La voce di Alakir: arte e ambientalismo in Anatolia

In Turchia sono sempre più diffuse le iniziative ambientaliste contro la costruzione di centrali idroelettriche. OBC ha intervistato Birhan Erkutlu, ambientalista ed ideatore di un’iniziativa coraggiosa ed originale

18/04/2012, Fazıla Mat -

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Dalla regione del Mar Nero al sudest anatolico, dall’entroterra orientale alle coste del Mediterraneo, le centrali idroelettriche stanno mettendo sotto assedio i corsi d’acqua di tutta la Turchia. Un assedio che si giustifica con il crescente bisogno energetico del Paese, ma che non tiene in considerazione l’equilibrio ambientale e i bisogni vitali di quanti popolano quelle regioni.

Il governo ha già approvato 1.700 progetti, ma gli esperti annunciano altri 5.000 impianti. In questi ultimi anni, villaggi che non avevano mai sofferto la mancanza d’acqua si sono trovati a fare i conti con la siccità, e foreste centenarie sono state abbattute. Sempre più frequenti sono le ribellioni popolari che coinvolgono i cantieri in corso, con conseguenti numerosi arresti. La ragione spesso sottostante ai diversi movimenti ambientalisti è quella di far emettere ai tribunali l’ordine di interrompere i lavori di costruzione delle centrali. Nonostante ciò, sono molti i casi in cui le amministrazioni locali non si attengono a quanto disposto dalle decisioni dei giudici.

La valle di Alakır

Nella Valle di Alakır, in provincia di Antalya, in cui stata prevista la costruzione di sei centrali idroelettriche, quattordici giovani ambientalisti si sono di recente trasferiti da Istanbul per condurre una vita in armonia con la natura. Essi hanno finanziato la propria battaglia contro la costruzione degli impianti con i proventi di un CD audio, “La voce di Alakır”, creato utilizzando l’energia ottenuta da un pannello solare.

Gli stessi sono anche autori del documentario “La ribellione dell’Anatolia” (Anadolu’nun İsyanı), documentario che a soli tre giorni dalla pubblicazione su Youtube ha ricevuto ben 200.000 visite. Abbiamo incontrato Birhan Erkutlu, principale ideatore dell’iniziativa.

Come è la situazione nella Valle di Alakır in questi ultimi tempi?

 Il progetto prevede la costruzione di 6 centrali idroelettriche contigue, dislocate a partire dal fondo della valle sino alle fonti d’acqua situate in superficie. In base a quanto disposto dal piano, tutta l’acqua disponibile deve essere convogliata nei condotti degli impianti. Il ricorso è stato diretto a bloccare la costruzione di tutte e sei le centrali. Eccezion fatta per una di esse, che risulta già in fase di costruzione, siamo riusciti ad ottenere un ordine per la sospensione dei lavori. Il tribunale ha disposto in tal senso a seguito di un esame dei rapporti forniti dai periti in merito al devastante impatto delle centrali sull’ecosistema. Nonostante ciò la provincia di Antalya, pur avendo concesso le autorizzazioni, non si attiene agli ordini emessi dal tribunale, ed i lavori continuano a procedere. Siamo così arrivati a esporre una denuncia contro la Provincia e i funzionari in carica; il processo è ancora in corso.

Cosa accade quando l’ordine non viene rispettato?

Qualora l’impianto risulti già in fase di costruzione avanzata, il rischio è quello che i tribunali di grado superiore finiscano per ad approvare progetti già in precedenza annullati, e rivalutarne l’ “utilità pubblica”. Cio’ che si vuole evitare è che in Turchia, dipendente dall’estero dal punto di vista energetico, si penalizzino quelle società che hanno investito nei progetti di produzione di energia locale.

In che misura la popolazione locale partecipa al vostro movimento?

La popolazione partecipa in modo limitato, ma per il semplice fatto che la valle non è popolata a sufficienza. Negli ultimi cinque anni la popolazione locale è stata costretta a trasferirsi nei centri più grandi perché le amministrazioni hanno chiuso tutte le scuole, dichiarandole inagibili. Le famiglie con figli in età scolastica, dato l’obbligo di frequenza, hanno dovuto scegliere tra il mandare i propri bambini nei centri da soli o trasferirvisi tutti assieme. Naturalmente hanno scelto la seconda opzione, e ora i due villaggi di Büyükalan e Kuzca, dove abitiamo anche noi e dove è concentrata la costruzione delle centrali, sono popolati da soli anziani. Gli anziani sostengono le nostre iniziative, sebbene siano molto provati sia emotivamente che materialmente. Sfortunatamente in questa zona la nostra campagna non riceve il vasto sostegno popolare che caratterizza, ad esempio, i movimenti ambientalisti che si svolgono nella zona del Mar Nero.

La chiusura delle scuole e lo spostamento forzato della popolazione proprio dalle zone interessate dalla costruzione delle centrali costituiscono una semplice coincidenza?

No, i due eventi sono direttamente collegati, siamo stati testimoni di tutto il processo. L’intera valle è presa di mira da diverse società. Negli ultimi cinque anni, oltre alle centrali idroelettriche, sono state costruite cave minerarie e miniere di carbone, alle quali si è di recente aggiunta una società di innaffiatura e di imbottigliamento di acqua potabile, ed un’altra di allevamento di trote. Querce centenarie sono abbattute e bruciate per farne del carbone. Terra, acqua, ed alberi sono stati tutti devoluti agli interessi delle società private.

Nonostante la nostra mobilitazione contro le centrali, nuovi progetti continuano a minacciare il territorio. Si dice che queste imprese creino nuove opportunità di impiego. Questo non va però a vantaggio della popolazione locale: le società hanno bisogno di dipendenti qualificati, ed in questa zona le persone non sono istruite. Anche ad Alakır, come in altri villaggi anatolici, la sospensione dei sussidi statali volti a finanziare il settore dell’allevamento e dell’agricoltura ha costretto gli abitanti a spostarsi per cercare un impiego in centri più grandi. E’ cosi che le loro terre sono rimaste incustodite e prese d’assalto da un’ incredibile foga di sfruttamento.

Quando 8 anni fa siete arrivati ad Alakır per la prima volta vi aspettavate di intraprendere una simile lotta ambientalista?

Anche quando abitavamo a Istanbul riflettevamo sui danni creati dal modello di vita consumistico, ed eravamo costantemente impegnati in progetti ambientali. Nonostante ciò, le ONG non ci hanno fornito le risposte che cercavamo. Allora abbiamo noi stessi ideato un modello di vita attento alla natura, che implicasse un consumo minore ed una maggiore coerenza.

In città non avevamo l’opportunità di vedere direttamente quanto il nostro stile di vita potesse arrecare danno alla natura. Trasferendoci in questa zona abbiamo preso coscienza di quella realtà contro la quale avevamo sempre lottato in maniera astratta, realtà che del resto interessa tutto il mondo. Tutto ciò per noi ha rappresentato una scelta di vita più onesta, e lavorare nel cuore di questa realtà ha rafforzato la consapevolezza delle nostre stesse idee.

In che modo è nata l’idea di finanziare le spese legali necessarie ad avviare il processo attraverso un CD di musica?

Quando ci siamo rivolti al tribunale per avviare il processo ci hanno chiesto l’esorbitante somma di 30.000 TL (all’incirca 13.000 euro). Si trattava di una causa riguardante la salvaguardia di un bene pubblico, senza un riscontro economico a posteriori, e nessuna delle persone coinvolte aveva la disponibilità per finanziarla. Abbiamo così deciso di chiedere delle offerte, ma attraverso un escamotage che ci permettesse di raccontare quanto ci stava accadendo, e ricambiare le donazioni con un contributo culturale e artistico. L’idea di questo CD è nata da un gruppo di amici impegnati nella danza, nella pittura e nella musica. Abbiamo realizzato il tutto in forma interamente volontaria, registrando a casa e all’aperto, in mezzo alla natura. Qualcuno si è occupato della grafica della copertina. Per venderlo abbiamo suonato musica per le strade, siamo andati nelle università, nei festival musicali e intanto abbiamo anche distribuito dei volantini per spiegare quanto stesse accadendo. Alla fine siamo riusciti a raccogliere l’intera somma, tutta in un sacchetto e con tante monetine, e l’abbiamo consegnata nel tempo previsto.

Pensi che i singoli movimenti sparsi per la Turchia possano formare un blocco unito nella lotta per la salvaguardia dell’ambiente o prevale piuttosto la tendenza ad agire separatamente?

Tutti nostri sforzi tendono all’unione dei diversi movimenti esistenti in Anatolia, ma a livello mondiale. Cerchiamo di seguire gli sviluppi nel Sud America, in Europa, in Africa partecipando qualche volta agli incontri che si tengono in diverse parti del mondo. Per noi è molto importante imparare dalle altrui esperienze ed unire gli sforzi nella lotta; questo non è però sempre facile, dal momento che ognuno adotta un approccio diverso. Ad esempio, noi siamo stati criticati da alcuni movimenti politici turchi impegnati nella lotta ambientalista per via del nostro approccio apolitico, e della nostra propensione a trattare la questione attraverso l’arte. Queste critiche sono inizialmente state motivo di sconforto, ma col trascorrere del tempo abbiamo imparato ad ascoltarci e ad accettarci così come siamo, proprio come nella natura, all’interno della quale coesistono esseri viventi di diverso genere. Il movimento ambientalista in Turchia è ancora molto giovane, ma sono fiducioso: se lo sapremo coltivare, diventerà sempre più forte. Non potrei continuare quello che sto facendo se non la pensassi così.

Attualmente siete impegnati in qualche altro progetto?

L’esperienza acquisita ci ha fatto capire quanto lavoro ci attenda ancora che abbiamo acquisito. Il mese scorso ad Antalya abbiamo partecipato ad un festival di film indipendenti con il nostro documentario. Da poco abbiamo anche portato a termine la costruzione di una casa ad Alakir, interamente costruita con rifiuti raccolti in città e materie prime forniteci dalla natura.

L’esperimento, che stiamo diffondendo con un libricino e che comparirà anche online, fa parte di un progetto più ampio, incentrato sulla presentazione di alternative ai nostri stili di vita. Fintanto che continueremo ad alimentare il folle consumismo in cui viviamo, non basterà la sola sentenza di un tribunale a salvarci.

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