Borut Pahor: voglio diventare presidente

Dopo la pesante debacle alle scorse elezioni l’ex premier sloveno a sorpresa annuncia la sua candidatura alla presidenza della Repubblica. I sondaggi lo danno subito dietro il presidente uscente Türk. Una sfida tra due candidati di centrosinistra. Ma è davvero così?

14/06/2012, Stefano Lusa - Capodistria

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Fotomontaggio

E’ la carica che ha sognato da sempre. Borut Pahor pare volere quella poltrona più di ogni altra cosa e sembra disposto a tutto per arrivarci. La vittoria sembrava sua 5 anni fa, ma allora il suo partito gli chiese di rimanere al suo posto e di portare i socialdemocratici alla vittoria alle parlamentari del 2008 per poi prendere la guida del governo. Lui accettò, non proprio di buon grado, consapevole probabilmente che la protocollare funzione di Presidente della Repubblica gli sarebbe stata più congeniale di quella operativa di premier.

Nella mischia

Pahor, dopo aver tenuto le redini dei socialdemocratici per quindici anni e dopo tre anni disastrosi passati a guidare il governo, ora si è gettato nella mischia, tuffandosi anima e corpo nella campagna elettorale per le prossime presidenziali in programma in autunno.

L’annuncio, ad effetto, durante il congresso dei socialdemocratici. Era un appuntamento importante: il partito si preparava a voltare pagina e a rottamare proprio Pahor. Per la prima volta gli ex comunisti sembravano voler rinunciare al loro uomo immagine, che li aveva diretti in maniera personalistica, spostando sempre più la barra dal centrosinistra al centro e forse anche più in là.

Nelle settimane che avevano preceduto l’appuntamento non era mancato un serrato confronto tra Pahor e altri tre candidati ad assumere la guida della compagine. L’ex premier non si era voluto tirare indietro e nemmeno la cocente sconfitta elettorale alle ultime elezioni politiche, che aveva portato i socialdemocratici dal 30% al 10%, gli era bastata per lasciare il partito ad altri. La sua tesi era che il candidato che lo avrebbe sconfitto al congresso avrebbe avuto più forza nel partito. I suoi avversari, per nulla contenti di doversi scontrare con lui ed incerti della vittoria, dicevano invece che la sua rinuncia alla candidatura gli avrebbe consentito di uscire di scena con eleganza e di non essere buttato via come una scarpa vecchia.

In ogni modo la sorte di Pahor pareva segnata: molti nel partito avevano messo in discussione il suo atteggiamento troppo morbido nei confronti delle misure di rigore economico proposte dal governo di centrodestra per uscire dalla crisi, ma lui ribatteva che non c’era altra soluzione, che non era il tempo di facili populismi e che quello che andava bene per la Slovenia andava bene anche ai socialdemocratici.

In questa vignetta a firma di Franco Juri un preoccupatissimo Milan Zver chiede al premier Jansa se è veramente il loro candidato. Nel frattempo dal taschino di quest’ultimo spunta il ciuffo di Pahor…

Messo alle corde Pahor aveva sposato poi la teoria del complotto ed aveva puntato il dito sull’ex capo dello Stato Milan Kučan e su quello che sarebbe il suo potente clan. Un gruppo di attempati vecchietti dell’ex regime che da dietro le quinte riuscirebbero ancora a tirare le fila della politica slovena. A suo dire i suoi guai e quelli del suo governo cominciarono proprio quando non volle più sottostare al volere di quelli che indubbiamente erano stati anche i suoi padrini politici.

Complottismo

L’ex premier, in sintesi, non ha fatto altro che sposare ed avvalorare una tesi che il centrodestra va ripetendo da anni. Probabilmente Pahor non è riuscito a perdonare a Kučan, e a qualche altro esponete della vecchia guardia, il fatto che alla vigilia delle scorse politiche, con il centrosinistra allo sbando, avessero chiesto al sindaco di Lubiana Zoran Janković di mettere su in fretta e furia una formazione politica per evitare che il centrodestra e Janez Janša vincesse con troppo scarto le elezioni e si ripetesse anche in Slovenia uno scenario ungherese.

Pahor verosimilmente si rendeva benissimo conto che quelle elezioni non avrebbe potuto vincerle, ma senza la discesa in campo di Janković sarebbe comunque rimasto l’unica alternativa per così dire di centro-sinistra e avrebbe nuovamente potuto tentare la sorte tra 4 anni.

Un perdente vincente

Ad ogni modo Pahor non è arrivato al congresso dei socialdemocratici con i favori del pronostico. I suoi più accreditati contendenti erano due ministri del suo governo: Patrick Vlačič, una specie di suo clone politico anch’esso senza eccessivi contenuti e Igor Lukšič, un freddo e poco carismatico professore universitario, che dopo essere stato per anni l’ideologo del partito di Pahor, giurava di voler portare la compagine a sinistra.

Alla fine, con 190 voti contro 180, i comunisti riformati hanno scelto di affidare il partito a Lukšič, ma intanto, Pahor, è riuscito per l’ennesima volta ad offuscare tutti e a rimanere sotto le luci della ribalta. Non a caso ha scelto il palco del congresso per annunciare a sorpresa la sua discesa in campo per le presidenziali. La notizia era nell’aria, ma nessuno ipotizzava che l’avrebbe fatto alla vigilia di quella che sembrava dover essere una sconfitta annunciata.

La cosa non ha mancato di creare un certo imbarazzo, visto che erano stati proprio i socialdemocratici, cinque anni fa, a candidare l’attuale presidente Danilo Türk. L’ex alto funzionario delle Nazioni Unite aveva, da tempo, dichiarato di volersi ricandidare ed ha subito riscosso i plausi di gran parte del centrosinistra. Salito sullo scranno presidenziale con la dichiarata intenzione di essere il presidente di tutti, alla fine, è caduto nel mirino del centrodestra soprattutto per la decisione di concedere un’alta onorificenza all’ultimo ministro degli Interni della Slovenia socialista e per una dichiarazione poco felice sul massacro di Huda Jama, dove a guerra finita vennero trucidati centinaia di soldati delle forze collaborazioniste.

Socialdemocratici in trappola

La mossa di Pahor, comunque, ha messo in trappola gli stessi socialdemocratici, che dovranno scegliere chi appoggiare. Probabilmente non potranno che optare per il loro ex leader, a cui dopo alcune prime stizzite reazioni, durante il congresso, ora sono arrivati i primi sostegni più o meno convinti. La nuova dirigenza, infatti, se dovesse scegliere Türk verrebbe facilmente accusata di essere finita nelle mani del leader di Slovenia positiva, Zoran Janković o ancor peggio in quelle del “diabolico” Kučan.

Intanto i primi sondaggi danno in testa Türk con oltre il 35% delle preferenze, ma la sua elezione non appare più tanto scontata; dietro a lui c’è Pahor con quasi il 30% e con l’ecumenico messaggio di voler essere il presidente di tutti gli sloveni. Lui del resto sembra riscuotere più simpatie a destra che a sinistra e per venir eletto non potrà fare a meno di quei voti.

Il candidato ufficiale del centrodestra, l’eurodeputato Milan Zver, supportato dai democratici di Janša, è solo al quarto posto con poco più dell’11% sopravanzato addirittura dal nazionalista Zmago Jelinčič. Per lui potrebbe essere difficile anche arrivare al ballottaggio e a sottrargli voti potrebbe essere proprio Pahor.

Nella storia di questi vent’anni di democrazia in Slovenia alle presidenziali si è sempre assistito ad un duello tra destra e sinistra dal quale la sinistra è sempre uscita vincente o al primo turno o sconfiggendo sonoramente il candidato della parte avversa al ballottaggio. Questa volta invece le cose potrebbero andare diversamente. Potrebbero trovarsi due candidati del centrosinistra, Türk e Pahor, al ballottaggio. E poi potrebbe vincere, al ballottaggio, il centrodestra: con Pahor.

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