Albania, nascere col parto cesareo

E’ un fenomeno relativamente nuovo. Ma in rapida ascesa. Sempre più donne in Albania vengono spinte a scegliere il parto cesareo. E le medie stanno progressivamente raggiungendo quelle italiane, pecora nera in seno all’Ue. Un reportage

05/01/2012, Marjola Rukaj -

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(CapCatRagu/flickr)

Anila lavora presso una delle biblioteche di Tirana. La incrocio spesso e ci scambiamo qualche parola. In questi giorni di autunno inoltrato si lamenta di non stare bene, ha delle crisi che la piegano in due e che preoccupano i colleghi e i lettori della biblioteca. Lei li assicura che non è nulla, che passerà. Si siede sulla sedia più vicina, beve il bicchiere d’acqua che le porgono e spiega che è per via di una piaga che le è rimasta dai parti cesarei. “Nei giorni di pioggia, con l’umidità, capita”. Anila gradualmente si riprende rassicurando con un sorriso imbarazzato gli sguardi preoccupati e stupiti attorno.

Di parti cesarei ne ha subiti tre. Ha 33 anni e non soffre di alcuna malattia cronica. E’ di Tirana, laureata e ha un lavoro che le permette di condurre una vita normale, pur faticando a stare a passo dei ritmi della capitale. “Sono stata operata tre volte e la piaga anche tre anni dopo l’ultimo parto si fa sentire. I medici di solito mi dicono che è normale. Un chirurgo invece mi ha detto che il suo collega ha fatto su di me il lavoro di un macellaio. Non so che dire”, racconta. Le chiedo se abbia scelto lei di farsi operare tutte e tre le volte per via della paura del parto o per qualche altro motivo. “No – spiega – sono andata da uno dei migliori ginecologi di Tirana e mi ha detto che era meglio per sicurezza evitare le complicazioni del parto e sottopormi al parto cesareo. Né io né mio marito ci siamo soffermati sul perché, ci fidiamo di lui”.

Albania, Italia e USA

Come Anila ben il 30% delle donne che partoriscono in Albania si sottopongono al parto cesareo. Nei Paesi dell’Ue la percentuale dei parti cesarei non supera quasi mai il 20%, ad eccezione dell’Italia dove si sfiora il 40%. A quota 30% come l’Albania risultano anche gli USA, pur essendo una realtà senza dubbio poco paragonabile a quella albanese.

Il fenomeno è una novità dell’Albania degli ultimi anni. “Prima non avevamo le condizioni adeguate per tutte queste operazioni, ed eravamo costretti a operare solo i casi più estremi. Avevamo problemi in particolar modo con l’anestesia", spiega la ginecologa Vjollca Tare della clinica Ostetrica “Mbreteresha Geraldine” di Tirana.

“E’ più comodo rispetto al parto naturale, poiché è programmabile e le madri e i bambini posso tornare a casa entro 48 ore dal parto – spiega Rubena Moisiu, primaria della clinica “Kiço Gliozheni” di Tirana – nonostante i rischi siano in alcuni casi maggiori rispetto al parto naturale”. Partorire su appuntamento, ed evitare i dolori del parto, sembra quindi essere una tendenza trendy tra le giovani donne. Ma, come nel caso di Anila, è un fenomeno ben stimolato da medici specialisti.

Ippocrate, il capitalista

“Il parto è un servizio gratuito” affermano tutti i medici delle cliniche pubbliche. Anila invece, che ha partorito ben tre volte, afferma di aver pagato circa 300 euro per ogni parto. “Devi pagare tutto – mi spiega – le infermiere, il medico, a volte le medicine. Si arriva ai 300 euro”. Si tratta della corruzione, vera piaga del sistema sanitario albanese. “Se non paghi, nessuno si occupa di te”, taglia corto Anila mentre menziono il termine “corruzione”.

La corruzione dei medici e le aggressioni nei loro confronti da parte di parenti di pazienti, spesso per motivi economici, sono all’ordine del giorno nel Paese balcanico. La corruzione è pratica socialmente accettata ed è difficile raccogliere le prove. In passato vi sono solo stati casi isolati in cui i giornalisti investigativi di qualche trasmissione fuori dalle righe hanno filmato di nascosto i medici che prendevano bustarelle in ospedali pubblici.

Per un parto naturale la cifra che viene richiesta è di circa 100 euro mentre, come abbiamo già evidenziato, per un parto cesareo si arriva ad una somma tre volte superiore.

A questo malcostume, e di pari passo, va aggiunta la continua crescita di cliniche private, attive in molte zone del Paese. “Non effettuiamo parti naturali, solo parti cesarei", mi spiega al telefono una delle segretarie di una delle più famose cliniche di Tirana. In media nelle cliniche private un parto cesareo costa 1000 euro, cifra decisamente esorbitante per il cittadino medio di un Paese come l’Albania.

Il lusso di scegliere

Chiedo ad Anila perché si è sottoposta al parto cesareo se non ne era convinta, e per ben tre volte. “I medici qui sono arroganti, non ti spiegano nulla e hanno un atteggiamento allarmante. Io ero scettica ma mio marito e mia suocera si sono allarmati e hanno obbedito in maniera acritica fino alla fine. Dicevano che mi dovevo fidare del miglior medico in città”, spiega.

Anila poi aggiunge di non aver fatto alcun percorso preparatorio al parto, di non aver mai sentito parlare di parto naturale con metodi alternativi né del fenomeno della depressione postparto. “I corsi di preparazione al parto sono sconosciuti in Albania e i metodi naturali alternativi come il parto nell’acqua o simili sono inimmaginabili”, conferma un medico pediatra alla clinica Kiço Gliozheni.

“Molte donne in Albania non sono informate sul proprio corpo, sulle cure da seguire, sulla sessualità. Spesso fanno delle scelte non spontanee ma ispirate a determinati modelli importati dall’estero. Ad esempio per quanto riguarda il parto cesareo il fatto che molte donne negli Stati Uniti vi si sottopongano è un elemento sufficiente per convincersi che il parto cesareo è più moderno, più sicuro e migliore di quello naturale”, spiega una sociologa di Tirana specializzata in questioni di gender.

In Albania non vi è alcun dibattito pubblico sul parto cesareo, a quello naturale o temi affini. E anche tra i movimenti della società civile vi è poca sensibilità in merito e in pochi si occupano di informare maggiormente l’opinione pubblica. In questo contesto il parto rimane un’esperienza poco piacevole da affrontare tra medici autoritari e capitalisti, scarsa informazione e mode esterofile che dilagano.

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