Cecenia: la guerra, il male, la memoria
Majnat Kurbanova è una giornalista e scrittrice cecena che da anni collabora con Osservatorio. Agnese Riva le ha dedicato un’appassionata tesi di laurea, con lunghe interviste e traduzioni dei suoi scritti. Estratto di una conversazione con l’autrice sui grandi temi della guerra
Majnat, in guerra esiste il concetto di società? In un contesto di disumanità totale quale è la guerra, aumenta il senso di umanità tra le vittime?
Sì. In guerra la società comincia a funzionare come una sorta di istituzione, si attivano dei meccanismi nascosti di coesione e ognuno si sente responsabile verso l’altro. In Cecenia, durante gli anni di guerra più terribili, le persone hanno cominciato a comportarsi come una società. Potevo bussare a casa di chiunque, anche durante il coprifuoco, e sapevo che mi avrebbero ospitata; potevo dire di essere una giornalista e nessuno l’avrebbe rivelato. Le persone in alcuni casi si sono unite spontaneamente per protestare: una volta una ragazza fu rapita da alcuni soldati russi e, quando si seppe che volevano accusarla di essere una donna-kamikaze, la gente scese in strada e ci rimase una settimana: fu uno scandalo così grande che ordinarono di liberare la ragazza. Oggi, però, in Cecenia non esiste una vera società, esistono solo persone scollegate fra loro che tentano di sopravvivere: la guerra è durata troppo a lungo ed è impossibile che dopo dieci anni di t[]e continuo le persone siano ancora coese come all’inizio. Oggi non c’è né guerra né pace, c’è una situazione assolutamente incomprensibile, di dissidio e caos.
La guerra annienta la capacità di pensiero e di comprensione della realtà o, al contrario, stimola questi processi?
Io credo che li stimoli, ma la guerra agisce in modo diverso sulle persone. La guerra aiuta inoltre a relazionarsi alla vita in modo più filosofico e a considerare il valore della vita e del tempo diversamente. Ciò che prima sembrava importantissimo durante la guerra perde senso e viceversa: capisci che il pane è più importante di ogni ricchezza, che non c’è macchina migliore delle tue scarpe, che una villa non serve a niente se non ha uno scantinato. Se prima pensavi spesso a cosa fare e diventare, la guerra ti insegna a non pensare al futuro, ma solo a quello che c’è in quel momento e a goderne.
Lo scrittore russo A. Babčenko, che ha combattuto in Cecenia sia durante la prima che la seconda guerra cecena, ha scritto: "La guerra non rende un uomo migliore o peggiore. La guerra lavora come la carta vetrata: gratta via tutti i fronzoli, tutto il superfluo, mettendo a nudo il nocciolo, rivelando la vera essenza". La guerra rende tutti uguali?
No, la guerra funziona come uno specchio, riflette ciò che una persona è veramente; quello che in tempi di pace non ha spazio o occasione di manifestarsi si rivela durante la guerra: le persone perdono le proprie maschere. Se ti trovi per una settimana in uno scantinato umido e sporco, senza cibo e sotto le bombe, bastano pochi giorni per iniziare a capire chi è chi veramente. In ogni situazione estrema le persone perdono le proprie maschere: se sono inclini al bene, dentro di loro si risvegliano le loro migliori qualità, se sono inclini al male si rivelano i loro peggiori difetti.
È possibile abituarsi al dolore?
Sicuramente tutto si ottunde quando dura per molto tempo, ma non smette di fare male; nonostante il dolore diventi una routine, parte delle tue giornate e della tua vita, non ci si può abituare. Trovarsi in situazioni estreme per giorni, mesi, anni, diventa un dato di fatto, sai che è così e che domani sarà uguale, e dopodomani ancora. Poi quando passa, quando non ti trovi più lì, inizi a rielaborarlo e vederlo diversamente.
Hai scritto che, lontana dalla Cecenia, avresti potuto dimenticare tutto, se avessi voluto. Cosa intendevi dire esattamente?
Intendevo dire che avrei potuto cercare di ricostruirmi una vita completamente diversa, pensare che la guerra fosse finita e che non mi riguardasse più. Certamente, dimenticare è impossibile. Adesso va molto lo slogan "La Cecenia senza tracce di guerra": costruiscono nuovi edifici e li dipingono di rosa, pensando che così la gente possa dimenticare; vogliono che niente in quella città ricordi quello che c’è stato, che migliaia di persone sono state ammazzate, ma è impossibile. In Germania, ad esempio, ci sono ancora edifici che testimoniano la guerra: avrebbero potuto dipingerli di rosa, ma non l’hanno fatto perché quei monumenti ricordano alle persone che non si deve dimenticare. Cosa succederebbe se dimentichiamo? Tutto si ripeterebbe, sempre. Allo stesso modo, io potrei cercare di farmi una vita diversa e imparare un altro mestiere, ma non voglio. Voglio continuare a occuparmi di questo, a scriverne e parlarne. Non voglio che mia figlia debba vivere di nuovo una guerra perché la mia generazione ha voluto dimenticare velocemente.
Credi sia possibile che il male in una certa misura non si ripeta?
Assolutamente no. Il male si ripete ogni giorno, semplicemente cambia luogo e tempo, si sposta per i diversi continenti. Così è stato e così sarà, ma ognuno deve combattere contro questo e deve decidere dentro di sé cosa vuole fare e come vuole comportarsi.
E per quanto riguarda la Cecenia in particolare?
Queste guerre vanno avanti da quattrocento anni, a volte si calmano, a volte iniziano di nuovo, e andrà avanti così finché la Cecenia e la Russia non definiranno i loro rapporti, qualsiasi essi siano, finché la Cecenia non sarà indipendente, o anche non completamente indipendente, e finché la Russia non capirà che per il suo impero è giunta l’ora di liberarsi di questa colonia, perché di guerra coloniale si tratta. Possono chiamarla guerra al t[]ismo o guerra per l’integrità della Russia, oggi è di moda il nome t[]ismo quindi si parla di guerra contro i t[]isti, ai tempi di Stalin si chiamavano banditi, con gli zar selvaggi. Fino a che la situazione non sarà risolta a livello di politica nazionale, queste guerre, questo male, questa crudeltà si ripeteranno perché si è sparso troppo sangue, le differenze e l’odio sono troppo grandi e perché il diritto alla libertà e alla propria terra è un diritto primordiale dato da dio che i ceceni e tutti i popoli colonizzati devono ottenere. La Cecenia è una terra colonizzata e la Russia è un impero che non vuole perdere una colonia, è l’ultimo impero in Europa e la Cecenia è l’ultima colonia d’Europa. Prima o poi la Russia dovrà lasciarla: se questo sia un bene o un male per la Russia o per la Cecenia è un altro discorso, ma prima o poi succederà.
Ti sei mai data una risposta a come sia stato possibile così tanto male?
Non credo di averlo ancora capito, ma alcune cose semplicemente non si possono capire. Ad esempio, nel 1995, i militari hanno completamente raso al suolo il mio paese natale Samaški bombardandolo per tre giorni, e il terzo giorno hanno iniziato un rastrellamento per eliminare chi era rimasto ancora vivo. Presero anche mio padre, che allora aveva settantacinque anni. Quando tornammo nel villaggio non c’era nemmeno una casa che non fosse completamente bruciata, ovunque c’erano cadaveri di uomini e animali, sangue, di tutto. Tuttora non capisco perché l’hanno fatto: era un semplice paese come un altro dove non c’erano guerriglieri o obiettivi strategici. C’è solo una spiegazione: l’hanno fatto per rabbia, per dimostrare che potevano farlo, per far sì che i ceceni si arrendessero e la guerra finisse. Posso capire un soldato che spara al suo nemico in guerra, ma non capisco la crudeltà animale, non capisco perché squartare a coltellate le vittime, perché ammazzare i bambini e violentare le donne. E la cosa interessante è che poi quei soldati vanno a casa e sono affettuosi con i loro figli, le loro mogli e madri e gli portano come regali cose che hanno rubato in Cecenia.
In un tuo testo, hai scritto che nonostante tutto hai continuato a sentire la tua appartenenza al genere umano. Cosa ti ha aiutato più di tutto in questo?
Vedere persone diverse. Non vedevo solo dei boia, e ne ho visti in vita mia, ma vedevo anche persone semplici che non hanno perso le loro qualità umane. Credo che anche nelle condizioni più terribili una persona abbia la possibilità di rimanere uomo e non trasformarsi in una bestia: ci sono cose che nemmeno le bestie fanno, ma le persone sono capaci di fare. Ci sono sempre sia il bene che il male: le persone buone sono la maggioranza, solo che i cattivi si fanno sentire di più, sono più aggressivi.
Cosa pensi quando si parla di genocidio dei ceceni?
Non ho il minimo dubbio che si sia trattato di un processo voluto finalizzato all’eliminazione non solo dei ceceni, ma anche della loro cultura. I primissimi giorni della prima guerra tra i primi edifici intenzionalmente bombardati ci furono musei, l’archivio e la biblioteca nazionali, tutti i dipartimenti e gli archivi dell’Università, la filarmonica e altre importanti entità culturali. Hanno ammazzato scrittori, artisti, tutte le energie più forti, il potenziale del popolo, la gioventù, gli uomini, hanno troncato un’intera generazione. Ai posti di blocco facevano sparire apposta i ragazzi giovani e in salute. È un’intenzione che c’è sempre stata anche in passato ed è tuttora viva.
Questo processo viene portato avanti anche ora che teoricamente non c’è la guerra?
Teoricamente non c’è; la guerra non sta attraversando una fase attiva, ma quello che hanno fatto negli anni precedenti è già abbastanza. La guerra ha fatto più di 250 mila vittime (su neanche un milione che eravamo) e altri 200 mila profughi sparsi per il mondo non si sono ancora organizzati come diaspora, cosa per cui ci vorranno ancora dieci o vent’anni. Oggi non c’è la necessità di bombardare: per altri trent’anni possono riposare e aspettare che i ceceni raccolgano le forze e cresca un’altra generazione. Non hai idea di quanto tempo e quante forze servano a un popolo piccolo come il nostro per ricostruire tutto ciò che di materiale e immateriale è stato distrutto.