A Berlino senza furore
Due premi del pubblico e uno nella sezione per ragazzi, è il raccolto del cinema balcanico al Festival di Berlino svoltosi a febbraio. Un bilancio non esaltante per una partecipazione variegata in rappresentanza di vari Paesi: Serbia, Turchia, Grecia, Macedonia e Romania
Il tragicomico “Parada – The Parade” del serbo Srđan Dragojević (“Lepa sela lepo gore”) con Nikola Kojo e Dejan Acimović ha vinto il premio del pubblico della sezione Panorama per la categoria film di finzione. Secondo per gli spettatori berlinesi “Diaz – Non pulite questo sangue” di Daniele Vicari, coproduzione italo-romena (è stato girato in gran parte a Bucarest anche con attori romeni, tra i quali Monica Birladeanu), nelle nostre sale dal 13 aprile. Una pellicola che racconta l’irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova a proteste contro il G8 del 2001 ormai concluse con grande realismo, crudezza ed efficacia.
Il premio del pubblico per la sezione Panorama documentari è andato a “Marina Abramović – The Artisti Is Present” di Matthew Akers (già presentato al Sundance Festival). Il film non avrà una distribuzione italiana secondo i canali tradizionali, ma sarà presentato in varie città secondo un programma di proiezioni evento, e sarà distribuito in dvd da Feltrinelli nella collana Real Cinema a inizio estate. Un’occasione per accedere al mondo della Abramović, seguendola nella preparazione del momento più importante della sua vita di artista, l’inaugurazione della retrospettiva al Museum of Modern Art di New York nel 2010. In quasi quarant’anni di attività artistica, la Abramović ha creato opere che hanno seminato dubbi (sullo stesso concetto di arte), scioccato, emozionato e diviso pubblico e addetti ai lavori. Il film è un ritratto intimo e un viaggio alla scoperta di una donna che non lascia indifferenti. Comincia con l’artista che allestisce la performance, spostandosi nel museo, consultando curatori e galleristi e affascinando chiunque incontri, fino ad arrivare alla performance vera e propria.
L’Orso di cristallo per la sezione Generation 14plus, riservata ai film per ragazzi, è andato al toccante turco “Lal Gece – Night of Silence” di Reis Çelik, sul matrimonio combinato tra una quattordicenne e un uomo appena uscito di galera, colpevole di due “delitti d’onore”. Un film quasi tutto chiuso dentro una stanza, con i due soli protagonisti a tenere incollati gli occhi e il cuore degli spettatori.
È rimasto senza premi il greco “Meteora” di Spiros Stathoulopoulos, l’unico di area balcanica incluso nel concorso ufficiale, che ha visto l’Orso d’oro nelle mani di Paolo e Vittorio Taviani per “Cesare deve morire”. Il secondo film di Stathoulopoulos, con Theo Alexander e Tamila Koulieva-Karantinaki protagonisti, è indubbiamente bizzarro. La storia dell’amore tra due monaci, Theodoros e Urania (una suora russa), che vivono nei monasteri in cima a due erte montagne poste a dirimpetto a Meteora, I Tessaglia.
I due si fanno segni con i segnali di luce, si incontrano nel fondovalle, poi lei si fa risollevare dalle consorelle dentro una rete legata a una corda. Tutto questo con le sequenze incorniciate dentro un’icona ortodossa che via via si anima (ed è una delle trovate più belle). Tra sensi di colpa (il monaco sogna di essere in un labirinto e poi di inchiodare Cristo alla croce, facendo uscire getti di sangue dai suoi polsi che sommergono tutto), eremiti che rifiutano il cibo e frequenti riferimenti al Salmo 23 di Davide “Il Signore è il mio pastore”, la storia tra i due si fa sempre più carnale. E neanche un luogo che sembra fatto per la meditazione riesce a frenare l’impulso per le passioni. Stathoulopoulos si affida molto alla forza del paesaggio, alla ricerca visiva interessante ma forse troppo fine a se stessa e comunque non sempre di pari passo con i temi della pellicola, interessante ma con un potenziale ancora maggiore.
Parla di faide “Tepenin Ardı – Beyond the Hill”, debutto alla regia di Emin Alper, una coproduzione tra Turchia e Grecia presentata nella sezione Forum (che allineava anche il secondo film del romeno Radu Jude, “Toata lumea din familia noastra – Everybody in Our Family”). In una valle stretta tra montagne brulle c’è la casa di campagna di un’ex guardia forestale in pensione. Lì trascorre l’estate con la moglie, i due figli e nipoti allevando qualche capra e sorvegliando le piantagioni di pioppi. Oltre la collina stanno dei pastori nomadi che non si vedono mai. Tra i due nuclei i rapporti sono compromessi da tempo e procedono tra scaramucce sempre crescenti. Piantine bastonate e danneggiate, capre spaventate, sono i primi passi in una deriva sempre più violenta che porta allo scontro tra gli uomini. Il tutto è accentuato da un paesaggio brullo, fatta eccezione per la striscia incassata nella valle dove scorre il torrente, i ripidi fianchi delle montagne e un ambiente che sembra quasi da West e rimarca la sensazione di legge del più forte. La rivalità senza tempo tra “stanziali” e nomadi si rinnova ancora una volta in un film asciutto e pessimista, senza guizzi, senza infamia e senza lode.
In Panorama Special era selezionato “The Woman Who Brushed Off Her Tears” della macedone Teona Strugar Mitevska. Il terzo film della Mitevska è un piccolo passo indietro dopo “Kako ubiv svetec” e “I’m from Titov Veles”. Due storie in parallelo, una a Parigi e una nelle campagne della Macedonia, legate tra loro e sempre più convergenti man mano che il film si sviluppa. Dopo la morte tragica del figlio, la ricca parigina Helena (Victoria Abril) cerca di rimpiazzarlo con un immigrato Lucian, che riesce pure a “imprigionare”. La donna con il marito vuole andare in Macedonia a visitare il Paese e disperdere le ceneri del morto, portandosi dietro Lucian. Intanto nelle campagne balcaniche Ajsun, l’amante del giovane da cui ha avuto un figlio, lotta con il padre e la famiglia per non sposare uno che non ama. Tutti i destini finiscono fatalmente a incrociarsi. La svolta fantastica e magica dell’ultima parte vorrebbe essere quasi da fiaba nera, ma è più che altro assurda e confusa e finisce con l’alimentare gli stereotipi di una società chiusa e violenta anziché spronarla ad aprirsi.