Emergenza libertà di stampa in Turchia

E’ emergenza libertà di espressione in Turchia, dopo l’arresto a fine dicembre di 40 giornalisti in un sola notte per presunti legami con organizzazioni t[]istiche. Secondo Human Rights Watch questi arresti sarebbero la conseguenza di “una definizione troppo ampia di t[]ismo, che consente l’imposizione arbitraria delle più pesanti condanne" 

30/01/2012, Alberto Tetta - Istanbul

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Istanbul, manifestazione per la libertà d'espressione (foto Fazıla Mat)

Libertà d’espressione in Turchia? Durissimo il giudizio di Reporter senza frontiere: “Sebbene si proponga come modello, la Turchia occupa la 148esima posizione della nostra classifica. Ben lontano dall’aver implementato le riforme promesse, il sistema giudiziario ha lanciato un’ondata di arresti di giornalisti senza precedenti dopo la fine della dittatura militare” recita il rapporto annuale sulla libertà d’espressione pubblicato il 25 gennaio dall’organizzazione. Secondo l’opposizione: “E’ in atto una svolta autoritaria il cui obiettivo è mettere in carcere chiunque si opponga al governo”. “Dobbiamo colpire chi fiancheggia il t[]ismo” risponde il ministro degli Interni Idris Naim Şahin.

La maxi operazione di dicembre

Alle sei del mattino del 23 dicembre inizia una maxi-operazione di polizia. A Istanbul, Ankara, Diyarbakır, Van, Izmir e Adana, gli agenti fanno irruzione nelle redazioni delle agenzie Diha e Etha, del quotidiano curdo Özgür Gündem e nelle abitazioni private dei loro giornalisti arrestando 38 persone, tutte accusate di “propaganda t[]ista” e di legami con il Koma Civakên Kurdistan, organo dell’autonomista Partito dei lavoratori del Kurdistan incaricato di organizzarne l’azione nelle città. Il “processo Kck”, che vede imputati 151 persone tra politici, attivisti e militanti curdi è solo uno dei maxi-processi in corso in Turchia in questi mesi. Centinaia di personalità di spicco con background politici diversi, tra cui decine di giornalisti, sono stati accusati di t[]ismo e arrestati.

Secondo Human Rights Watch questi arresti sarebbero la conseguenza di “una definizione troppo ampia di t[]ismo, che consente l’imposizione arbitraria delle più pesanti condanne previste dalla legislazione anti-t[]ismo contro persone riguardo alle quali le prove sono poche. I giudici – continua HRW – spesso aprono procedimenti giudiziari contro individui solo per testi o discorsi non-violenti e gli arresti avvengono senza tenere nella giusta considerazione l’obbligo di proteggere la libertà d’espressione” scrive l’organizzazione nel suo ultimo rapporto annuale pubblicato il 22 gennaio.

Il giardino sul retro

Quasi a confermare i timori di HRW le dichiarazioni del ministro degli Interni İdris Naim Şahin, secondo il quale per sradicare il t[]ismo non è sufficiente la repressione delle organizzazioni armate: “Il t[]ismo ha un giardino sul retro da cui si alimenta. C’è chi si prodiga per mostrare che le organizzazioni t[]istiche hanno ragione e sono innocenti e legittime. Una parte dell’opinione pubblica non si rende conto di questo. C’è chi distorcendo i fatti, raccontando la realtà secondo i propri parametri, cercando diversivi, sostiene il t[]ismo attraverso articoli, racconti, poesie o dipingendo quadri, abbattendo così il morale dei soldati e dei poliziotti che fanno il proprio dovere.”

Tutuklu Gazete o il giornale detenuto

I giornalisti dal carcere, tuttavia, respingono l’accusa di fiancheggiare il t[]ismo e lo denunciano con l’unico mezzo rimasto loro per comunicare con i propri lettori: lettere che dopo essere state sottoposte alla censure delle autorità carcerarie vengono pubblicate sulle colonne di Tutuklu Gazete (Giornale detenuto, in turco) un periodico stampato in 100mila copie e distribuito nelle edicole come allegato dei quotidiani Birgün, Evrensel, Aydınlık e Atılım. “Siamo giornalisti non t[]isti” il titolo sulla prima pagina di questo anomalo giornale.

“Lavori in linea con le norme deontologiche della professione vengono definiti pubblicazioni atte a ‘danneggiare il governo’ – spiega Tutuklu Gazete – posto che l’obiettivo delle organizzazioni t[]istiche è ‘far cadere il governo con atti violenti’, di conseguenza i giornalisti sono accusati di ‘sostenere le organizzazioni t[]istiche nel perseguimento dei loro obiettivi’ attraverso le loro pubblicazioni. Questi tragicomici teoremi accusatori fanno ridere, purtroppo però producono conseguenze alquanto serie e gravi. I nostri colleghi sotto processo rischiano tra i 10 e i 15 anni di carcere. Ci sono giornalisti che rischiano condanne a centinaia di anni.”

Articolo 301, reato d’espressione, legge anti-t[]ismo

Nel 2005 era stato il processo contro lo scrittore e premio nobel Orhan Pamuk e la condanna del giornalista turco-armeno Hrant Dink (poi assassinato da militanti ultra-nazionalisti nel 2007) ad attirare l’attenzione della stampa internazionale. Entrambi erano accusati, in base al famigerato articolo 301 del codice penale turco, di “offesa alla turchità” per le loro dichiarazioni relative al genocidio armeno. Nel 2011 è stato invece l’arresto di due giornalisti, Ahmet Şık e Nedim Şener, presunti membri dell’organizzazione eversiva “Ergenekon” a fare sorgere nuovi dubbi sul reale livello di libertà di espressione in Turchia.

Punto di rottura

L’arresto dei due giornalisti, tuttavia, ha segnato un punto di rottura. Mentre in passato gli intellettuali e i giornalisti che facevano affermazioni in contrasto con la versione ufficiale turca su temi tabù come il genocidio armeno, le violenze dell’esercito, i desaparecidos del colpo di stato militare del 1980 o le esecuzioni extragiudiziali di militanti curdi negli anni ’90, venivano puniti per reati d’espressione previsti dal codice penale, a partire dal 2011 la stragrande maggioranza dei giornalisti è stata arrestata in base a reati previsti dalla legislazione anti-t[]ismo.

Così è accaduto per Ahmet Şık, importante giornalista turco, con alle spalle collaborazioni con importati quotidiani come Cumhurriyet, Evrensel, Radikal e il diffusissimo settimanale Nokta, viene arrestato il 6 marzo 2011 assieme al collega Nedim Şener. L’accusa è fare parte di Ergenekon, un’organizzazione eversiva costituita allo scopo di rovesciare il governo islamista moderato democraticamente eletto, l’unica prova la bozza di un libro non ancora pubblicato “L’esercito dell’Imam”, un’inchiesta che svela come membri della potente confraternita islamista di Fetrullah Gülen, leader religioso vicino al governo, stiano assumendo il controllo delle forze di polizia. Secondo i giudici la pubblicazione del libro pochi mesi prima delle elezioni sarebbe stato uno degli atti tesi a destabilizzare il governo screditando il Partito della giustizia e dello sviluppo di Erdoğan.

Ancora in carcere

Ahmet Şık e Nedim Şener, a quasi un anno dal loro arresto, come decine di altri loro colleghi, sono ancora in carcere, nessun’altra prova che siano membri di Ergenekon è stata trovata, oltre alla bozza del loro libro. “In Turchia dal 2011, giorno dopo giorno la situazione si fa più difficile per chi è dalla parte della verità e la giustizia. Professori universitari, studenti, giornalisti e editori dissidenti vengono arrestati. Le critiche verso un dato gruppo di potere – che sia il governo, una confraternita religiosa, il potere giudiziario o la polizia, in un regime democratico non possono essere considerate reato. Questo tipo di pratiche illegali avvengono solo nelle dittature e nei regimi fascisti, non nelle democrazie”, ha dichiarato Şener nel corso della sua arringa difensiva lo scorso cinque gennaio.

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