Romania: la rivolta creativa e il ritorno al politico

Settimane di proteste di piazza, in un Paese dove raramente i cittadini hanno protestato contro il "potere". Ne abbiamo parlato con Vintila Mihailescu, antropologo, tra i più lucidi intellettuali romeni

23/02/2012, Cristina Bezzi -

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Vintila Mihailescu

Le manifestazioni di piazza iniziate in Romania a metà gennaio che hanno condotto alle dimissioni del capo del governo Emil Boc, si sono momentaneamente arrestate a causa delle condizioni atmosferiche che hanno letteralmente bloccato il Paese.

Sebbene le voci di piazza protestassero anche contro le dure misure di austerità imposte dal governo Boc, chiedendone le dimissioni, la natura della protesta è stata in sé più complessa ed ampia proprio perché ha coinvolto l’intera società romena.

Quale è stato quindi il significato di questa protesta per la Romania e quali i possibili risvolti futuri?

Ne parliamo con il professor Vintila Mihailescu, antropologo di primo piano in Romania. Nato nel 1950, è stato direttore del Museo del contadino di Bucarest ed attualmente è direttore del master in antropologia presso la Facoltà di scienze politiche a Bucarest. Dal 1998 scrive regolarmente sulla rivista indipendente di cultura e critica Dilema Vechie.

Il popolo romeno non è così abituato alle proteste di piazza…

La rivolta di gennaio ha sorpreso tutti, credo anche gli stessi manifestanti, perché è da molti anni che non si scendeva in piazza. I sindacati sono praticamente inesistenti quindi la capacità di mobilitazione per una protesta, uno sciopero, una manifestazione era andata persa.

Quello che è stato speciale è che la protesta è stata assolutamente spontanea e che ha mobilitato moltissime persone in pochi minuti; è stato un innescarsi brusco dei malcontenti popolari che durano oramai da alcuni anni.

La scintilla è stata un gesto del presidente Băsescu, che ha innervosito tutto il Paese obbligando alle dimissioni, in diretta TV, un funzionario ammirato da tutti per aver messo in piedi, in Romania, il sistema del pronto soccorso. Un sistema che funziona molto bene ed è un modello esemplare per tutta Europa. E che per i cittadini rappresenta il diritto alla vita, la garanzia che se ti succede qualcosa c’è un servizio che funziona. Era uno dei pochi servizi nel Paese che funzionava e di cui tutta la gente era contenta. Nel momento in cui il presidente ha fatto questo gesto – in modo tra l’altro arbitrario, eccessivo e tiranno – la gente si è sentita letteralmente in pericolo di vita.

Una volta scesi in strada, immediatamente dopo le dichiarazioni di Băsescu, di fatto non si protestava più solo per il sistema sanitario ma anche per tutti i problemi che vi sono nel Paese.

Si è fatto spesso un paragone con le proteste dell’89, così come tra le figure di Ceauşescu e Băsescu. Che pensa al riguardo?

È un paragone metaforico e superficiale, fatto in particolare perché le proteste sono iniziate in Piazza Università, come nell’89. Ma non sono la stessa cosa. In primo luogo perché le proteste attuali hanno mobilitato molte persone ma non tutto il Paese. Nell’89 invece l’intera Romania si era mobilitata e nell’89 la gente sapeva molto bene che cosa voleva, aveva un programma, voleva abbattere il regime, aveva richieste molto chiare.

Adesso invece siamo di fronte a proteste dalla natura più "psicologica" che non politica in cui si esprime malcontento, ma non si può dire vi sia un programma politico chiaro. In piazza si diceva "Vogliamo le elezioni anticipate, vogliamo la destra e non la sinistra, o vogliamo un ‘altra costituzione…." ma non esistono richieste politiche chiare.

Questo anche per quanto riguarda il paragone tra Ceauşescu e Băsescu?

Certo. Anche Băsescu ha avuto degli "eccessi dittatoriali", ha fatto cioè scelte arbitrarie e da solo, ma da qui a dire che viviamo in una società come ai tempi di Ceauşescu è un’aberrazione. Viviamo comunque in una società democratica: possiamo parlare al telefono liberamente, ai tempi di Ceauşescu questo non sarebbe stato possibile. Avresti avuto in un attimo la Securitate a bussare alla tua porta.

Gli intellettuali hanno avuto un ruolo particolare nella protesta? Quale?

Essenzialmente si deve capire che questa è una rivolta "work in progress", non esisteva fin dall’inizio una lista chiara di cose contro cui protestare, ma questa si è creata durante il percorso. Cioè la protesta del primo giorno e quella del terzo e quella della terza settimana non sono la stessa cosa. Solo ora, almeno fino a quando le condizioni climatiche e la neve non hanno iniziato a peggiorare, hanno iniziato a crearsi alcuni gruppi che iniziano a formulare delle richieste politiche chiare.

Sono gruppi che hanno un’appartenenza politica, partitica?

Foto: Vlad Petri

C’è un altro elemento interessante da rilevare. Si può dire vi siano state praticamente due rivolte. Da una parte vi sono persone in età matura, alcuni sono pensionati o vicini alla pensione, che esprimono rivendicazioni legate alle pensioni, alle leggi di austerità e a situazioni di povertà. Una protesta quindi incentrata sul presente.

Dall’altra ci sono gruppi di giovani che sono più attivi e più organizzati, che vedono le cose in modo più ampio, più in prospettiva. La prima richiesta del primo gruppo era un cambio di governo, mentre per i giovani questo punto era importante ma non fondamentale.

Perché guardando le cose in prospettiva non ha nessun senso cambiare un governo con un altro che poi farà lo stesso lavoro. Quello che loro desiderano è piuttosto un cambio fondamentale della classe politica e non solo del governo. Un cambiamento nello stile di fare politica e non solo della strategia attuale. Quindi sono richieste più generali e che prevedono una lotta più lunga.

Ma questi giovani si stanno organizzando in gruppi politici con un programma pragmatico o no?

No, no. I giovani, ma non solo i giovani, anche tutti coloro che erano in piazza, non hanno permesso ai politici di infiltrarsi in nessun modo. Alcuni membri dell’opposizione ci hanno provato, anche i sindacati e alcuni personaggi pubblici, hanno provato a scendere in piazza e a dire "Sono con voi, dai che facciamo assieme". Sono stati però allontanati dalla piazza. La gente ha voluto rendere chiaro che non ha più nessuna fiducia negli uomini politici.

In un articolo sulla rivista Dilema vechie lei ha parlato di “rivolta creativa”, che cosa intendeva dire con questo?

Quello che a me sembra la cosa più particolare e significativa di questa rivolta, e allo stesso tempo la più importante, è il fatto che i giovani desiderano, sentono la necessità di una comunicazione politica; e proprio per questo chiedono di cambiare il linguaggio di questa comunicazione. Si è arrivati ad un certo punto ad una rottura drammatica tra la popolazione e la classe politica, abbiamo iniziato a non parlare più la stessa lingua, a non comprenderci più da nessun punto di vista.

La cosa grave è che i messaggi da parte del potere sono stati, negli ultimi tempi, sempre più frequentemente dei messaggi di disprezzo, un disprezzo assolutamente incredibile: "I romeni sono stupidi, la popolazione è stupida, la società non ci merita, siete dei vermi, siete dei plebei…" e queste sono espressioni dei politici, non le ho inventate io!

Nel momento in cui qualcuno che ti rappresenta dice che il popolo che lui conduce è un popolo di vermi, di stupidi, di pigroni… non puoi più avere un dialogo sociale e politico. La mancanza di comunicazione tra classe politica e società è una storia vecchia ma che si può dire si sia accentuata rapidamente negli ultimi mesi. Per questo parlo di rivolta creativa, per indicare il modo in cui i giovani, gli uomini in piazza, sono sulla via per cambiare questo linguaggio, per spiegarci : "Non vogliamo più parlare la vostra lingua" .

C’è una straordinaria creatività negli slogan delle manifestazioni, la maggior parte delle volte sono ironici, cambiano da un’ora all’altra… potrei dire che è una sorta di commedia che si sviluppa in strada, nella quale si inventano nuovi messaggi, nuovi slogan. Ci sono milioni di slogan e ogni volta che si scende in piazza ve ne sono di nuovi.

In questo caso l’espressività massima è stata quella di reinventare un linguaggio nuovo con il quale si possa comunicare. Perché ho parlato di rivolta creativa? Perché assomiglia molto a quello che oggi si chiama la città creativa o l’urban art e molti di questi giovani che protestano sono stati impegnati in alcune ONG di rivitalizzazione urbana, è una sorta di strategia di rivitalizzazione urbana ma che adesso è a livello politico e nazionale e non solo a livello di quartiere.

I media hanno fatto un paragone tra la protesta romena e la primavera araba. E’ opportuno questo paragone?

Non c’è nulla in comune. Queste manifestazioni hanno avuto un carattere quasi ludico, determinato ma non violento, non hanno nulla a che fare con i massacri della Primavera araba. Lì si è lottato con le armi, la gente è morta, è stata praticamente una guerra civile.

In generale, i mass media romeni come si sono comportati? Come hanno letto e raccontato questa protesta?

Ci sono due gruppi di mass media in Romania. Un gruppo che sebbene sia composto da televisioni pubbliche è interamente subordinato al potere politico. Queste televisioni hanno raccontato che si è praticamente trattato solo di due tre hooligan e hanno mostrato le immagini di questi giovani che lanciavano pietre e molotov. Non hanno mostrato che in piazza c’era il popolo, che la popolazione era scontenta.

Un secondo gruppo invece ha raccontato del malcontento e ha mostrato come tutta la popolazione fosse in strada. Se guardavi le due versioni sembrava che si parlasse di due situazioni totalmente diverse.

Vede possibile un’espansione della protesta dalla Romania ai Paesi limitrofi?

Questo è molto difficile da dire. Io personalmente ho avuto alcuni segnali da alcuni amici dalla Bulgaria e dalla Serbia che chiedevano ammirati che cosa stava accadendo, ma questo non significa che le cose si possano espandere così rapidamente.

D’altra parte la domanda principale non è tanto se la protesta si va ad espandere al di fuori della Romania, ma piuttosto se e in che forma continuerà in Romania.

In questo momento le proteste di piazza si sono fermate a causa delle condizioni atmosferiche, quello che è interessante sarà vedere se le proteste riprenderanno e in che forma. Il mio parere è che continueranno come una sorta di "vigilanza", di "cane da guardia", al primo errore dei politici le persone potrebbero uscire di nuovo in strada, ma in questo momento tutto è in stand-by. Secondo il mio parere le rivolte continueranno ma non necessariamente come una "rivolta in strada" ma come una "rivolta di strada", cioè una rivolta della società ma che non sarà tutto il tempo legata a manifestazioni di strada, potremo dire una rivolta "cronica" anziché "acuta".

Vede in questa protesta i semi di un nuovo movimento sociale e politico in cui le nuove generazioni potrebbero assumere un ruolo più attivo?

Categoricamente sì. Anzi anche più di questo, e credo che questa sia la cosa più importante, cioè il fatto che possiamo parlare di un ritorno dei giovani al politico, non per forza alla politica ma almeno al politico.

Come è successo anche in altri stati, i giovani si sono depoliticizzati, non erano più interessati alla politica, la percentuale di non votanti tra i giovani è molto alta.

Questa rivolta mostra un inizio di ritorno dei giovani al politico e ad una coscienza politica. Io che sono professore all’Università e incontro molti studenti, penso che fino a questo momento non si possa parlare di una vera e propria coscienza politica da parte dei giovani. Da questo punto di vista questa rivolta è stata importante non tanto per il numero di persone uscite per strada ma per i cambiamenti che andrà a produrre nel medio e lungo termine.

Tra i vari slogan ce ne è uno che crede abbia rappresentato maggiormente questa protesta?

No, assolutamente no, gli slogan sono molto diversi e tutti sono rappresentativi. Anzi direi che è proprio il contrario. Non è rappresentativo uno slogan ma è rappresentativa la diversità degli slogan.

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