

Saranno presenti l’autore Bujar Alimani e l’attrice protagonista Luli Bitri, che incontreranno il pubblico. La serata è organizzata dal Centro di cultura albanese in collaborazione con l’associazione Piemonte Movie, Ipsia e Bota Shqiptare, con il patrocinio del Consolato generale della Repubblica d’Albania in Italia e della Federazione delle associazioni albanesi, Italo-Albanesi e Arbereshe del Piemonte.

L’incontro sarà condotto da Benko Gjata, corrispondente Ata in Italia, con gli interventi di Roland Sejko, giornalista e documentarista, editore di “Bota Shqiptare”, il settimanale della comunità albanese in Italia, e Alessandro Gaido, presidente di Piemonte Movie.

Si tratta del primo film in coproduzione tra Albania e Grecia: il regista è emigrato in Grecia nel ’92, dopo aver studiato pittura e regia all’Accademia di Belle Arti di Tirana, e ha lavorato in numerose produzione elleniche fin dal 2002 e realizzato cortometraggi premiati in vari festival.

Una storia senza speranze a dispetto del titolo. Una donna (Luli Butri) e un uomo (Karafil Shena), lui di Tirana, lei della provincia, vanno una volta al mese in carcere. È l’unico momento nel quale è concesso loro avere un rapporto sessuale, in stanze squallide con le sbarre, con i rispettivi consorti.

Il regista Bujar Alimani

I carcerati non si vedono neanche in volto. Sono i due che stanno fuori a interessare il regista: si incontrano per caso, si notano, piano piano iniziano a parlarsi, a percorrere un tratto di strada insieme, poi bere un tè seduti in un bar e infine a innamorarsi.

Intanto non si trova lavoro, le fabbriche chiudono, le condizioni di vita per loro sono sempre più difficili. Quando il suocero intuisce che qualcosa sta succedendo e prova a impedirle di vedere la figlia, la donna fugge nella capitale chiedendo ospitalità e aiuto a un’amica. Ma nessun rifugio è al sicuro. E quando i detenuti vengono scarcerati grazie a un’amnistia le cose precipitano.

Cominciare un’esistenza nuova e magari più serena è impossibile in una società patriarcale, così la violenza e l’antico codice “d’onore” vincono sull’amore. Ne risulta un film maturo e forte, con un’attenzione al realismo dei luoghi e dei colori e uno stile coerente e asciutto.

Purtroppo il lavoro è un po’ intaccato da un finale dove accadono alcune piccole cose di troppo, sottolineature dalle quali Alimani era riuscito per oltre 80 minuti a stare lontano. Resta un film d’esordio notevole, con una storia attuale e per niente banale, che, partendo dai sentimenti e dalle emozioni dei due protagonisti riesce e raccontare un Paese in cambiamento. Dove passato e presente stridono, dove tradizioni e libertà spesso non si accordano, dove i modi di vita della campagna sono molto diversi da quelli della città. E dove il rispetto e la compassione vengono messi in secondo piano da vecchi e non più condivisi codici di comportamento.

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