Una domenica di elezioni a Srebrenica

Domenica scorsa era giorno di elezioni, a Srebrenica come a Sarajevo. Con una differenza notevole: mentre gli elettori della capitale, nella maggior parte dei casi, hanno dovuto fare pochi passi per andare al seggio, circa metà degli aventi diritto al voto a Srebrenica hanno dovuto affrontare un viaggio di diverse ore. Un reportage e una breve intervista al candidato sindaco Ćamil Duraković

12/10/2012, Michele Biava - Srebrenica

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Manifesto elettorale a Srebrenica - foto di Michele Biava

Per raggiungere Srebrenica da Sarajevo chi non possiede un proprio mezzo di trasporto ha tre opzioni: gli autobus di linea che una volta al giorno partono dalle stazioni di Sarajevo e Sarajevo est (RS), un furgoncino nove posti che ogni mattina raccoglie passeggeri e pacchi da consegnare per tutto il cantone, un passaggio da chi è diventato cittadino di Sarajevo negli ultimi diciassette anni e oltre all’origine, conserva un motivo per tornare, di tanto in tanto, a Srebrenica.

Nel giorno delle municipali l’autobus e il pulmino sono stati la scelta obbligata dei molti che non avevano proprio nessuno che li potesse accompagnare. A me è stato offerto un passaggio, con partenza puntuale alle sette di mattina da Vogošća. Ho viaggiato con un maestro di scuola elementare, una laureata in psicologia, uno studente di scienze motorie: tutti originari di Srebrenica che però vivono, studiano e lavorano nel cantone di Sarajevo.

Oggi nessuno più li chiama “profughi” ma la loro storia è anche quella di aver lasciato la propria città di origine a causa della guerra. I più giovani come bambini, caricati su un convoglio Onu insieme alla loro mamma, il più anziano portato in campo di concentramento insieme ai fratelli. Nelle tre ore di viaggio nemmeno una parola sul passato, sui tornanti della Karaula i temi più battuti sono stati le gite scolastiche dei bambini della scuola di Vogošća e l’asfalto nuovo, particolarmente gradito quello “dei serbi” nel tratto immediatamente successivo alla linea di confine tra Federazione e Republika Srpska (le due Entità amministrative in cui è divisa la Bosnia Erzegovina, ndr).

Nell’entrare a Srebrenica, oltre ai manifesti elettorali appesi ovunque, saltavano all’occhio il traffico particolarmente intenso di auto e pullman, molti dei quali provenienti dalla sponda est della Drina e l’assoluta mancanza di posti di blocco. La polizia infatti era tutta impegnata ai seggi.

Arrivati in città ci siamo trovati di fronte alla prima scelta importante della giornata: decidere dove andare a prendere il caffè. Il bar al primo piano della Robna Kuća, così viene ancora chiamato dai più il supermarket ricostruito nel 2008 da un imprenditore di Zvornik, era chiuso. Lo era anche il Rock kafe Malboro: la domenica lavora solo dopo le 16.00. Abbiamo optato per il caffè Silver Town, aperto questa primavera al posto del ristorante Ado, di cui ha in buona parte ereditato la clientela. Non un territorio neutrale: sotto la scritta di led colorati “open” campeggiava il manifesto di Ćamil Duraković, candidato indipendente sostenuto da SDA, SDP, SBB, SBiH. Altro bar, altro colore, il caffè “Venera” dalla parte opposta della strada, esponeva i manifesti del DNS (Partito Popolare Democratico della RS). Entrambi i dehors pieni, come di rado accade a Srebrenica, gli avventori a guardarsi gli uni gli altri, mentre nella strada continuavano a scorrere auto e pullman.

Il voto del testimone protetto

L’ex sindaco Malkić, quest’anno candidato solo in consiglio comunale “per non togliere voti a Ćamil” mi ha presentato un anziano signore che aveva appena votato, dicendomi “parla con lui, ha molte più cose da dire di quanto ne possa avere io”. L’anziano signore ha iniziato a raccontare.

“Ho 77 anni, quando Srebrenica è caduta sono andato alla base Unprofor di Potočari perché sapevo che non sarei sopravvissuto alla marcia attraverso i boschi. Gli altri uomini che erano con me erano molto anziani, alcuni avevano più di ottant’anni, il resto erano donne e bambini fino a quindici-sedici anni. Mi hanno prelevato e portato via con le mani legate. A Branjevo presso Pilici ci hanno messi in riga e hanno sparato. Io sono caduto a terra insieme agli altri, ma non mi avevano colpito. Anche la seconda raffica mi ha mancato, ha solo sollevato polvere e sassi che mi sono finiti nella schiena ma non mi ha ucciso. Sono rimasto steso insieme ai moribondi finché non se ne sono andati. Quando è calato il buio mi sono alzato e mi sono allontanato. Come me erano sopravvissuti altri due, ma li hanno ritrovati e uccisi, ho visto i loro corpi nei giorni seguenti. Anche io li ho rincontrati qualche giorno dopo. Camminavo per la strada e loro mi sono venuti incontro in camion. Li ho sentiti che dicevano ‘è quello che ci è scappato l’altro giorno!’ Hanno fermato il camion pochi metri più avanti, io ho continuato a camminare e ho imboccato il sentiero che porta ad alcune case serbe. Li ho sentiti scendere dal camion e ho continuato a camminare, dopo un po’ se ne sono andati, si vede che hanno pensato abitassi in quelle case. In seguito sono sopravvissuto anche all’assalto di un villaggio in cui avevo trovato rifugio. Hanno sparato tutto il giorno, io ero nascosto, sentivo solo le esplosioni. Alla fine, quando hanno pensato di aver ucciso tutti se ne sono andati. Così mi sono salvato un’altra volta. Ho testimoniato all’Aja diverse volte, gli avvocati mi hanno interrogato, mi hanno chiesto di raccontare tutto nei dettagli. Io ho raccontato tutto, puntualmente, chi era con me, chi hanno ucciso. Uno di quelli che ci hanno sparato ha confermato che è andato tutto come io ho detto, si è pentito, ha chiesto scusa, così ha avuto una pena ridotta. Gli altri tre invece non si sono pentiti. Non mi hanno mai minacciato perché sono testimone protetto, ti dico il mio nome, ma non lo pubblicare, non farmi foto per favore, che non voglio mi si veda. Ho la pressione alta, soprattutto a causa degli avvocati. Loro mi interrogano e io devo ripetere tutto quello che ho visto, che ho vissuto, questo mi riporta a quei giorni e mi viene il batticuore. Poi non riesco a dormire. Sento i lamenti degli altri che erano lì per terra con me, mi sembra di essere di nuovo là. Adesso mi hanno dato queste medicine e riesco a dormire. Oggi si vota ma non credo che ci sarà qualche cambiamento. Questi che siedono al governo guardano solo il loro interesse e non fanno niente per gli altri. A me dispiace soprattutto per i giovani. Io se mangio due volte al giorno sono contento. I giovani non hanno lavoro, ma devono lavorare, devono dare da mangiare alla famiglia, come fanno?”

Ho lasciato l’anziano signore finire il suo caffè, tenendo ferma con la mano sinistra la destra tremante. Lo sguardo dritto avanti, di tanto in tanto un’occhiata al bar di fronte. Le facce note dell’idraulico e dell’elettricista, alle loro spalle i visi scuri di gente che normalmente non abita in città.

In giro per i seggi

Mentre al seggio installato nel Dom Kulture, almeno 60 persone in fila aspettavano di ottenere i documenti necessari al voto e il presidente della commissione elettorale si disperava per il caos creatosi sotto gli occhi degli osservatori internazionali, alcune auto si muovevano freneticamente per l’intera municipalità. Salito su una di esse, ho avuto modo di constatare che la consegna di panini agli addetti ai seggi era solo una parte, secondaria, del lavoro. Il compito principale di queste “staffette” era di raccogliere informazioni sull’andamento del voto da osservatori piazzati dai rispettivi partiti.

Come facessero ad avere risultati in tempo reale sulle schede non ancora scrutinate non mi è stato spiegato, ma sta di fatto che in una città in cui si conoscono quasi tutti e solo tre persone concorrono al posto di sindaco, è abbastanza facile fare previsioni. In caso di scarsa affluenza di elettori sul cui voto i rispettivi candidati facevano affidamento, questo veniva comunicato all’ufficio centrale della coalizione che registrava e prendeva provvedimenti, il più delle volte per garantire un passaggio fino al seggio agli elettori residenti nelle zone più remote.

Su un territorio vasto e accidentato quale è la municipalità di Srebrenica, la logistica è fondamentale e l’astensionismo fra le proprie fila il principale pericolo. Ho sentito parlare di denaro offerto in cambio di voti, non solo e non tanto per i candidati a sindaco, tra i quali Ratkovac (investitore del progetto bagni Guber) pare fosse il più generoso, ma più concretamente fra candidati al consiglio comunale e alla presidenza delle comunità locali tra cui la lotta era accesa. Voci di cui nessuno, ovviamente, ha voluto dare prova. Tuttavia qualche foto scattata col cellulare alla scheda elettorale mi è stata mostrata, così come un pacco di schede precompilate con la preferenza già espressa per un determinato candidato alla rappresentanza in Comunità Locale. Schede rimaste nel bagagliaio perché, come mi ha detto il ragazzo che non le ha distribuite, “non vale la pena esporsi così tanto per gente che promette e non mantiene”.

La vittoria di Duraković

Nel pomeriggio, mentre molti già riprendevano la strada chi della Serbia o di altre zone della RS, chi della Federazione, i cittadini abituali di Srebrenica si sono ritrovati nei bar e nei caffè come ogni sera, questa volta con la curiosità in più di vedere chi la televisione avesse ripreso durante il giorno.

Verso le 20.00 sono iniziate a circolare le prime voci e sono partiti i primi collegamenti in diretta della tv della Federazione (FTV) dal quartier generale di Duraković e della tv della Republika Srpska (RTRS) di fronte al Dom Kulture con Vesna Kočević. Mentre la candidata della Coalizione per la Republika Srpska annunciava di avere un vantaggio stimato in circa 400 voti, dalla sede dell’associazione “Drina” si alzava un boato e un coro di voci inneggianti a Duraković che annunciava di essere in vantaggio di circa 800 voti calcolando le preferenze espresse all’estero e il voto per posta. La Commissione Centrale Elettorale della BiH ancora taceva mentre per la città un gruppo di sostenitori di Duraković improvvisava un carosello di auto.

La festa successiva all’annuncio della vittoria è stata grande e travolgente. Ai volontari della Campagna Glasaču za Srebrenicu, con Emir Suljagić in testa, a Duraković e moglie, si sono uniti tutti coloro che hanno duramente lavorato a questo, per nulla scontato, risultato elettorale. La lunga giornata è finita al caffè Silver Town, dove i festeggiamenti si sono protratti fino a tarda notte, una volta tanto, senza che la polizia venisse ad interrompere la serata anzitempo.

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