Cipro, piano di salvataggio rinviato

L’ultimo meeting dell’Eurogruppo a Bruxelles lunedì 21 gennaio non ha prodotto un accordo definitivo tra il governo della Repubblica di Cipro e la troika (UE, BCE, FMI) sul salvataggio dell’economia cipriota. Il confronto è rinviato a metà marzo, dopo le elezioni presidenziali e la formazione di un nuovo governo. Un approfondimento

01/02/2013, Francesco Grisolia -

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Gioco delle carte nelle strade di Nicosia - Mirror | imaging reality/flickr

I negoziati fra Nicosia e la troika (UE, BCE, FMI) hanno prodotto già nella prima fase, tra luglio e settembre 2012, divergenze significative. Dopo il nulla di fatto in occasione del meeting dell’Eurogruppo del 12 novembre 2012, l’attenzione si è spostata sugli appuntamenti successivi, nel mese di dicembre. Neanche in tale occasione, tuttavia, è stato possibile giungere ad un compromesso.

Sebbene il “memorandum d’intesa”, piano preliminare reso pubblico a fine ottobre e accettato da Nicosia, preveda fra le varie misure di austerità anche la privatizzazione di alcune compagnie semi-statali, il presidente cipriota uscente Dimitris Christofias ha ribadito in più occasioni la propria contrarietà ad un accordo con Bruxelles che preveda tali provvedimenti.

Si tratta di un ostacolo fondamentale, che ha finora bloccato l’avanzamento dei negoziati. Alcuni opinionisti hanno giudicato incoerente la posizione del governo, presumibilmente dettata più dal calcolo “costi-benefici” politici, che dalla consapevolezza del significato degli accordi presi. La privatizzazione di enti semi-statali rappresenta infatti una misura impopolare, che potrebbe alienare all’AKEL, il partito di Christofias, numerosi consensi all’interno della base elettorale.

Nei mesi scorsi una contrapposizione analoga era emersa riguardo al taglio delle tredicesime e delle indennità addizionali per i dipendenti pubblici. Anche in questo caso, si trattava di misure impopolari, ma giudicate indispensabili dalla troika e, soprattutto, incluse nel piano di risanamento accettato da Nicosia in linea di principio.

Poca fiducia tra Nicosia e la troika

L’immagine di sé che il governo ha offerto alla troika, a partire dalla scorsa estate, non ha facilitato l’andamento dei negoziati. Gli addetti ai lavori hanno ricavato l’impressione che l’esecutivo guidato da Christofias abbia inizialmente adottato una tattica attendista, sperando in un accordo con la Russia. Con uno sviluppo in tal senso sarebbe stato possibile evitare le misure di austerità che l’UE e l’FMI avrebbero prevedibilmente imposto come condizioni del salvataggio.

Tuttavia, non volendo rischiare troppo in un’operazione bilaterale, Mosca ha richiesto il coinvolgimento della troika. Da ottobre il governo greco-cipriota ha tentato di recuperare il tempo perduto imprimendo un’accelerazione ai negoziati, cercando inoltre di trasmettere ai cittadini l’impressione che un accordo fosse raggiungibile in tempi brevi. Tale rappresentazione è stata però contraddetta dal braccio di ferro con la troika sulle misure di austerità preliminarmente concordate, come ricordato sopra. L’UE e l’FMI non sembrano più credere alla collaborazione dell’attuale governo. L’accordo definitivo sul piano di salvataggio è stato quindi rinviato a marzo, quando un nuovo governo, di diverso colore, secondo i sondaggi, sarà entrato in carica.

“Nicosia è in condizioni molto peggiori della Grecia”

Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da segnali preoccupanti, proteste e momenti di tensione. Nel mese di ottobre la Repubblica di Cipro ha subito un declassamento da parte di Standard and Poor’s, seguito a dicembre da un ulteriore declassamento dei titoli di stato da B a CCC+, con prospettive di nuovi tagli (il rating è attualmente “CCC-plus”). Alla fine dello scorso anno l’agenzia statunitense ha giudicato il rischio di default “considerevole e crescente”, aggiungendo che la domanda sul modo in cui finanziare il sistema bancario cipriota “resta ancora senza risposta”. Il presidente uscente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha affermato che “Nicosia è in condizioni molto peggiori della Grecia”. Due settimane fa il quadro è stato confermato da Moody’s, che ha tagliato di tre punti il rating dei titoli greco-ciprioti da B3 a Caa3, prevedendo ulteriori declassamenti e il rischio di fallimento. Le valutazioni delle due agenzie indicano investimenti ad alto rischio (debito fortemente speculativo) e sono sempre più vicine alle classi di rating corrispondenti all’insolvenza.

Con l’obiettivo di ridurre il deficit greco-cipriota, la finanziaria del 2013 ha introdotto tagli alla spesa pubblica e aumentato il prelievo fiscale. Tali misure determineranno una contrazione del PIL stimata fra il 2,4 e il 3,5% e un aumento della disoccupazione, che ha già raggiunto livelli allarmanti. A settembre il tasso di disoccupazione era del 12,2%, uno dei maggiori incrementi per anno all’interno dell’UE. La disoccupazione giovanile, invece, si attesta intorno al 25%. Migliaia di famiglie greco-cipriote stanno ricevendo beni di prima necessità o altri aiuti materiali mediante programmi di solidarietà gestiti dai comuni o dalla Chiesa ortodossa di Cipro.

Proteste, manifestazioni, fallimenti

A dicembre, seguendo l’iter di alcune proposte di legge, diverse categorie di lavoratori hanno contestato le misure di austerità previste per il 2013. Oltre una dozzina di gruppi di lavoratori ha espresso il proprio dissenso verso l’implementazione di provvedimenti derivanti dal memorandum concordato con la troika. Fra i gruppi promotori delle manifestazioni vi sono stati i lavoratori statali temporanei, i dipendenti della società fornitrice d’energia elettrica, ma anche poliziotti, medici e giudici.

Un ruolo di primo piano nella protesta è stato assunto dagli insegnanti, categoria tradizionalmente combattiva e ben tutelata dai sindacati locali. Alcune categorie professionali, secondo le voci critiche, sembrano esser stati essenzialmente ispirati dalla difesa corporativa dei propri privilegi. Lo spirito del ‘74, la forza d’animo e la capacità di cooperazione che consentirono alla comunità greco-cipriota di risollevarsi dal disastro economico che seguì la divisione dell’isola, sono stati spesso invocati negli ultimi mesi, ma alcuni opinionisti locali hanno colto in tali riferimenti un mero espediente retorico.

Che vi sia o meno continuità nel modo in cui i greco-ciprioti hanno affrontato la crisi economica dopo il 1974 e oggi, in ogni caso il 2012 ha registrato un record nel numero di attività commerciali che hanno dichiarato fallimento. Persino la più ampia catena di supermercati, Orphanides, è insolvente e il suo destino è in mano ai creditori. L’accordo in discussione prevede che gli stessi creditori gestiscano un certo numero di punti vendita per dieci anni, consentendo l’assolvimento dei debiti maturati. Tuttavia, il numero di creditori che hanno accettato il piano non è ancora sufficiente. L’eventuale chiusura della catena comporterebbe il sacrificio di migliaia di posti di lavoro e una perdita per l’economia greco-cipriota stimata intorno ai 400 milioni di euro.

In un simile quadro e priva d’accesso ai mercati internazionali, la Repubblica di Cipro ha impiegato metodi non ortodossi per affrontare le spese a breve termine. A metà dicembre il ministero delle Finanze ha annunciato che il paese si trovava “a pochi giorni da un default selettivo”, legato al pagamento dell’ultimo stipendio del 2012 e delle tredicesime dei dipendenti pubblici. È stato quindi necessario ricavare circa 250 milioni di euro dal fondo pensioni di alcuni enti statali.

L’entità del piano di salvataggio, una cifra controversa

Lo stallo dei negoziati sul piano di salvataggio è stato recentemente consolidato da una nuova controversia sull’entità della cifra di cui la Repubblica di Cipro avrà bisogno per uscire dalla crisi.

La società di consulenza Pimco, cui il governo ha affidato il compito di stimare la somma necessaria alla ricapitalizzazione delle banche greco-cipriote, avrebbe dovuto produrre un report finale in merito entro il 15 gennaio, in vista dell’Eurogruppo in programma sei giorni dopo.

Tuttavia il ministro delle Finanze Vassos Shiarly ha partecipato al meeting di Bruxelles del 21 gennaio senza poter fornire indicazioni precise ai suoi colleghi europei. Trattandosi di dati indispensabili per la definizione dell’intero piano di salvataggio, i ministri dell’Economia e delle Finanze hanno preso atto della necessità di un ulteriore rinvio per intavolare i negoziati. Alla base della scadenza non rispettata vi è la contestazione, da parte del governo greco-cipriota, della cifre fornite dalla Pimco: circa 10 miliardi di euro per la sola ricapitalizzazione delle banche, oltre 17 miliardi per il piano di salvataggio complessivo. Si tratta di cifre troppo alte per Nicosia.

La somma, infatti, corrisponde approssimativamente al prodotto interno lordo della Repubblica di Cipro. Sommata al debito pubblico preesistente, essa porterebbe il rapporto fra debito e PIL al 140%. Il Fondo Monetario Internazionale giudica insostenibile qualunque debito superiore al 120%: qui è la radice della contestazione dei numeri e della controversia fra Nicosia e la troika.

Ipotesi di haircut

Per poter rendere più agevole il pagamento del debito e dei relativi interessi, l’FMI ha preso in considerazione l’ipotesi di un taglio (haircut) del debito stesso, ma la proposta è stata rigettata per ragioni diverse sia dall’UE che dalla Repubblica di Cipro. I due motivi addotti da Bruxelles riguardano la credibilità e la tenuta della zona euro. Il taglio di un debito sovrano, compiuto per la Grecia, è stato infatti presentato come una misura “una tantum”, cui ricorrere in casi eccezionali. Se diventasse pratica ricorrente, minerebbe l’immagine e l’affidabilità dell’economia europea.

La ragione addotta dalla Repubblica di Cipro è, se possibile, ancor più sostanziale: poiché il debito pubblico cipriota è detenuto in larga parte dalle stesse banche dell’isola, un eventuale taglio produrrebbe un paradosso, danneggiando proprio i destinatari primari del piano di salvataggio.

Il governo greco-cipriota ha avanzato una controproposta: coprire direttamente almeno una parte della ricapitalizzazione delle banche attraverso il “Fondo salva-stati” (Meccanismo Europeo di Stabilità, ESM), in modo da alleggerire l’indebitamento della Repubblica di Cipro. Si tratta di una proposta che nasce dalla rivendicazione di una sorta di credito maturato verso l’UE. Il taglio del debito sovrano greco, accettato da Nicosia, ha infatti colpito le banche greco-cipriote: la perdita è stata quantificata intorno ai 4,5 miliardi di euro. Utilizzando il Fondo salva-stati Bruxelles potrebbe, dal punto di vista di Nicosia, saldare il debito.

Vi sono però due obiezioni fondamentali: la prima, formale, è che le regole d’uso del Meccanismo Europeo di Stabilità non consentono il suo impiego per far fronte a debiti maturati prima della sua creazione (settembre 2012). La seconda possibile obiezione, più sostanziale, riguarda la rischiosa politica monetaria adottata dalle banche greco-cipriote: se esse non fossero state così esposte verso il debito greco, non sarebbero state fortemente danneggiate dal suo taglio.

Guerra di numeri

La seconda strategia di negoziazione con la troika ha fatto leva sulla metodologia usata dalla Pimco per definire le cifre della ricapitalizzazione e del bailout. Esponenti del governo greco-cipriota hanno sottolineato che la società di consulenza ha preso in considerazione nei propri calcoli i peggiori scenari possibili, giungendo a somme ingiustificatamente alte. Una seconda società di consulenza, la Black Rock, ha ricevuto dalla Banca Centrale di Cipro l’incarico di effettuare una contro-stima. La controversia dei numeri continua.

Infine, la terza linea argomentativa – seguita anche dal ministro Shiarly – è incentrata sia sulla consapevolezza dei propri oneri e l’assunzione di responsabilità davanti alla troika, che sulla ragionevole richiesta di dilazionare i tempi di restituzione del prestito. Intanto Mosca, da cui Nicosia ha già ricevuto 2,5 miliardi di euro nel 2011, ha accettato un’estensione del saldo dal 2016 al 2021. Una logica simile potrebbe essere adottata anche nei negoziati con l’UE e il Fondo Monetario Internazionale.

Attriti con la Germania

Nel tentativo di ottenere il prestito di cui ha bisogno, la Repubblica di Cipro è ostacolata dalla Germania. Dal mese scorso i media tedeschi presentano Nicosia come partner economico inaffidabile, dando eco ad indiscrezioni relative alla scarsa trasparenza del sistema bancario greco-cipriota e al rischio che possa ancora offrire ampie opportunità di riciclaggio.

Da tempo Nicosia deve fare i conti con una cattiva reputazione, legata in particolare alla massiccia presenza di capitali russi, la cui provenienza non è sempre tracciabile in modo inequivocabile. L’immagine del contribuente tedesco, o europeo in generale, chiamato a sostenere un’operazione di salvataggio da cui potrebbero trarre illegittimo beneficio gli “oligarchi russi” si è diffusa nell’opinione pubblica tedesca e in altri paesi dell’UE.

Esponenti del governo greco-cipriota hanno rigettato categoricamente tale rappresentazione, sottolineando di aver approvato una serie di leggi anti-riciclaggio che pongono la Repubblica di Cipro al di sopra dei suoi detrattori in termini di adesione ai principi della trasparenza bancaria. I dati della FATF (Financial Action Task Force) collocano, fra i diciassette membri dell’Eurozona, la Repubblica di Cipro al settimo posto e la Germania al quattordicesimo. Tuttavia, i colleghi tedeschi e alcuni addetti ai lavori a Bruxelles fanno notare che l’approvazione di provvedimenti di legge non corrisponde sempre alla sua effettiva implementazione.

Timore di conseguenze "sistemiche” della crisi cipriota

Accanto ai sospetti legati al riciclaggio, esiste un altro fattore di resistenza da parte di alcuni settori dell’opinione pubblica tedesca. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha osservato che, prima di un possibile ricorso al Fondo salva-stati, sarà necessario chiarire che “i problemi a Cipro potrebbero essere un problema per l’intera zona euro”, perché “è ciò che il trattato [del Meccanismo di Stabilità] prevede”. Fuori dal gergo istituzionale, si tratta di far comprendere al cittadino tedesco (ed europeo) che il suo contributo fiscale al piano di salvataggio è necessario e che l’eventuale default di una pur piccola economia – pari allo 0,2% del PIL dell’eurozona – creerebbe comunque effetti sistemici.

Le critiche e le condizioni poste dalla Germania hanno diffuso a Nicosia l’impressione che il “tesoriere europeo” stia attaccando gratuitamente la Repubblica di Cipro per provocare uno spostamento di capitali stranieri dall’isola verso altre destinazioni, Germania compresa.

L’economia greco-cipriota è fortemente basata sui servizi finanziari. La crisi potrebbe alterare un modello economico mantenuto per decenni e legato, oltre alla finanza, al turismo e al settore edile. Le attuali difficoltà portano con sé tensioni e il rischio di pose nazionalistiche e riemergenti stereotipi ma da esse la Repubblica di Cipro potrebbe trarre una lezione e uno stimolo per il futuro, diversificando la struttura della propria economia.

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