Lasciare libero il Kosovo: le sfide restanti

Lo scorso settembre è uscito un rapporto dell’ICG dedicato alla situazione del Kosovo. Senza una genuina collaborazione tra Belgrado e Pristina, secondo il think tank, non vi può essere né piena indipendenza né un futuro della minoranza serba nel paese. Nostra traduzione dell’introduzione

30/10/2012, Redazione -

Lasciare-libero-il-Kosovo-le-sfide-restanti

Kosovo - Daniele Dainelli

Il Kosovo ha implementato gran parte del Piano Ahtisaari – la cianografia della sua struttura democratica, che fornisce diritti sostanziali ai serbi e alle altre minoranze – merita quindi la piena indipendenza, ma non ci devono essere slittamenti e le parti del Piano rimaste ancora inattese, devono essere onorate. Il governo di Pristina per lo più vi si attiene, e molti serbi a sud del fiume Ibar ora accettano la sua autorità, obbediscono alle sue leggi e prendono parte alla vita politica, situazione inimmaginabile fino a quattro anni fa.

Questi risultati sono tuttavia minacciati dalle tensioni nei rapporti fra Kosovo e Serbia, che riducono il numero dei serbi presenti in Kosovo e incrementano le frustrazioni di Pristina per la sua incapacità di estendere la sua sovranità nelle aree settentrionali, a maggioranza serba, per raggiungere così il pieno riconoscimento internazionale. Un’ondata di attacchi etnici ha dimostrato che la pace, nello stato attuale, è fragile. Il governo dovrebbe mantenere gli impegni così come previsti nel Piano, in riferimento alle minoranze. Ma il Piano non è stato elaborato perché funzionasse in modo separato rispetto ai rapporti generali fra Kosovo e Serbia. Belgrado ha bisogno di guadagnarsi la fiducia di Pristina e tollerare il suo costante impegno sul territorio del Kosovo, specialmente nel sud.

I primi anni dell’indipendenza del Kosovo furono supervisionati dall’International Civilian Office (ICO), creato dal Piano Ahtisaari. Il 10 settembre 2012, l’ICO e la “sorveglianza” internazionale sono terminati, lasciando al governo di Pristina la piena responsabilità del giovane paese. Questo è un momento cruciale per le relazioni del Kosovo con la Serbia e la comunità serba presente sul suo territorio; il Piano costituisce ancora il miglior modello di garanzia di una coesistenza pacifica.

Attualmente, in Kosovo molti serbi cooperano con le istituzioni statali al fine di proteggere i propri diritti e interessi, ma la comunità settentrionale rimane intransigente. Il governo ha trascritto gran parte del Piano Ahtisaari nella Costituzione e nelle leggi, prevedendo generose disposizioni a favore dei serbi del Kosovo, anche se la loro attuazione risulta essere a volte insoddisfacente. Ha demandato alle municipalità alcuni poteri, consentendo non solo ai serbi ma anche alla maggioranza albanese di partecipare alla gestione degli affari locali. Tuttavia, a Pristina si comincia a discutere di quello che viene visto come un trattamento preferenziale a loro favore. La comunicazione si fa anche più difficile, dato che pochi giovani parlano una lingua diversa da quella della propria comunità di appartenenza. Dopo anni in cui si sono registrati solo pochi incidenti inter-etnici, ora gli attacchi ai serbi stanno diventando sempre più frequenti.

La Serbia non si sente obbligata dal Piano Ahtisaari e perciò mantiene una presenza significativa in Kosovo, che è anzi aumentata dopo la dichiarazione d’indipendenza nel 2008, quando Belgrado era intenzionata a dimostrare di voler mantenere un certo controllo sui suoi connazionali. È riuscita così a raggiungere quasi il pieno controllo delle amministrazioni delle zone settentrionali. Nel sud, prevalentemente paga gli stipendi e le pensioni di molti serbi e gestisce il sistema sanitario e di istruzione, senza informare Pristina.

Il governo kosovaro tollera questo atteggiamento, ma potrebbe tentare di chiudere le istituzioni serbe. Questo tipo di provvedimento potrebbe causare la fuga di molti serbi. Quando il Kosovo ha accettato il Piano Ahtisaari, ha anche acconsentito affinché la Serbia mantenesse un certo coinvolgimento sul suo territorio, per quanto in termini cooperativi e trasparenti. Belgrado ha però rigettato la cooperazione e il Kosovo sta mostrando segni di impazienza. Se la Serbia non accetterà quanto prescritto dal Piano e non agirà nello spirito degli accordi, rischierà di perdere l’influenza che le è rimasta nelle zone meridionali.

Un decennio fa, due terzi dei serbi del Kosovo vivevano a sud del fiume Ibar, sparsi tra una popolazione prevalentemente albanese, un terzo invece era concentrato al nord, dove la presenza serba rimaneva predominante. Ora invece le due zone presentano una componente serba bilanciata. La comunità serba meridionale è rurale, anziana e politicamente passiva. I suoi membri istruiti e politicamente interessati, sono pochi e numericamente sproporzionati rispetto al ruolo assegnato loro dal Piano Ahtisaari, specialmente da quando i serbi dei comuni del nord si sono rifiutati di prendere parte alle istituzioni kosovare.

Questa e altre minoranze dipendono interamente dai privilegi istituzionali, incluse le quote; non hanno abbastanza voti per ottenere seggi in una competizione aperta. I loro delegati, in minoranza nel Parlamento, raramente riescono a discostarsi dalle politiche preferenziali a favore della comunità albanese. I rappresentanti serbi hanno così consentito al governo di eludere la promessa del Piano Ahtisaari di un “canale televisivo indipendente in lingua serba”, per esempio, rimpiazzandolo con un canale serbo controllato dalle emittenti statali.

La creazione di sei comuni a maggioranza serba nelle zone meridionali, tuttavia, ha avuto largo successo; sono riusciti a prendere a carico gran parte delle competenze amministrative in precedenza esercitate dalle strutture parallele finanziate dalla Serbia, anche se educazione e salute rimangono sotto il controllo di Belgrado. Nei comuni più grandi come Gračanica e Štrpce, vi sono consigli comunali attivi che stanno implementando progetti di sviluppo delle infrastrutture con fondi stranieri e del governo kosovaro e si stanno assumendo la responsabilità di una vasta gamma di settori. Altri nuovi ma piccoli comuni, mancano di uno staff competente e lottano per raccogliere le risorse di cui hanno bisogno. Competono per fondi pubblici e privati che attualmente in Kosovo risultano essere limitati. Le autorità centrali hanno la tendenza a gestire le loro spese, privandoli così dei mezzi per raccogliere denaro. Pochi municipi, serbi e albanesi, si avvalgono di staff preparato necessario per l’esercizio dei poteri effettivamente decentralizzati, e raramente cooperano l’uno con l’altro anche nelle aree di comune interesse.

Pristina e i suoi partner internazionali non sono riusciti a superare le forti resistenze che ancora persistono al ritorno di rifugiati e sfollati. Molti di essi si accontenterebbero di vendere le loro proprietà e reinsediarsi altrove, ma sono ostacolati da corruzione, intimidazioni e tribunali privi di servizi linguistici in serbo, e perciò non riescono a raggiungere neanche questo modesto obiettivo. Anche la chiesa serbo-ortodossa deve lottare per esercitare i propri diritti di proprietà previsti dal Piano Ahtisaari.

I serbi che vivono in comuni a maggioranza albanese sono sempre più vulnerabili e necessitano di protezione. Inoltre, alcuni villaggi nei comuni a maggioranza serba si trovano esposti agli attacchi perpetrati da parte di più vasti insediamenti albanesi vicini, motivati di solito, da conflitti sulle proprietà terriere. La loro sicurezza è di responsabilità di Pristina, perciò il governo deve adottare misure effettive necessarie a garantire la protezione delle minoranze vulnerabili e del loro ritorno.

L’effettiva difficoltà di garantire nelle aree in cui risiedono le minoranze una vita sicura e sostenibile, potrebbe costituire l’ostacolo più grande da affrontare per la comunità serba, se non la minaccia più seria al Piano Ahtisaari. Sfiducia, mancanza di registrazioni corrette e aperta ostilità rendono difficile l’attività di vendita di beni e servizi alla maggioranza, da parte di aziende appartenenti alle minoranze. Dato che nei comuni a maggioranza serba ci sono poche possibilità al di là dell’agricoltura, molti dipendono dai soli stipendi di Belgrado. Se questi cessassero, molti serbi istruiti sarebbero tentati ad andarsene. La formazione è un altro settore delicato. I genitori che non nutrono alcuna fiducia nelle scuole locali, non rimarrebbero. Le attività di scuole e ospedali serbi dovrebbero proseguire, ma Belgrado e Pristina devono negoziare un meccanismo per la loro registrazione e sorveglianza.

Quest’ultime, hanno interesse a collaborare ed evitare l’esodo dei serbi dal Kosovo, che potrebbero decidere di lasciare il territorio con una Costituzione multietnica, male applicata ad una realtà mono-etnica, creando nuove tensioni nella regione e minando la sua immagine agli occhi della comunità internazionale. La Serbia non può permettersi un’altra ondata di migrazioni nella difficile situazione economica in cui versa. Pristina sta affrontando un duro sforzo nel tentativo di estendere la propria autorità a nord del fiume Ibar e deve dimostrare che i serbi possono condurre tranquillamente la propria vita in un Kosovo indipendente. Se Pristina e Belgrado desiderano – come dovrebbero – che il Kosovo sia genuinamente multietnico, anche se spinte da motivazioni diverse, devono cooperare a sostegno della comunità serba.

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta