Ankara e la crisi siriana
Stop totale alla vendita di armi a Damasco, rapido riconoscimento del Consiglio nazionale siriano e creazione di un corridoio umanitario per aiutare i civili sotto assedio e evacuare i feriti. Questi i passi della Turchia davanti all’aggravarsi dalla crisi siriana
Secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu a Tunisi lo scorso 24 febbraio “la Turchia è tra i Paesi su cui l’instabilità in Siria ha avuto conseguenze più immediate. Dall’inizio delle proteste, un anno fa, migliaia di profughi si sono rifugiati nel nostro Paese”. Interessante ora verificare quale sarà la strategia che Ankara adotterà per mediare nella crisi siriana, se ne ricaverà indicazioni sulla reale influenza che il Paese ha nella regione. Il primo test per la Turchia sarà la prossima riunione degli “Amici della Siria” (l’iniziativa diplomatica, forte della presenza di 76 paesi, voluta da Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Turchia, Unione europea e Lega araba ) che si terrà proprio a Istanbul a marzo.
Il ruolo dei curdi contesi tra Bashar al-Assad e il Consiglio nazionale siriano
Più che le migliaia di profughi che, varcando il confine nord-occidentale della Siria, stanno trovando rifugio nei cinque campi che la Mezzaluna rossa turca ha costruito nella provincia di Hatay, è l’appoggio che Assad starebbe fornendo agli autonomisti del Partito dei lavoratori del Kurdistan a preoccupare la Turchia. Secondo quanto riportato dal quotidiano islamista moderato Zaman: “A Ra’s al-‘Ayn, un distretto appena oltre al confine vicino alla città turca di Urfa è sorto un campo che ospita 150 militanti del PKK (l’autonomista Partito dei lavoratori del Kurdistan, ndr). Il PKK pattuglia le strade secondarie dove ha anche creato dei check-point”. La notizia riportata da Zaman, rilanciata anche da altri quotidiani turchi, è difficile da verificare sul campo e dal canto loro le autorità siriane negano qualsiasi sostegno agli autonomisti del PKK.
L’appoggio dei due milioni di curdi che vivono in Siria, tuttavia, è un elemento di grande importanza sia per Damasco che per l’opposizione siriana. Il regime di Bashar al-Assad è stato il primo a fare timidi passi allo scopo di garantirsene l’appoggio concedendo nell’aprile 2011 la cittadinanza a 300 mila curdi che ne erano stati privati negli anni Sessanta. Dal canto suo a Tunisi il leader del Consiglio nazionale siriano (SNC) Burhan Galioun ha corteggiato il Consiglio nazionale curdo (KNC), organizzazione autonoma che raccoglie 11 organizzazioni curde, annunciando che dopo la caduta di Bashar al-Assad verrà garantita loro maggiore autonomia: “Nella nuova Siria adotteremo un modello amministrativo il più possibile decentrato, la vostra identità nazionale sarà riconosciuta, sarete rispettati e vi saranno garantiti i diritti di cui gode qualsiasi altro cittadino siriano”.
Le richieste dei curdi
Per i curdi tuttavia il “decentramento amministrativo” proposto da Galioun non è sufficiente e nell’ambito dell’incontro in cui il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha invitato l’opposizione curda a entrare nel Consiglio nazionale siriano, il leader del KNC, Abdulhakim Bashar ha posto come condizione che la nuova costituzione post-Assad sancisca con chiarezza l’autonomia del nord del Paese a maggioranza curda. Nel braccio di ferro tra le due fazioni Ankara, spaventata dall’idea che la nascita di un “Kurdistan siriano” alimenti le spinte irredentiste dei curdi di Turchia, sostiene il Consiglio nazionale siriano di cui fanno parte, tra l’altro, oltre ai nazionalisti arabi anche i Fratelli musulmani organizzazione molto vicina agli islamisti moderati del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) al governo in Turchia.
Come aiutare i civili
Se sul futuro assetto del Paese l’opposizione siriana è divisa, tutte le fazioni concordano invece sulla necessità di far arrivare al più presto aiuti ai civili rimasti intrappolati a Homs, Hama e Idlib, le roccaforti del Libero esercito siriano sotto attacco da settimane. La Turchia, memore dell’esperienza libica, tuttavia, è contraria alla proposta francese di creare una zona cuscinetto protetta da una no-fly-zone che teme alimenterebbe una recrudescenza del conflitto armato e preferirebbe che gli aiuti viaggiassero via mare o con ponti aerei.
La dubbia gestione dei campi profughi
Ankara oltre che appoggiare il SNC dà un tacito sostegno anche al Libero esercito siriano che ha le sue basi operative proprio nei campi profughi in territorio turco. Sono circa 10 mila i rifugiati siriani ospitati in sei tendopoli situate nella provincia di Hatay il cui accesso è vietato ai giornalisti e agli operatori delle organizzazioni internazionali. Tra loro centinaia di militari disertori, tra cui anche il colonnello Riad al-Asaad leader del Libero esercito siriano, che dirigono dalla Turchia azioni di guerriglia contro obiettivi dell’esercito regolare.
Nelle ultime settimane, tuttavia, la gestione dei campi è stata al centro di forti polemiche in Turchia dopo l’arresto di cinque persone tra cui un ex-agente dei servizi segreti turchi accusate di aver rapito e consegnato alle autorità siriane il sergente disertore Hüseyin Harmush in cambio di 100 mila dollari. Inoltre il quotidiano Radikal ha pubblicato in esclusiva un reportage con foto che prova l’esistenza di un “campo prigione segreto” nei pressi del paese di Kuyubaşı dove verrebbero trasferiti i rifugiati “problematici” per poi esseri reimpatriati in Siria illegalmente.
Il modello turco
“Durante il suo tour in Nord Africa l’anno scorso il premier turco Erdoğan è stato accolto da migliaia di egiziani festanti all’aeroporto del Cairo. In quel momento, galvanizzato dal successo del modello turco, sembrava il vincitore indiscusso della primavera araba”, ha scritto Daniel Dombey sull’ultimo numero del Financial Times. Tuttavia oggi il modello turco è messo in discussione dalla precaria situazione della libertà di stampa nel Paese e “dopo l’insuccesso della lega araba e dell’Onu – secondo Dombey – la Turchia e i Paesi con un’impostazione simile stanno discutendo su come consegnare per lo meno aiuti umanitari agli abitanti delle città sotto assedio per ora con scarsi risultati“.
Il prossimo meeting degli “Amici della Siria” si terrà a Istanbul a marzo e Davutoğlu ha annunciato che incontrerà prima della riunione i vertici del Consiglio nazionale siriano e che in contemporanea si terrà una conferenza promossa dal governo che riunirà i leader delle comunità cristiane presenti nella regione, compresa quella siriana. In quella sede la Turchia avrà la possibilità di dimostrare l’influenza e la capacità di mediazione che richiede il ruolo di potenza regionale a cui Ankara ambisce.