Kosovo, i serbi del nord temono i negoziati di Dačić

Il negoziato tra Kosovo e Serbia ha fatto negli ultimi mesi molti passi in avanti. I serbi del Kosovo settentrionale, area "pomo della discordia" tra Pristina e Belgrado guardano però con preoccupazione all’accelerazione data alle trattative. Diffuso il timore che nonostante la retorica, il governo socialista sia disposto ad "abbandonare" il nord per raggiungere altri obiettivi strategici

05/02/2013, Tatjana Lazarević - Mitrovica

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Tra Kosovo del Nord e Serbia - © Livio Senigalliesi

"Con questa intesa, la Serbia inizia a riconoscere la statualità del Kosovo in un contesto di legalità internazionale”. Così il premier kosovaro Hashim Thaçi ha commentato i recenti accordi, raggiunti da Pristina e Belgrado nel negoziato tra le parti attualmente facilitato dall’UE.

L’accordo “ad interim” riguarda le entrate doganali raccolte a Jarinje e Brnjak, punti di confine o “checkpoint sulla linea di divisione amministrativa” a seconda dei punti di vista: entrate che andranno a confluire in un fondo speciale, creato sotto gli auspici di Bruxelles.

“Un’efficacia sorprendente”

Dopo anni di stallo, l’ultimo accordo perfezionato è solo l’ultimo di una serie di sviluppi del processo negoziale concretizzati ad una velocità a dir poco sorprendente. Nonostante il lungo negoziato tra Pristina e Belgrado durante il precedente governo democratico, negli anni della presidenza Tadić, i primi risultati concreti sono arrivati infatti solo lo scorso dicembre, quando è partita la “gestione integrata” dei punti di passaggio tra Kosovo e Serbia.

Tale “gestione integrata”, con polizia serba da una parte e kosovara dall’altra, è stata implementata in tempi molto rapidi, con controlli ai passeggeri dei veicoli in transito tra Kosovo del nord e Serbia, un controllo spesso non sistematico e in molti casi limitato ai soli conducenti.

Le forze dell’ordine di Kosovo e Serbia, partner inimmaginabili fino a ieri, si sono quindi incontrati nella “zona cuscinetto”. Le vecchie garitte dei checkpoint, ora abbandonate, hanno oggi un aspetto sinistro e rappresentano ormai solo un ostacolo al passaggio delle auto.

"Tradimento"

Per i cittadini serbi del Kosovo settentrionale però la velocità e l’efficacia dei negoziati, caldamente appoggiati dalle diplomazie occidentali, ed ora implementati dal governo di Belgrado, rappresentano una pugnalata alle spalle. Lo shock più grande deriva dal fatto che l’integrazione della zona nord nella cornice statale del Kosovo sembra ora sostenuta dal premier serbo Ivica Dačić, uno dei leader di quel Partito socialista che nel 1999 provocò un conflitto armato contro la più grande potenza militare del mondo proprio per mantenere la sovranità serba sul Kosovo.

Il trauma è rafforzato dal ruolo di supporto al negoziato giocato dal presidente Tomislav Nikolić, che provenendo dalla leadership del più estremista dei partiti dello spettro politico serbo (il Partito radicale) ha basato la sua campagna elettorale, soltanto pochi mesi fa, proprio su promesse nel campo della sovranità statale. Allora, disse ai cittadini di Mitrovica riunitisi nella piazza centrale della parte nord che avrebbe “sciolto tutti quei precedenti negoziati”, realizzati dal governo democratico, che andavano contro gli interessi dei serbi del Kosovo.

“Nonostante quello che abbiamo passato negli ultimi 13 anni, l’umiliazione più dolorosa per i cittadini del nord del Kosovo è che tutti gli sforzi fatti per restare parte delle istituzioni dello Repubblica di Serbia vengono ora sabotati proprio da Belgrado, e la cosa più tragica è che con i suoi negoziati lampo Dačić ci ha tolto dalle mani l’arma più preziosa: la disobbedienza civile, utilizzata per resistere ad un’integrazione imposta in un sistema che i serbi del nord non vogliono”, dichiara ad OBC un imprenditore locale, Goran F., originario del villaggio di Banjaska.

Sono state le recenti dichiarazioni del primo ministro serbo sulle "istituzioni parallele nel Kosovo del nord” e il suo annuncio di negoziati su queste istituzioni a convincere i serbi del Kosovo settentrionale che Belgrado ha definitivamente ceduto alle pressioni dell’Occidente, e che vuole ora smantellare le istituzioni statali serbe in quest’area. Ai serbi di Mitrovica, appare evidente che la Serbia ha deciso nei fatti di accettare il Piano Ahtisaari, a prescindere dalla terminologia utilizzata dai negoziatori a Bruxelles.

“La gente non ha lottato tredici anni per le ‘istituzioni serbe in Kosovo’, come sostiene Dačić, ma per mantenere il sistema entro cui hanno vissuto molte generazioni, e in cui i nostri figli vivono tuttora. La sovranità serba di cui ama parlare Dačić quando torna da Bruxelles, o meglio la sua mancanza, è qualcosa che proveremo sulla nostra pelle nel prossimo futuro, quando ci verrà imposto quello a cui abbiamo resistito in questi anni”, è l’opinione di Nevenka Medić, cittadina di Mitrovica nord.

Uno sprint

Sembra passata molta acqua sotto i ponti dalla cosiddetta “crisi di luglio”, quando l’esecutivo serbo del tempo, con il sostegno unanime dell’opposizione (formata dai partiti che hanno ereditato oggi le leve del potere) si schierò anima e corpo con i serbi del Kosovo settentrionale. A quelle promesse è seguita una svolta radicale nell’atteggiamento di Belgrado, per arrivare all’attuale fase negoziale gestita da Dačić. A molti serbi del nord la mente corre amaramente al destino dei connazionali di Bosnia e Croazia, e c’è chi pensa con ironia che il destino di parte della nazione serba sia ancora una volta nelle mani della disastrosa politica voluta negli anni dal Partito socialista.

“Ogni volta che i socialisti dell’SPS portano avanti negoziati, ne derivano nuovi confini, nuove umiliazioni, nuove sofferenze. Ora, grazie a loro, si è arrivati a una perdita territoriale all’interno della stessa Repubblica di Serbia. Chissà cos’altro ci aspetta!”, ha dichiarato ad OBC un anziano cittadino di Mitrovica, Sreto Lazić, che si definisce apertamente “nemico dichiarato di comunisti e SPS”.

Vasi comunicanti

Seguendo il meccanismo dei vasi comunicanti, gli sforzi intrapresi per normalizzare la situazione nel Kosovo del nord, come altre volte nel passato, si sono rovesciati sul resto del Kosovo e sulle municipalità della Serbia del sud a maggioranza albanese. La recente rimozione di un monumento eretto nel centro di Preševo ai caduti dell”“Esercito di liberazione di Preševo, Medveđa e Bujanovac” (UÇPMB), dopo un lungo braccio di ferro tra Belgrado e la leadership albanese locale, ha provocato una serie di attacchi ai cimiteri serbi in Kosovo, azioni condannate dai funzionari internazionali così come dalle stesse autorità di Pristina. Sono in molti a pensare che la politica di durezza seguita da Dačić a Preševo possa essere funzionale a facilitare concessioni sul Kosovo del nord sul tavolo negoziale con il Kosovo e i facilitatori internazionali. 

In Kosovo, lapidi e croci in una dozzina di villaggi in cui oggi rimangono poche decine di abitanti serbi sono state divelte e danneggiate. A Viti/Vitina è stato smantellato anche un monumento ai caduti della resistenza contro il nazifascismo durante la Seconda guerra mondiale. Immagini amatoriali riprese durante la demolizione mostrano chiaramente che l’azione è avvenuta con la presenza in loco di alcuni membri della polizia kosovara, che sono stati poi sospesi dal servizio. Nel villaggio di Goraždevac, nel Kosovo nord-occidentale, alcuni colpi sono stati sparati contro due monumenti: quello che ricorda le vittime dei bombardamenti NATO e quello che onora i due ragazzi (di 19 e 12 anni) uccisi in un’imboscata nel 2003. Anche a Prilužje un monumento nel locale cimitero è stato fatto saltare in aria, e molte croci sono state date alle fiamme.

“Enclavizzazione” del Nord 

Il destino dei serbi a sud e a nord del fiume Ibar (che divide e separa le due metà di Mitrovica) sembra sempre più divergente. Nonostante l’integrazione nelle istituzioni del Kosovo, i serbi del sud sono ancora legati a quelle della Serbia, ancora attive anche qui, nonostante il fatto che nessuno parli apertamente di questa realtà.

In questi tredici anni moltissimi “serbi del sud” hanno cercato e continuano a cercare rifugio “al nord”, acquistando case, dando vita a imprese economiche e mandando i propri figli a scuola oltre l’Ibar. Allo stesso tempo, molti serbi del Kosovo settentrionale hanno a propria volta puntato gli occhi sulla Serbia centrale, spostandosi e progettando un futuro lontano dal Kosovo.

“Se il trend continua, si arriverà di sicuro all”integrazione pacifica’ dei serbi nel sistema Kosovo. Un’integrazione che consisterà nella soppressione dei serbi del nord voluta da tutti, da Belgrado così come da Pristina”, è la frase tipica che risuona nelle strade e nei locali di Mitrovica nord, mentre si aspettano gli ultimi sviluppi dei negoziati sulle “istituzioni parallele”, lo scambio di “ufficiali di collegamento” tra Belgrado e Pristina, e la finalizzazione dell’accordo sulla “gestione integrata” dei passaggi di confine.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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