Slovenia: la fine della prima repubblica?
Era uscito trionfante dalle elezioni politiche dello scorso 4 dicembre. Ma per Zoran Janković nessuna poltrona da primo ministro, non è riuscito ad ottenere i voti sufficienti in Parlamento. Sono settimane convulse per la politica in Slovenia
In Slovenia oramai si sta vivendo l’apoteosi della prima repubblica. Dopo vent’anni di sistema proporzionale i politici hanno acquisito la stessa abilità che avevano i funzionari della DC o del Partito socialista negli intrighi di palazzo in Italia.
Il farraginoso sistema sloveno prevede che l’incarico di formare il nuovo governo sia conferito dal parlamento su proposta del capo dello stato, solo in caso di bocciatura in una seconda tornata possono essere i gruppi parlamentari o 10 deputati a proporre il nome del capo del governo. In caso di ulteriore rifiuto resta solo un altro tentativo di far eleggere il premier con maggioranza semplice prima che il parlamento venga sciolto e si vada al voto anticipato. Come se ciò non bastasse, eletto il primo ministro, bisogna poi tornare alla camera per ottenere la fiducia. E’ proprio nei meandri di questa procedura che la politica slovena è impegnata dal 4 dicembre.
Sembrava tutto facile…
Dopo il voto tutto sembrava facile. Slovenia positiva, del sindaco di Lubiana Zoran Janković, aveva avuto la maggioranza relativa ed a lui sembrava toccare l’incarico di formare il nuovo governo. Nell’ipotetica maggioranza oltre ai Socialdemocratici, del grande sconfitto Borut Pahor, e al Partito dei pensionati ci sarebbe potuto essere anche il Partito Popolare, ma ancor più la Lista civica di Gregor Virant, che in campagna elettorale aveva giurato la sua vocazione centrista e non aveva lesinato critiche nei confronti del leader del centrodestra, Janez Janša.
Ben presto è sembrato, però, che il principale imperativo fosse quello di fermare Janković, percepito come un vero e proprio intruso nella politica slovena. A tirargli la prima bordata ci ha pensato Pahor che ha subito messo in rilievo la sua natura autoritaria ed i potenti padrini che starebbero alle sue spalle; compari che, invece, lui avrebbe tentato di scrollarsi di dosso e che perciò, nella scorsa legislatura, avrebbero cercato sin dall’inizio di minare il suo governo.
Pahor, dopo aver quasi affossato la sinistra slovena, ha pensato bene di avallare in tal modo una delle tesi più care alla destra, confermando in maniera implicita l’esistenza dietro le quinte del fantomatico clan dell’ex presidente Milan Kučan.
Per gli amanti della teoria del complotto si tratterebbe di una potentissima e oscura lobby politica ed economica che avrebbe diretto la Slovenia negli ultimi vent’anni usando minacce e corruzione. Tra quelli che lanciarono la teoria, a metà degli anni Novanta, ci fu Danilo Slivnik, un ex membro del comitato centrale che aveva fatto carriera nei giornali e che era diventato organico alla destra. Si è suicidato, sparandosi alla testa, poche settimane fa, dopo che si erano fatte insistenti le voci di un suo coinvolgimento in una faccenda di riciclaggio di danaro proveniente dalla vendita all’estero di prodotti per il doping orchestrata da sua nipote col marito.
In ogni caso Pahor, che rischiava di venir rottamato dal centrosinistra, ha inizialmente cincischiato parecchio, facendo capire chiaramente che lui era disposto ad appoggiare la candidatura di Janković, ma non a entrare in coalizione con lui. Così hanno dovuto pensarci gli organi del suo partito a far tornare nei ranghi il risentito presidente.
La presidenza della Camera
Per calmarlo i suoi compagni gli avevano offerto di andare a coprire l’importante incarico di presidente della Camera. A quel punto però, ingenuamente, a non starci è stato Janković. Al primo appuntamento importante in parlamento così, il centrosinistra si è presentato con due candidati e per il centrodestra si sono aperte nuove “luminose” prospettive.
A Pahor, per farsi eleggere, non sono bastati i voti del suo partito, della Lista Virant e di Nuova Slovenia. In una caotica seduta costitutiva della Camera di stato a uscire sconfitto è stato proprio Janković, che alla terza votazione ha visto bocciato il suo candidato, dopo che Pahor si era ritirato. E’ stato infatti l’astro nascente della politica slovena, Gregor Virant , ad assicurarsi la seconda carica dello stato con 52 voti a favore su novanta. Una coalizione “ad hoc” è stato subito detto, ideata per uscire dall’empasse che vedeva il parlamento bloccato, ma che prefigurava una possibile coalizione di centrodestra.
L’idea di far eleggere Virant sarebbe venuta al leader del Partito dei pensionati, Karl Erjavec, che aveva in precedenza giurato la sua fedeltà incondizionata a Janković, ma che aspirava ad andare a fare proprio il presidente del parlamento, cosa che Janković non intendeva concedergli.
Virant ed Erjavec, oramai diventati il gatto e la volpe della scena politica slovena, in quattro e quattr’otto, sono riusciti a far convergere anche i voti dei Democratici di Janša, dei Popolari e di Nuova Slovenia sul loro candidato. In cambio ai due più piccoli partiti di centro destra sono andate subito le due vicepresidenze della camera, mentre Janša ha immediatamente elaborato un accordo di coalizione spedito ai partiti che hanno contribuito all’elezione di Virant. Per Janša le cose si stavano mettendo bene. I giochi di palazzo avrebbero potuto restituirgli quello che gli elettori gli avevano tolto il 4 dicembre.
Janković bocciato
A quel punto a menare le danze è stato Virant, che aveva già iniziato a trattare con Janković, e che intanto s’era messo a negoziare anche con Janša, mentre in contemporanea lanciava l’idea di un governo tecnico o di unità nazionale, magari guidato da qualche “mago” della finanza.
Un governo di larghe intese, del resto, era stato caldeggiato dall’ambasciatore americano in Slovenia, Joseph Mussomeli, che si era messo disinvoltamente a discutere con le forze politiche di quale fosse il migliore governo per la Slovenia. Una intromissione giudicata inaccettabile dallo stesso capo dello stato Danilo Türk e da una buona fetta del centrosinistra, che però non ha per nulla intimorito il baldanzoso diplomatico che ha immediatamente incassato l’appoggio del Dipartimento di stato.
Il capo dello stato Danilo Türk, dalle consultazioni con le forze politiche, non ha potuto trarre grandi indicazioni. Tutte continuavano a sottolineare che la prima opportunità di formare il nuovo governo doveva essere data a Janković, ma se Nuova Slovenia, Democratici e Popolari avevano chiaramente detto che non intendevano appoggiarlo, la Lista Virant e il Partito dei pensionati tergiversavano, mentre il potenziale candidato poteva godere solo dell’appoggio dei Socialdemocratici e di Slovenia positiva. A quel punto a Türk non è rimasto che proporre Janković.
Gli uomini di Virant stavano trattando da un mese l’accordo di coalizione con lui, e sembrava che oramai l’intesa, anche con Socialdemocratici e Partito dei Pensionati, fosse raggiunta, tanto che era stato addirittura siglato l’accordo di coalizione. Rimanevano da definire solo alcuni dettagli, ma alla fine la Lista Virant si è tirata indietro ed ha annunciato che non avrebbe votato per Janković e che avrebbe continuato le trattative con Janša.
A quel punto era chiaro che il leader di Slovenia positiva non avrebbe avuto la maggioranza alla camera, anche se sperava di ottenere i voti necessari grazie ai franchi tiratori. Per evitare un simile scenario i deputati di centrodestra hanno boicottato in massa il voto evitando di ritirare le schede per il voto segreto. Janković, così, non ha avuto nemmeno i 44 voti che gli erano stati promessi dai suoi alleati.
A fine mese si continua
Ora il gioco continua. La camera tornerà a riunirsi a fine mese ed a quel punto se nessuno dovesse ottenere l’incarico nuove elezioni anticipate sarebbero alle porte. Il centrodestra, sempre che Virant alla fine non cambi idea, al momento potrebbe contare su 44 voti.
Tutto è nelle mani del Partito dei pensionati. A Karl Erjavec sarebbe stata offerta l’importante poltrona di ministro degli esteri. Nel suo partito però ci sarebbe più di qualche remora ad allearsi con Janša, mentre sullo stesso candidato del centrodestra pesa l’ombra del processo a suo carico per corruzione a causa della fornitura dei blindati Patria all’esercito sloveno.