Kosovo, testimoniare a proprio rischio e pericolo

La protezione dei testimoni in Kosovo è uno degli anelli deboli nella lotta a corruzione e crimine organizzato. Il codice di procedura penale recentemente approvato, sostiene però Andrea Lorenzo Capussela, non migliora le cose, ma rende le deposizioni ancora più rischiose per chi testimonia in tribunale. Un commento 

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Che la protezione dei testimoni in Kosovo sia un problema è cosa nota. Un rapporto del Consiglio d’Europa datato 2010 individuava il Kosovo come la situazione più critica dell’area a questo riguardo. La questione è ampiamente discussa in ogni “progress report” della Commissione europea.

Inoltre, le prime trenta pagine della sentenza con la quale, nel 2008, il Tribunale dell’Aja per i crimini nell’ex Jugoslavia (ICTY) ha assolto l’ex comandante dell’UCK Ramush Haradinaj, sono dedicate esclusivamente a descrivere quanto difficile fosse stato persuadere i testimoni kosovari a presentarsi all’Aja e a deporre.

La stessa corte ha condannato un ex funzionario kosovaro per aver tentato di persuadere un testimone protetto a non deporre contro Haradinaj. E nell’ultimo processo, che ha assolto Haradinaj in via definitiva, altri testi hanno rifiutato di parlare, o hanno modificato le proprie deposizioni. Lo stesso è accaduto in un altro processo all’Aja, quello contro Fatmir Limaj, altro eroe dell’UCK. Alcuni testimoni di entrambi i processi sono morti prematuramente.

E’ altrettanto noto che la criminalità in Kosovo è un fenomeno radicato: non tanto quella di piccolo cabotaggio, quanto la corruzione e il crimine organizzato. La relazione di causa-effetto tra i programmi di protezione dei testimoni e la criminalità è evidente: senza testimoni non ci sono condanne, e senza condanne non esiste deterrenza. Quindi se la protezione garantita ai testimoni cresce, l’impunità e l’incidenza criminale calano, visto che chi viene condannato finisce dietro le sbarre e chi si appresta a delinquere ha un serio motivo per riflettere a fondo prima di infrangere la legge, ad esempio estorcendo tangenti. Ci si potrebbe quindi aspettare dalle autorità di Pristina l’approvazione di misure che proteggano meglio i testimoni, rendendo le deposizioni (e l’uso di queste da parte dei procuratori) più agevoli.

Nuovo codice, norme che non vanno

Governo e parlamento kosovari hanno fatto esattamente il contrario. Il nuovo codice di procedura penale, approvato alcune settimane or sono, contiene infatti disposizioni che stabiliscono che: (a) se un testimone che ha fornito una deposizione alla polizia o alla procura cambia versione durante il processo, la procura non può opporsi facendo riferimento alle dichiarazioni precedentemente raccolte, ma può soltanto chiedere al teste se ricorda correttamente i fatti; (b) se il testimone muore prima di aver deposto in aula, le dichiarazioni rese dal teste durante le indagini non possono generalmente essere utilizzate come prova e, nei ristretti limiti in cui sono utilizzabili, hanno valore estremamente limitato.

Le vecchie disposizioni erano diverse, più in linea con le norme accettate dalla maggior parte dei sistemi giudiziari. Un procuratore poteva contestare un testimone che cambiava versione, citando le dichiarazioni precedentemente rese, ed eventualmente paventare il rischio di incriminazione per falsa testimonianza. Se poi un teste moriva prima del processo, le sue dichiarazioni potevano essere utilizzate come prove.

Oggettivamente, la norma (a) rappresenta un incentivo a intimidire i testi: se so che una signora che mi ha visto rubare una mela ha parlato alla polizia, e la minaccio per dissuaderla dal testimoniare in tribunale, la summenzionata signora ha due possibilità: confermare le accuse, e rischiare la mia vendetta, o ritrattarle, e non rischiare nulla. La norma (b), a sua volta, costituisce un incentivo ad uccidere i testimoni: se la signora dell’esempio precedente non si lascia intimidire, e io la uccido prima del processo, la testimonianza resa sul mio furto di mela perde ogni valore.

In entrambi i casi, l’effetto sui testimoni è evidente: se parlano, sanno che sono esposti a intimidazioni, e se non si lasciano intimidire, la decisione di ucciderli potrebbe essere una scelta razionale per il criminale contro cui hanno deciso di deporre. Con queste disposizioni di legge, i testimoni sono destinati a diventare una specie rara.

Non è una svista innocente

La linea di politica legislativa che emerge da questi provvedimenti è quella di scoraggiare i testimoni dal presentarsi nelle aule di tribunale, allo scopo di depotenziare la repressione del crimine. Non si tratta di una svista innocente. Il processo di revisione del codice è durato più di un anno: c’è da chiedersi come provvedimenti di questa natura possano esser passati attraverso commissioni di esperti, sedute del governo e sessioni parlamentari senza che nessuno, né l’ICO, né la missione Eulex, né l’opposizione parlamentare alzasse un dito.

Ma c’è di più: la bozza originale proponeva l’applicazione delle nuove norme solo a nuovi casi giudiziari, e non a quelli pendenti. In parlamento, però, è stato aggiungo un emendamento che mira a rendere il nuovo codice applicabile a tutti i procedimenti, vecchi e nuovi.

Questa scelta appare come del tutto irrazionale e senza precedenti. Per ovvie ragioni: sarebbe come cambiare le regole del gioco a partita iniziata. Per fare un esempio scacchistico, sarebbe come decidere, a gioco iniziato, che il cavallo non può più saltare gli altri pezzi. Magari proprio dopo che avete sacrificato una torre per un cavallo, proprio per questa sua caratteristica peculiare. Procuratori ed avvocati, come gli scacchisti, hanno strategie sulla conduzione dei processi, che dipendono dalle regole del gioco: se queste cambiano, una mossa che era vincente può diventare perdente.

Salvate il soldato Limaj

E allora, perché il parlamento di Pristina ha provato a cambiare le regole del gioco? Il processo per crimini di guerra contro Fatmir Limaj e i suoi compagni dell’UCK in quello che è noto come il “caso Klecka”, è basato proprio sulle dichiarazioni di un testimone ora deceduto. La storia è nota: un uomo ha deposto ai procuratori e sulla base di quelle accuse si è proceduto ad arresti. Il testimone si è però suicidato prima di poter ribadire le accuse in aula (secondo la stampa, a spingerlo al gesto sarebbe stato proprio l’insostenibile stress psicologico dovuto al dover accusare uomini potenti). In prima istanza, Limaj e compagni sono stati assolti, perché i giudici hanno deciso che le parole di un morto non potessero essere accolte come prova (in questo hanno di fatto anticipato l’applicazione delle nuove norme).

Ma l’assoluzione è stata appellata, e la Corte Suprema ha deciso che la testimonianza poteva essere usata, ha cassato la sentenza di primo grado e ha ordinato un nuovo processo, che è ora in corso. Limaj e i suoi coimputati sono stati quindi immediatamente riarrestati. Le dichiarazioni del testimone ora deceduto rappresentano quindi prove molto solide, visto che in base a queste gli accusati sono stati arrestati due volte, e si trovano ancora in custodia cautelare. La presunzione di innocenza rimane, naturalmente, ma dopo la decisione dell’appello una condanna appare molto probabile.

Ma se le nuove norme dovessero essere applicate anche ai casi pendenti, come desidera il parlamento, una nuova assoluzione sarebbe inevitabile, perché senza la testimonianza del suicida le accuse non reggono. La risposta alla domanda, quindi, è che il parlamento sta presumibilmente tentando di salvare Limaj da una lunga pena detentiva.

Un importante test per il Kosovo

L’emendamento in questione, a quanto pare, è scritto male, e potrebbe non passare, con la conseguenza che ai processi pendenti si applicherebbero le vecchie regole. Se così fosse, questo caso, il processo “Medicus” e altri procedimenti non subiranno distorsioni. Ma l’effetto negativo delle norme (a) e (b) su futuri processi resta rilevante. Le autorità kosovare dovrebbero modificare subito il codice, legislando a favore della repressione del crimine, e non a suo detrimento.

Considero la questione come un importante test per il Kosovo. Se l’opposizione e l’opinione pubblica, sostenuti, come vorrei sperare, dall’Unione europea e dalla comunità internazionale, convinceranno governo e parlamento a modificare queste disposizioni, significherebbe che almeno i peggiori eccessi dell’élite kosovara possono essere contenuti. In caso contrario, vorrebbe dire che il sistema politico del Kosovo continua ad essere privo di controlli e contrappesi.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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