Albania: ritorno alla verginità
E’ un fenomeno esploso negli ultimi 20 anni. In Albania sono sempre più le donne che si sottopongono ad un intervento chirurgico per recuperare la propria verginità in vista del matrimonio. Un nostro approfondimento
In Albania tre ragazze al giorno si sottopongono a un intervento chirurgico del tutto particolare. Un intervento ginecologico di appena 20 minuti, un’operazione semplice, per ridiventare vergini. Le ragazze hanno tra i 18 e i 30 anni. Decidono così di ripresentarsi vergini all’uomo con cui hanno deciso di unirsi in matrimonio, mettendo una pietra sopra alla vita sessuale precedente al matrimonio.
Questi dati hanno fatto nelle ultime settimane il giro di tutti i principali quotidiani del Paese e sono stati successivamente confermati sempre sulla stampa da medici – la maggior parte dei quali ha preferito rimanere anonima – delle principali cliniche ginecologiche di Tirana.
Operazioni in segreto
Le operazioni avvengono in segreto poiché proibite dal regolamento delle cliniche ginecologiche, mentre la fattispecie non è disciplinata né menzionata in alcuna norma della legislazione albanese. Un fattore di segretezza in più è data dalla privacy a tutela delle ragazze che richiedono l’intervento.
Non esistono quindi statistiche strutturate ma i medici che si trovano quotidianamente in contatto con il fenomeno ne confermano l’incidenza tutt’altro che irrisoria.
Il valore aggiunto della verginità
“E’ un fenomeno molto complesso, e non riguarda solo le ragazze provenienti da aree rurali. Tutt’altro, la maggior parte delle operazioni avvengono a Tirana e nei maggiori centri urbani del Paese” afferma Rubena Moisiu, primaria della clinica Kiço Gliozheni di Tirana.
A detta di ginecologi e sociologi di Tirana il fenomeno sarebbe diventato di massa negli ultimi 20 anni. Spesso gli esperti sottolineano che molto sia dovuto alla forte emigrazione maschile degli albanesi verso l’Europa occidentale.
Buona parte dei giovani albanesi emigrati trovano moglie in patria e mantengono spesso i rapporti a distanza, costretti dalle difficoltà burocratiche del ricongiungimento familiare e dalla libertà limitata di movimento dei cittadini albanesi nello spazio Schengen. Di conseguenza, la verginità delle ragazze, per quanto socialmente inizi ad essere considerato un dettaglio che ha fatto il suo tempo, è ritornata ad essere sinonimo di fedeltà e di potenziale fiducia nella partner, nonché di buon auspicio per il difficoltoso rapporto a distanza.
“Non è dovuto solo al fenomeno dell’emigrazione maschile – controbatte però una ginecologa di Tirana, che preferisce tenere celata la propria identità – è direttamente connesso al maschilismo che vige nella società albanese. E’ ben accetta la libertà sessuale dei maschi mentre quella femminile, una volta arrivate al matrimonio, diventa uno svantaggio”.
Patriarcato
“Fino agli anni ‘50 in questo Paese la donna doveva stendere il lenzuolo con la macchia di sangue dopo la prima notte di matrimonio, per far vedere al marito, ma anche a parenti e vicini, la prova della sua verginità. Si tratta esattamente dello stesso fenomeno. Addirittura capita che in clinica vengano donne accompagnate dai loro partner, che vogliono verificare la verginità delle loro giovani mogli in caso di mancato sanguinamento nel corso del primo atto sessuale, fenomeno che si verifica nel 38% dei casi”, continua la ginecologa.
“Nei Balcani non abbiamo avuto lo stesso sviluppo sociale dell’Europa occidentale. Nessuna rivoluzione industriale, scarsa urbanizzazione, fenomeni che hanno comportato poi anche l’emancipazione femminile e la relativizzazione del valore della verginità. Si può dire grosso modo, che la verginità ha più o meno lo stesso valore che aveva nell’800 nell’Europa occidentale”, spiega invece Zyhdi Dervishi, professore universitario e autore di vari studi sulla storia delle donne in Albania.
Ginecologia morale
Non è difficile riuscire a farsi operare. “Non è legale, ma noi la segniamo come una semplice visita ginecologica” spiega una ginecologa che vuole rimanere anonima. Alla mia domanda se accetta o meno di eseguire operazioni del genere risponde che lo fa perché non ha scelta. “Sono ragazze disperate, il cui futuro, la cui felicità dipende da una banalità del genere. Non è colpa loro, è colpa degli uomini, che hanno questo tipo di mentalità patriarcale e arretrata”, afferma.
Meno di 20 minuti di anestesia locale, un costo di circa 200 euro nelle cliniche pubbliche e si diventa pronte a perdere la verginità di nuovo. Nelle cliniche private i costi sono invece maggiori. Molte delle ragazze, a detta delle ginecologhe, si rivolgono proprio a queste ultime, sfuggendo quindi alle statistiche informali pubblicate in queste settimane dai media albanesi.
Naturalmente come tutti gli interventi, anche questo comporta degli effetti collaterali da non sottovalutare. “Si è esposte a infezioni e infiammazioni di diversi tipi. Durante l’atto sessuale l’emorragia può essere superiore al normale e in casi estremi può anche causare la morte della ragazza”, spiegano i ginecologi.
Sessualità all’albanese
Dopo il crollo del comunismo il modo di relazionarsi dei giovani albanesi ha subito cambiamenti radicali e si è andati nella direzione di una maggiore libertà sessuale.
Molti sociologi hanno definito il fenomeno come una vera e propria rivoluzione sessuale, nonostante sia poco paragonabile al modello occidentale poiché priva di contenuti femministi o di ideologie politiche di sinistra.
Paradossalmente però l’attuale cosiddetta rivoluzione sessuale trova le donne in condizioni socio-economiche ben più deboli rispetto a 20 anni fa, in una società in cui sono sempre più promossi i valori prettamente maschili che meglio si addicono alla transizione e al capitalismo selvaggio.
Verginità, le statistiche
Secondo le statistiche ufficiali degli ultimi anni, i giovani albanesi perdono la verginità verso l’età di 13 anni, segnando l’età più bassa tra i Paesi balcanici. Nei dati complementari al riguardo, pubblicati dall’Istituto per la salute pubblica in Albania, risulta che la maggior parte dei giovani vivono la sessualità con estrema naturalezza e senza condizionamenti morali o religiosi dalla società.
Questi sono dati però in evidente contraddizione con il fenomeno degli interventi volti a “ritornare alla verginità”. Come incoerenti con i dati sopracitati sembrano essere anche le opinioni dei giovani maschi che spopolano nella blogosfera albanese.
Blogofera e sessualità
“Non sposerei mai una delle ragazze che ho avuto – commenta un ragazzo in uno dei numerosi forum su questo tema – non mi fiderei di loro". Mentre un altro paragona il suo rapporto con una donna a quello con la sua nuova auto, comparando i vantaggi della verginità con quelli dell’acquisto di un’auto a chilometraggio 0. I commenti estremamente maschilisti da parte di ragazzi giovani si sprecano a quantità irritanti. Sono invece poche le donne che cercano di richiamare alla ragione, sull’ipocrisia della riverginazione.
Tra tutti i commenti, fatti per lo più da giovanissimi, spicca una sorta di assorbimento di un modello sessuale dove l’uomo è tradizionalmente meno penalizzato dalla società, mentre la donna come vogliono alcuni schemi antichi dell’onore in senso patriarcale rimane vulnerabile. "E’ la stessa vulnerabilità di alcune società rurali e patriarcali che – sostiene Zyhdi Dervishi, autore dello studio "Le donne nell’occhio del ciclone" – non si sono industrializzate e urbanizzate".
L’eredità del regime
Non ha contribuito in positivo neanche il regime di Hoxha e il suo retaggio culturale tuttora presente nel Paese balcanico. Enver Hoxha aveva largamente usufruito di strumenti di controllo sociale scoperti e rinforzati negli aspetti più tradizionali della società albanese quali il senso della famiglia-clan e la sessualità vincolata dal senso dell’onore, rinvestite per l’appunto di un significato politico.
La verginità era considerata un valore morale, quasi di pari passo alla buona fedina politica nell’ambito del partito. Era considerato un fatto tutt’altro che privato e spesso i problemi di coppia potevano assumere una valenza politica ed essere denunciati nelle riunioni delle unità di partito del quartiere. Ed era in questi casi la comunità a prendere decisioni sul da farsi.
Di questo si parla anche nel romanzo “Il paese dove non si muore mai” di Ornela Vorpsi. Nel primo libro della scrittrice albanese si descrive la stigmatizzazione – come donna di facili costumi – della moglie di un uomo internato perché non in linea con i dettami del partito. Ai nemici del partito veniva attributo spesso automaticamente anche la cosiddetta amoralità sessuale e la mancanza di rispetto per l’istituzione della famiglia.
Ma a parte la presenza sporadica di questo argomento sui media, il fenomeno della sessualità e della sua valenza sociale non è oggetto di studi nell’Albania contemporanea. Data la debolezza della società civile, non vi sono neppure campagne di sensibilizzazione che contribuiscano a superare il gap tra i nuovi costumi e le antiquate norme sociali.