Serbia: privatizzazioni, profittatori e società civile
Sempre più spesso, quando si parla di privatizzazioni in Serbia, le si accosta a corruzione e malaffare. Un processo iniziato sul finire degli anni ’80 e che ha coivolto centinaia di migliaia di lavoratori. Ma del quale mai si occupa la società civile. Ne parliamo con Ivan Zlatić, attivista del Movimento per la libertà
La privatizzazione in Serbia è in corso, secondo vari modelli, dal 1989 e fino ad ora ha visti coinvolti oltre un milione di lavoratori. Dopo l’arrivo dei governi democratici ha subito un’accelerazione e dal 2002 al 2010 sono state vendute o ristrutturate oltre 2400 aziende pubbliche. Tuttavia, al posto dello sviluppo economico, in funzione del quale è iniziata, la privatizzazione in Serbia è spesso legata a corruzione, violazione dei diritti dei lavoratori e alla deliberata svalutazione delle aziende per il vantaggio di pochi.
Uno dei segnali di scarsa trasparenza dell’intero processo è senza dubbio l’assenza del coinvolgimento della società civile nell’intero processo. Nonostante quest’ultimo abbia negativamente influito sulle vite di molti cittadini della Serbia, le nuove organizzazioni civili non si sono mai mobilitate su questo tema, e di sicuro non in misura adeguata all’enorme importanza di questo processo per la riuscita della transizione.
Una delle rare iniziative che ha aiutato nella lotta per la realizzazione dei diritti dei lavoratori e la trasparenza della privatizzazione è il “Movimento per la libertà” (Pokret za slobodu ), un’organizzazione indipendente e apartitica che si batte per i diritti dei lavoratori, per il decentramento dei poteri e dell’economia, per una maggiore autonomia dei cittadini, con l’obiettivo di impedire la svendita delle aziende serbe e la cancellazione dei posti di lavoro. Abbiamo incontrato Ivan Zlatić, attivista di questo movimento e fin dal 2004 attivo nell’autorganizzazione e nella lotta dei lavoratori di 14 aziende connotate da privatizzazioni controverse.
Perché secondo te la società civile non si è mai occupata di queste tematiche?
L’organizzazione della società civile in Serbia è ancora connotata dalle dicotomie degli anni Novanta. Per molti attivisti i lavoratori di oggi sono gente del passato a cui non è ancora chiaro che Tito è morto, che Milošević non c’è più e che dei loro diritti non esiste più nulla. Non sarebbero altro che retrogradi, stalinisti, gente di destra.
Spesso negli ambienti della società civile serba si sente ripetere la frase secondo la quale scioperi e proteste danneggerebbero la Serbia ed è proprio per questo che non ci sarebbero investitori stranieri. Per questo motivo si lascia che sia il sindacato ad occuparsene ed i populisti: che promettono di tutto.
Ma la politica andrebbe lasciata fuori dalle privatizzazioni. E’ il solo modo per non favorire i soliti imprenditori vicini al potere a discapito dei piccoli azionisti e dei lavoratori.
Dall’altra parte, chi più di tutti contrasta la privatizzazione è la stampa populista, con la pubblicazione degli scandali, ma sono i meno adatti per creare uno spazio di dibattito in cui si possa criticare seriamente la privatizzazione. Siamo al paradosso in cui chi scrive seriamente e in modo informato lo fa quasi esclusivamente a vantaggio delle privatizzazioni.
Il mensile Republika e il Consiglio per la lotta alla corruzione sono stati tra i pochi a presentare una critica argomentata al processo di privatizzazione. Quando la polizia ha fatto irruzione nella redazione di Republika, per indagare sul loro sostegno ai lavoratori della fabbrica Jugoremedija, oltre 60 intellettuali e personalità rilevanti della società civile hanno sottoscritto una lettera di protesta…
Il settore della società civile ha difeso non tanto Jugoremedija ma piuttosto la rivista Republika, per difendere qualcuno del proprio giro. Se il direttore di Republika Nebojša Popov non fosse stato parte della società civile, probabilmente nessuno di quegli intellettuali si sarebbe fatto sentire.
Ogni storia sulla presenza della corruzione nella privatizzazione è sempre stata tacciata di populismo da parte del settore civile liberale, quindi non c’è mai stato spazio pubblico per essere critici nei confronti delle privatizzazioni senza che si venisse tacciati di essere contro le riforme. Questi argomenti sono stati utilizzati anche contro il Consiglio per la lotta alla corruzione.
Sul conto della sua ex direttrice Verica Barać, la quale ha con caparbietà fatto emergere numerosi scandali, un noto economista attivo nel settore della società civile ha persino affermato che quest’ultima avrebbe fatto arretrare la lotta alla corruzione nello stesso modo in cui i radicali hanno fatto arretrare il dibattito in parlamento.
Dal momento che le aspettative dei lavoratori sono state tradite dai politici, e nemmeno i sindacati sono stati coerenti nella difesa dei loro interessi, si pone una questione di fiducia: come siete entrati in contatto coi lavoratori?
E’ con difficoltà che siamo riusciti a far breccia nella loro iniziale sfiducia. Trudbenik è stata l’unica azienda in cui abbiamo lavorato fin da subito con facilità. I suoi lavoratori li abbiamo conosciuti per strada, durante uno sciopero, senza alcuna intermediazione. Prosveta, casa editrice, è stato invece il primo gruppo con cui ho lavorato nel 2003. Sono scesi in sciopero, io l’ho saputo dai cartelloni per strada e mi sono aggiunto, ma erano molto diffidenti. Allora scrissi un testo per Republika che piacque loro e da lì iniziò il tutto.
In altri casi è andata diversamente: Jugoremedija l’ho conosciuta perché lavoravo nel Consiglio per la lotta alla corruzione, dove presentarono una denuncia di corruzione e riciclaggio di denaro, cercando in questo modo di allontanare il proprietario. Ho lavorato a quel caso all’interno del Consiglio, e così ho proseguito poi a collaborare con loro al di fuori dell’ufficio. Ho iniziato a scrivere anche per Republika riportando quanto stava accadendo all’azienda. All’inizio era una semplice reazione all’ingiustizia, nemmeno io sapevo tutti i meccanismi e gli interessi che stavano dietro le violazioni della Legge sulla privatizzazione. Attraverso la lotta abbiamo scoperto anche i retroscena.
Jugoremedija si è separata dagli altri casi perché lì non si trattava solo di un ricco mafioso che si era comprato la fabbrica, ma del fatto che contro di lui era sceso in campo sin dall’inizio un gruppo incredibilmente organizzato, molto solidale, molto coeso… E quelle resistenze che hanno messo in campo erano incredibili, ne ero sorpreso, e da quelle reazioni alla loro lotta ho imparato molto sui retroscena della privatizzazione. Poi, attraverso Jugoremedija siamo entranti in contatto con altre aziende come Šinvoz e Srbolek.
All’inizio del processo di privatizzazione in Serbia i lavoratori erano proprietari di una parte delle azioni delle aziende in cui erano occupati. Quindi voi predente parte alle lotte dei lavoratori in cui essi sono al tempo stesso dipendenti e proprietari?
I lavoratori hanno capito, ad un certo punto, che nel contesto della privatizzazione avrebbero difeso meglio i propri interessi se si fossero organizzati non solo attraverso i sindacati ma anche come comproprietari delle rispettive aziende. Tuttavia, oltre al fatto che il settore civile trattava i lavoratori come relitti del passato, le lotte dei lavoratori sono state incomprese anche dai gruppi di sinistra. Il Movimento per la libertà è stato spesso criticato per queste scelte relative alla compartecipazione dei lavoratori all’azienda: ci hanno detto che eravamo dei borghesi, che le nostre lotte non erano sufficientemente rivoluzionarie.
Non essendo riusciti a trovare appoggi in patria, li abbiamo cercati all’estero. La prima lettera di sostegno è giunta nel 2006, quando i tribunali in Serbia stavano decidendo il destino della Jugoremedija ed è stato molto importante e di grande aiuto. Quella lettera fu firmata da quaranta intellettuali: Chomsky, Immanuel Wallerstein, Naomi Klein, ecc. La lettera fu inviata al presidente Tadić, al governo, all’Agenzia per la privatizzazione e ai tribunali… Credo che quella lettera abbia avuto un effetto positivo sul destino di Jugoremedija.
Negli anni sono stati sciolti oltre 400 contratti di privatizzazione per mancato rispetto degli impegni da parte degli acquirenti, e l’UE ha chiesto un riesame della privatizzazione in 24 aziende. Questo significa che si potrà riavvicinare la Serbia riformista ai lavoratori?
Noi abbiamo sempre voluto creare dei legami, così che i sindacati e l’attivismo azionario che è esistito tutti questi anni e che continua ad essere molto dinamico, possano essere la base delle riforme, e non che le riforme si basino su pochi individui potenti. Cittadini informati e ben organizzati sono il vero caposaldo per la legalità e per il consolidamento della democrazia.