Un voto e mezzo in Ossezia del Sud
Domenica 13 novembre è giorno di elezioni in Ossezia del Sud. Si vota un referendum sulla lingua russa e per le presidenziali. 17 i candidati in queste ultime, un numero elevato che fotografa – più che pluralismo politico – frammentazione di cricche e interessi. Nel frattempo, voci a favore dell’unificazione dell’Ossezia del Sud con Ossezia del Nord e Russia si fanno sempre più insistenti
Il 13 novembre si vota nell’autoproclamatasi "Repubblica dell’Ossezia del Sud". I cittadini eleggeranno il nuovo “Presidente della Repubblica” e esprimeranno la loro preferenza su un quesito referendario. Cosa cambierà dopo il voto?
Il Referendum
Per quanto riguarda il referendum, poco o niente cambierà. Il quesito, con il quale si chiede ai cittadini se sono d’accordo che sia il russo che l’osseto siano lingue statali, corre sul filo della sottile distinzione tra lingua statale/nazionale e lingua ufficiale. Attualmente, lingua statale in questo territorio autoproclamatosi indipendente ma con limitato riconoscimento internazionale è solo quella osseta, mentre secondo l’articolo 4.2 della legge fondamentale delle de facto autorità di Tskhinvali “la lingua russa, insieme a quella osseta e il georgiano – nei luoghi di insediamento di cittadini della Repubblica dell’Ossezia del Sud di nazionalità georgiana – sono riconosciute come lingue ufficiali degli organi di potere statale, del governo nazionale e locale della Repubblica dell’Ossezia del Sud”.
Un referendum pleonastico? O un modo velato per escludere il georgiano senza indire un esplicito voto in merito? Per ottenere una risposta definitiva bisognerà attendere se e come la costituzione verrà cambiata a seguito dell’esito referendario. In realtà, sembra proprio che il referendum non sia stato indetto per consolidare lo status del russo, che nessuno mette in dubbio, o per eliminare il georgiano dalla costituzione, ma avrebbe soprattutto un valore politico. In coincidenza con il voto presidenziale, suona infatti come una captatio benevolentiae verso il governo della Federazione Russa soprattutto perché i rapporti fra protettore e protetto in questo periodo non sono affatto esenti da problemi. C’è una Mosca che già da un po’ non ama più il presidente uscente Eduard Kokoity. Sicuramente da quando i rubli stanziati per la ricostruzione hanno cominciato a smarrirsi da qualche parte, nel percorso che dalle mura del Cremlino arrivava a quelli colpiti dai mortai a Tskhinvali.
Sono così finiti in un nulla di fatto le varie manovre che avrebbero potuto portare alla rielezione di Kokoity e Mosca sembra aver identificato un altro uomo di fiducia. Che più che un alleato fedele sempra essere una sorta di amministratore delegato.
La campagna elettorale
Per comprendere meglio la situazione, è utile però fare un passo indietro di qualche mese, a partire dall’aprile di quest’anno, quando sono in effetti iniziati i preparativi per il voto del prossimo fine settimana. Ancora una volta, è utile guardare alla Costituzione, in questo caso all’articolo 48, che – dopo l’emendamento di aprile – prevede che possa essere eletto presidente solo chi risiede in modo permanente nella Repubblica da almeno dieci anni. Sulla base del requisito di residenza, più di una decina dei 30 candidati iniziali sono stati rigettati dal Comitato Elettorale Centrale (CEC) di Tskhinvali.
Un numero così elevato di rigetti va contestualizzato: per gli osseti che abitano la regione, il confine fra Ossezia del Nord e del Sud è blando, ed è difficile considerarlo un autentico “confine di Stato”. I legami fra i due territori sono forti e molte persone muovono con relativa facilità la propria residenza o il proprio domicilio da una parte all’altra. C’è poi il capitolo a parte degli affari con e a Mosca, che hanno portato molti uomini d’affari osseti nella capitale russa per lunghi periodi.
Fra i candidati respinti spiccano nomi eccellenti, e in particolare Albert Dzhussoev di “Avanti, Ossezia!”, Roland Kelekhsaev, leader del Partito Popolare, all’opposizione, e Dzhambolat Tedeev. L’esclusione del primo e le polemiche da essa scatenate sarebbero il movente dell’omicidio di un uomo del suo partito, Soslan Khugayev, freddato a Vladikavkaz due giorni dopo il verdetto del CEC.
Il caso Tedeev è ancora più eclatante. Il cognome del clan Tedeev vuol dire parecchio nella piccola “Repubblica”. Si ritiene che i Tedeev abbiano gestito per anni i trasporti che portano alla Russia, e il loro supporto o meno nelle campagne politiche precedenti aveva sempre avuto un certo peso. Un peso tale da averli infine resi competitori alla presidenza, fino al 12 ottobre, quando il CEC ha rifiutato la candidatura di Dzhambolat, che nel giro di 24 ore è stato estradato in Russia. E’ seguita al rifiuto una manifestazione degli uomini di Dzhambolat Tedeev, asserragliati intorno alla casa del loro “padrino”.
I candidati
Video promozionale a sostegno della candidatura di Alla Dzhioeva
Rimangono ora 17 candidati, un numero elevato che fotografa – più che pluralismo politico – frammentazione di cricche e interessi. Alcuni osservatori sostengono sia una frammentazione pilotata in primis dall’uscente Kokoity che per mantenere intatto il suo potere, non essendo sicuro della vittoria di un proprio candidato, vuole un Presidente con un mandato debole. Il “suo” uomo sarebbe Georgy Kabisov (il quale peraltro, a detta di Tedeev, non soddisferebbe il criterio di residenza), ma la sua pubblica preferenza va – ufficialmente – all’uomo di Mosca Anatolij Bibilov, il candidato espresso dal partito di maggioranza, “Unità”.
Cinque candidati dell’opposizione hanno deciso di formare un blocco, e pur essendo tutti in lista, di unirsi intorno ad un’unica candidatura, sostenuta anche da altri due candidati: Alla Dzhioeva, ex ministro dell’Istruzione e unica donna in lista. Anche Tedeev ha invitato a votare per lei.
Bibilov, noto ma non popolare?
Il candidato Anatolij Bibilov parla del rischio di falsificazioni
Anatolij Bibilov ha una linea diretta con Mosca, come de facto “ministro per le Situazioni di Emergenza”, e sembra essersi garantito maggiore credibilità nella gestione dei fondi stanziati dal Cremlino. Il problema è che di credibilità, forse, ne ha più a Mosca che presso l’elettorato, per cui la sua affermazione non è scontata. E per questo nella prima metà di ottobre si sarebbe recato a colloquio con Vladimir Putin.
A risultati elettorali ancora incerti, anzi, a urne ancora chiuse, c’è già la mossa di Kokoity, che ha rimosso il presidente del Parlamento con forse l’idea di succedergli e di muovere i primi passi verso una riduzione dei poteri presidenziali. E c’è già pure la contro-mossa di Bibilov che a inizio novembre ha lanciato una petizione a favore del mantenimento di un sistema presidenzialista forte in Ossezia del Sud .
In un Paese isolato, in via di spopolamento (poco credibile il numero di 34.000 elettori fornito dal CEC), povero e con problemi di approvvigionamento di gas, acqua, luce, difficilmente questa battaglia accenderà gli animi dei votanti. O rafforzerà il rapporto di lealtà verso il governo e forse anche verso lo Stato. Le voci che vedono l’unificazione delle due Ossezie si fanno sempre più insistenti e lo stesso Putin ha dichiarato quest’estate che la Russia sarebbe pronta ad accettare ciò che il popolo osseto deciderà a riguardo. Secondo il presidente dell’Ossezia del Nord, i connazionali del sud non avrebbero dubbio su come rispondere a un referendum a riguardo: opterebbero per l’unione. Nel frattempo, lo stesso Bibilov, interrogato sul tema di un’eventuale unificazione con la Russia, ha dichiarato che– a titolo personale – lui sarebbe a favore.
(http://marilisalorusso.blogspot.com/ – il blog di Marilisa Lorusso dedicato al Caucaso del sud)