La Bosnia Erzegovina, un paese in coma
Istituzioni bloccate, ingovernabilità, spartizione del potere a scapito dell’interesse dei cittadini. La Bosnia Erzegovina oggi non è solo un paese fermo, è la democrazia stessa ad essere in pericolo. Ne parliamo con il giornalista e analista politico Almir Terzić
Dopo una lunga gestazione per formare il governo, il Consiglio dei ministri è attualmente in crisi. Qual è la situazione politica in Bosnia Erzegovina?
La Bosnia Erzegovina in questo momento è in una grave crisi politica. La crisi è talmente grave che si potrebbe paragonare ad uno stato comatoso. In BiH dalla firma dell’Accordo di Dayton (1995) in poi ci sono sempre state crisi più o meno importanti, ma quella in cui siamo oggi è di gran lunga la maggiore. Non si registra più alcun progresso sul fronte del percorso euroatlantico dalla seconda metà dello scorso mandato (2006-2010). Al contrario, da allora si registrano costanti arretramenti. L’ultimo passo in avanti era stato fatto nel 2008, con la firma dell’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’UE. La stagnazione è invece aumentata col nuovo esecutivo, dopo le elezioni politiche del 2010, ed è ancora in corso.
Credo che la causa di tutto quello che sta avvenendo sia il fallimento del cosiddetto Pacchetto di modifiche costituzionali di aprile. Da allora, la comunità internazionale si è chiamata fuori dal processo decisionale. I presidenti dei diversi partiti politici bosniaci, tuttavia, continuano ad agire esclusivamente su base nazionale, e negli anni passati hanno dimostrato chiaramente che non possono mettersi d’accordo, e spesso non lo vogliono nemmeno, perché l’introduzione delle normative europee va a loro svantaggio. Il loro obiettivo è di mantenere il più a lungo possibile la BiH in una situazione di disordine, perché solo così i leader politici, dietro la maschera della difesa dei presunti interessi nazionali possono rimanere al potere. La BiH era molto avanti nel processo di avvicinamento all’UE, ma è finita in brevissimo tempo ad essere il fanalino di coda della regione.
La creazione di una nuova maggioranza parlamentare, nel giugno 2012, a pochi mesi dalla formazione del Consiglio dei ministri, ha solo aumentato l’intensità delle divisioni all’interno del paese, dietro lo schermo della falsa difesa degli interessi nazionali. I cittadini si attendevano molto di più dall’opzione socialdemocratica, in particolare dal partito socialdemocratico indipendente di Milorad Dodik (SNSD) e dal partito socialdemocratico di Zlatko Lagumdžija (SDP). Alla fine, però, si è dimostrato che proprio questi due partiti, in combinazione con quelli prevalentemente nazionalisti, sono i principali generatori della crisi. Questa durerà sicuramente fino alle politiche del 2014, con possibili aggravamenti.
Quali sono i motivi del conflitto tra partito di Azione Democratica, SDA, e partito socialdemocratico, SDP?
L’SDP, partito per un decennio all’opposizione, aveva maturato un forte desiderio di andare al governo soprattutto per rafforzare la propria posizione nelle aziende pubbliche di proprietà statale, dove il potere si concentra. Il governo della Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH), una delle due entità in cui il paese è diviso, per mesi dopo la sua formazione si è occupato esclusivamente della nomina dei dirigenti delle aziende e delle istituzioni pubbliche. La ragione del conflitto esploso tra SDP e SDA, si sostiene, sarebbe stata la contrarietà dell’SDA all’adozione del bilancio per il 2012. I motivi in realtà sono molto più profondi.
L’SDP voleva la modifica della legge sugli affari interni della FBiH, con la quale avrebbe smantellato l’indipendenza delle forze di polizia e spadroneggiato sui media, in primis sulla televisione federale (FTV). L’SDA si è opposto. L’SDP, inoltre, ha ottenuto aziende che prima erano dirette da funzionari del partito per la Bosnia Erzegovina, lo Stranka za BiH, partner dell’SDA nel precedente governo. La situazione finanziaria di queste aziende non era certo soddisfacente, così l’SDP ha cercato di allargare la sua influenza, trovando l’unica chance nelle telecomunicazioni. La BH Telekom è la compagnia statale che registra i maggiori profitti. L’SDA, però, ha difeso tenacemente questa compagnia dal controllo dell’SDP. Credo che questa sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
L’SDP ha dunque deciso di interrompere qualsiasi rapporto con l’SDA e ha iniziato a licenziare i suoi funzionari. Ha trovato un valido partner nell’Unione Democratica Croata della BiH (HDZ BiH) un partito anch’esso solo interessato nelle posizioni di potere. Gli acerrimi rivali SDP e HDZ BiH si sono quindi uniti per interesse: la divisione del tesoro statale a vantaggio degli interessi di partito, sotto la falsa rivendicazione della difesa degli interessi nazionali.
Qual è il vero significato dell’accordo firmato nei giorni scorsi tra SNSD e SDP, e quali sono i motivi della dura reazione espressa dalla società civile? Perché nell’accordo non si nomina la sentenza Sejdić – Finci?
Visto nel dettaglio, l’accordo tra i presidenti di SDP e SNSD significa che si vuole fare della Bosnia Erzegovina un’altra Bielorussia, in cui Lagumdžija e Dodik giocherebbero il ruolo di signori incontestati. Lagumdžija diventerebbe il signore della Federacija BH, mentre Dodik della Republika Srpska (RS). In realtà Dodik lo è già, ma la realizzazione dell’accordo con Lagumdžija lo farebbe rimanere in tale posizione per i prossimi anni, forse decenni. Basta considerare che la proposta di modifica della legge elettorale, contenuta nell’accordo, prevede la chiusura delle liste dei candidati, il che significa che i prossimi seggi ai parlamenti e alle assemblee apparterranno ai partiti anziché a chi è stato eletto. L’introduzione del cosiddetto “mandato imperativo” è la forma peggiore di soffocamento dei processi democratici, che dimostra la totale noncuranza della volontà dei cittadini.
Lagumdžija e Dodik, inoltre, vorrebbero eliminare il Centro principale del conteggio dei voti a livello statale (BiH), che solo alle scorse elezioni amministrative ha svelato 100 tentativi di brogli elettorali. Se non ci fosse stato questo sistema di controllo, tutte quelle irregolarità sarebbero passate e l’esito delle elezioni sarebbe stato di gran lunga differente in molti comuni. Se le elezioni fossero condotte dalle commissioni elettorali delle entità e dei comuni, come suggerito nell’accordo Lagumdžija-Dodik, non solo si sfascerebbe il processo elettorale in BiH, ma si aprirebbe anche la possibilità a manipolazioni e ingegneria elettorale. Questo è proprio quell’aspetto cruciale che garantirebbe ai presidenti di SDP e SNSD la massima durata al potere, anche a prescindere dalla volontà degli elettori, i quali per altro alle scorse amministrative hanno significativamente ridotto le preferenze per questi due partiti. SDP e SNSD temono la sconfitta alle elezioni del 2014, con questo accordo cercano di impedire che ciò accada.
Le organizzazioni della società civile hanno fatto questi rilievi e, per la prima volta, si sono opposte tutte insieme, in 300. Hanno invitato le istituzioni locali e internazionali, in primis il Consiglio d’Europa, a far qualcosa in difesa della democrazia in BiH.
L’accordo tra Dodik e Lagumdžija inoltre contiene un attacco all’indipendenza della magistratura, in particolare attraverso la proposta di modifica del sistema di nomina dei magistrati che, al posto di essere fatta dal Consiglio superiore della Magistratura, verrebbe fatta dal parlamento. Altre questioni problematiche contenute nell’accordo riguardano il funzionamento della Banca centrale e delle compagnie elettriche pubbliche.
L’applicazione della sentenza della Corte di Strasburgo nel caso Sejdić-Finci, sulla questione della appartenenza etnica esclusiva per alcune cariche pubbliche, non è stata presa in considerazione nell’accordo semplicemente perché andrebbe contro gli interessi dei leader politici e a favore dei cittadini.
Qual è il ruolo della comunità internazionale in questo scenario?
La comunità internazionale negli ultimi anni in Bosnia Erzegovina ha adottato un ruolo piuttosto passivo. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR) è praticamente scomparso, la missione dell’OSCE agisce ormai più in una veste di consulente che altro, l’ufficio del Consiglio d’Europa pure. Lo stesso si può sostenere per la delegazione della Commissione Europea a Sarajevo e per il suo rappresentante, Peter Sorensen, dal quale ci si aspettava molto di più in termini di pressioni sui politici locali per guidare il paese verso l’integrazione euro-atlantica. Invece si ripete in continuazione che tutta la responsabilità è dei leader locali. Sì, d’accordo, ma a Bruxelles avranno visto che i politici locali non hanno un briciolo di responsabilità…
Gli interessi dei partiti continuano ad essere dominanti rispetto a quelli dei cittadini, ecco perché siamo dove siamo: in coma. Tra l’opinione pubblica è circolata l’informazione che i veri artefici dell’accordo Lagumdžija – Dodik sarebbero gli stranieri, cioè la comunità internazionale, ma non lo credo possibile. Se così fosse Stefano Sannino, direttore generale della Direzione allargamento dell’UE, non avrebbe scritto una lettera al governo bosniaco ammonendolo a non toccare le risorse della compagnia elettrica della BiH. Sarebbe contraddittorio. Sul fatto che la comunità internazionale invece potrebbe e dovrebbe fare di più, tuttavia, sono d’accordo.
Penso sia di importanza fondamentale che la BiH diventi parte della NATO e almeno candidato all’UE. Se la comunità internazionale esercitasse più pressione sul governo per realizzare questi obiettivi, molte cose cambierebbero. I cittadini potrebbero tirare un sospiro di sollievo, e i funzionari internazionali ridurre la loro influenza. Gli inviti ai leader locali ad assumersi le loro responsabilità, invece, non porteranno alcun frutto. I maggiori progressi e riforme, in Bosnia Erzegovina, sono stati fatti tra il 2002 e il 2006, nel periodo in cui la comunità internazionale aveva un ruolo determinante nella presa delle decisioni. Duole dirlo, ma è così.
Come si potrebbe risolvere la crisi politica in Bosnia Erzegovina?
Semplicemente, i leader dei diversi partiti dovrebbero lavorare per il benessere dei cittadini. Ma questo non accadrà, hanno già dimostrato di non volerlo fare. Dal momento che non credo sia possibile un accordo senza l’SDA, e nemmeno il funzionamento della nuova maggioranza parlamentare, la crisi politica durerà di sicuro altri due anni.
Le elezioni politiche del 2014 saranno l’occasione per risolvere finalmente le cose. Penso però che sia necessario modificare la legge elettorale, e introdurre l’obbligo di voto almeno per questa tornata elettorale. Non si tratta di un’azione antidemocratica, viene applicata anche in paesi sviluppati come la Finlandia, il Belgio o l’Australia. Questo sistema delegittimerebbe per sempre le affermazioni dei presidenti dei partiti, per primi di quelli nazionali ma anche di quelli con prefisso socialdemocratico, secondo cui godono del pieno appoggio dei cittadini. Quel 40-45% di elettori che ora non va a votare, perché totalmente deluso dall’attuale stato delle cose, potrebbe cambiare la situazione. Se anche dopo il 2014 la situazione rimanesse identica, invece, allora potremmo dire che si tratta della volontà dei cittadini della BiH. Fino ad allora né Dodik né Lagumdžija possono essere leader e guide in BiH, perché il numero dei voti che hanno ottenuto rappresenta in tutto il dieci per cento o poco di più di tutto l’elettorato della BiH.