Croazia: il giornalista che ha rivelato i crimini di guerra di Osijek
Senza Drago Hedl, la giustizia croata non avrebbe mai potuto indagare sui crimini di guerra perpetrati sui civili serbi di Osijek. E’ lui che per primo ha rivelato il ruolo giocato dal signore locale dell’HDZ, Branimir Glavaš, il quale sta attualmente scontando la sua detenzione in Bosnia. Gli articoli e i libri che Drago ha scritto con coraggio gli sono valsi molti premi ma anche minacce di morte
La versione originale e integrale dell’intervista a Drago Hedl è stata pubblicata il 9 marzo 2012 dal quotidiano elettronico H-Alter , ripresa poi nella versione ridotta da Le Courrier des Balkans il 19 marzo
Non molto tempo fa, lei ha rivestito il ruolo di nemico pubblico numero uno. Ora è stato appena decorato dal presidente Ivo Josipović. Un tale riconoscimento costituisce il segno di un cambiamento generale di prospettiva sui crimini di guerra, o piuttosto il frutto del personale interesse del presidente Josipović?
E’ andata più o meno così. Quindici anni fa sono stato violentemente attaccato nella stessa sede in cui sono poi stato decorato, presso la Presidenza della Repubblica. Da quanto ho potuto constatare dagli appunti stenografici conservati presso gli archivi di stato e relativi al governo Tuđman ci si riferiva a me come "un nemico dello stato". Risponderei, quindi, che la mia "riabilitazione" è stata innanzitutto un gesto di umanità da parte del presidente Josipović.
Esistevano, negli anni ’90, argomenti più complessi da affrontare rispetto a quello dei crimini di guerra?
Di certo non esistevano argomenti più complessi, dal momento che sui crimini di guerra l’occultamento era una regola a tutti i livelli. La posizione ufficiale era stata espressa dal presidente della Corte Suprema, Milan Vuković, il quale dichiarò che i croati non avevano potuto commettere crimine alcuno, poiché stavano combattendo una guerra difensiva… soprattutto, egli fece di tutto per evitare di toccare la sacrosanta "guerra patriottica", e chiunque s’arrischiasse a farlo veniva immediatamente sospettato di tradimento. Tutti i giornalisti del Feral Tribune hanno ricevuto minacce, e siamo stati seguiti dalla polizia segreta. Siamo riusciti ad avere accesso ai dossier solo dopo la caduta del regime di Tuđman.
Lei era giornalista ad Osijek… Perché ha deciso di affrontare un tale argomento? Quand’è che è venuto a conoscenza della scomparsa di cittadini serbi ed iniziato a svolgere indagini sull’argomento? Nel 2005 lei ha redatto un testo cruciale in cui ha accusato Branimir Glavaš di avere ucciso alcuni civili all’interno di un garage…
E’ a partire dall’autunno del 1991 che abbiamo saputo che alcuni dei nostri cittadini di nazionalità serba non erano più in città e che le persone avevano abbandonato le proprie case in massa, per timore che potesse succedere loro qualcosa. Allorquando cercavamo di ottenere notizie su qualcuno ci rispondevano che se ne era andato "dai suoi", che era "tornato casa" o che si era "unito ai cetnici".
Le famiglie delle vittime, rimaste ad Osijek, erano talmente intimorite da non osare parlare al di fuori di ambienti che fossero confidenziali. Se venivamo a conoscenza dell’uccisione di qualcuno, si tendeva sempre a pensare che fosse stato a causa di una granata…
La mia indagine è iniziata nel 1993-94, ma mi è stato difficile guadagnare la fiducia dei familiari delle vittime. Nel 1994 ho pubblicato alcuni testi sulle vittime di Osijek, ma anche su altri crimini commessi in Slavonia. Non accusavo nessuno, poiché non avevo prove, nonostante fosse palese che la responsabilità incombeva sui comandanti di Osijek, detentori di importanti funzioni politiche e militari.
Nel 2005 scrissi dunque un testo di accusa in cui citavo Branimir Glavaš per via della faccenda del garage, vale a dire il massacro di civili serbi. Le ragioni del mio impegno erano dovute semplicemente al fatto che, in quanto testimone di quei tempi difficili, ritenevo fosse indispensabile scrivere anche sull’altro lato della guerra, pur sapendo che ciò sarebbe stato poco piacevole, addirittura pericoloso.
Come si è tutelato rispetto a Glavaš, secondo le sue stesse parole, padrone della vita e della morte in Slavonia?
Nel 1994 è stato lo stesso Glavaš a muovere le prime minacce serie nei miei confronti. Un membro del Sabor (parlamento croato, ndr) mi venne a dire che Glavaš mi voleva ridurre in cenere, per aver insinuato, in un articolo, che potesse essere il responsabile dei crimini perpetrati ad Osijek. Resi nota la notizia di questa minaccia sui giornali, pensando che l’opinione pubblica potesse essere la mia migliore protezione.
Peter Galbraith, ambasciatore americano in Croazia, mi contattò, comunicando che quello stesso giorno avrebbe dovuto incontrare il presidente Tuđman ed il ministro della Difesa Gojko Šušak, e che presso di loro avrebbe potuto sollevare la questione relativa alla mia sicurezza. Apparentemente ci riuscì, dal momento che, per un certo periodo, le minacce cessarono.
La situazione ad Osijek è cambiata dopo che Branimir Glavaš sta scontando la sua pena detentiva in Bosnia Erzegovina? Lei conclude il suo libro affermando: «Il vulcano della sua energia distruttrice non è stato estinto per sempre». Il suo impatto è stato per lo meno affievolito?
Glavaš è tutt’oggi molto influente ad Osijek ed in Slavonia, grazie al partito da lui stesso fondato, l’HDSSB. Tale partito rappresenta le maggiori bassezze dell’HDZ, glorifica la personalità di Glavaš ed agisce in suo nome. Durante le ultime elezioni legislative ha nuovamente ottenuto sei seggi nel Sabor, il che è un risultato più che eccellente. Dunque Glavaš è, ad oggi, politicamente molto forte. Il suo ritorno in politica sarà un trionfo, dal momento che potrà presentarsi come una vittima del regime. Se la società non lo rimette al suo posto, penso che potrebbe pensare ad un rilancio della propria carriera politica, cosa che potrebbe rivelarsi pericolosa in un nuovo periodo di turbolenza.
Ritiene che anche Vladimir Šeks sarà chiamato a rendere conto delle sue azioni dinnanzi alla giustizia? Amnesty International lo ha infatti citato per crimini di guerra. Nel libro lei evoca un episodio interessante: durante l’estate del 1991 egli era il presidente dell’Unità di crisi regionale per la Slavonia e la Baranja, quando Gojko Šušak gli fece visita lo avrebbe portato al macello di Vukovar dove vi sarebbero stati i corpi di cittadini di nazionalità serba. La magistratura vi ha mai chiesto da dove avete avuto quest’informazione?
In merito all’argomento è stata aperta un’indagine. Non ho motivo alcuno per dubitare dell’esistenza del macello di Vukovar, tanto più che ne parla un testimone in sue deposizioni. I maggiori responsabili sono stati tutti indagati o condannati, tranne uno. Non è stata ancora fatta completa chiarezza sul vero ruolo svolto da Vladimir Šeks durante la guerra. Egli ha esercitato una grande influenza da maggio a fine settembre 1991, ai vertici dell’Unità di crisi della Slavonia e della Baranja. Lo stesso Branimir Glavaš aveva minacciato, durante il suo processo, di fornire documenti che avrebbero cambiato la responsabilità per i crimini, ma ho l’impressione che tra loro ci sia stato poi un accordo segreto. All’epoca Vladimir Šeks aveva ancora una posizione molto influente in seno all’HDZ e poteva essere nelle condizioni di aiutare Glavaš, naturalmente se quest’ultimo avesse evitato di infangarlo…