I cani di Bihać

Ne avevamo parlato l’inverno scorso, quando il freddo sterminava i cani del canile di Gorjevac (Bihać, Bosnia Erzegovina) e qualcosa si fece. Ora con il caldo la situazione per gli animali è nuovamente drammatica. Una situazione che mette in evidenza  come in Bosnia, non solo per i cani ma per ogni battaglia sociale, manchi una continuità allo sforzo iniziale

23/07/2013, Silvia Maraone -

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Flickr -  mossimoinc

Sembrava che l’incubo nel canile di Gorjevac (Comune di Bihać), una struttura costruita nel giugno 2012 in mezzo alla discarica cittadina, senza acqua e senza elettricità, riguardasse solo l’emergenza invernale.

Senza cibo i cani si mangiavano tra loro e nonostante gli sforzi dell’associazione di volontariato SPAS per la salvaguardia degli animali, era evidentemente necessario che il Comune dovesse intervenire per garantire l’accessibilità al luogo (in mezzo alle montagne innevate, a 20 km dalla città), approvvigionare le cisterne d’acqua e fornire il cibo per i 100 cani chiusi nelle gabbie. La cronica mancanza di fondi, ma ancor di più l’assoluto disinteresse delle istituzioni e della maggioranza dei cittadini per il problema del randagismo, non ha permesso un intervento risolutivo.

All’appello mandato tramite Osservatorio Balcani Caucaso hanno risposto volontari dall’Italia che insieme all’associazione Guida Verde-Sos Animali di Firenze hanno raccolto e portato aiuti (circa 100 Kg di cibo) e l’ENPA Nazionale ha inviato 2 tonnellate di crocchette destinate al canile. Nel frattempo SPAS attivava nuove sinergie con associazioni tedesche e slovene e aprendo una collaborazione con l’ospedale di Bihać che da mesi raccoglie il cibo avanzato e lo destina a Gorjevac.

Con l’arrivo della primavera

La primavera, col suo tempo mite, ha semplificato la vita ai cani e ai volontari, tutto sembrava andare per il meglio. Un’associazione tedesca – ETN – nel mese di giugno e luglio ha organizzato una sterilizzazione di massa a cui si è aggregata una missione delle guardie zoofile ENPA con due veterinari e volontari, per eseguire alcuni interventi, ma sopratutto per monitorare la situazione e fare incontri con il Comune e la Stazione Veterinaria in un’ottica di possibili future collaborazioni.

La situazione che abbiamo trovato al canile – e prima di noi ETN e l’associazione Ajša di Lubiana – è indescrivibile.

La vegetazione sta crescendo e sta invadendo le gabbie. Non c’è acqua nelle cisterne e tanto meno nelle gabbie, che sembra non vengano pulite da settimane. I cani sono sotto il sole rovente e non ricevono cibo. Di nuovo, casi di cannibalismo e distese di corpi in putrefazione.

In questo luogo, mai come prima siamo rimasti scioccati.

Una struttura costruita con 65.000 marchi, che consiste in 100 gabbie metalliche, senza acqua, senza protezione da sole, pioggia, neve, in mezzo alle immondizie, lontano da tutto e in una zona in cui è permessa la caccia. I 100 cani nelle gabbie non escono mai, i 200 cani fuori dalle gabbie si nutrono nell’immondezzaio. Malattie, cani non sterilizzati il che significa cucciolate destinate a morire di stenti o sbranate dai loro simili, parassiti… Una situazione che va al di là dell’immaginario e che fa dire anche agli animalisti più estremisti che piuttosto di questo è meglio l’eutanasia.

Iniziative, petizioni e mail-bombing

La situazione ha dato il via a una serie di iniziative su più fronti, per smuovere l’opinione pubblica, sperando che una pressione internazionale smuova le leve delle istituzioni.

E’ nata una petizione online che in 5 giorni ha raccolto più di 1300 firme, che richiede al comune di prendersi la responsabilità o di gestire questo luogo o di chiuderlo definitivamente. Insieme alla petizione c’è un documento per fare mail-bombing agli indirizzi del comune e della Stazione Veterinaria.

La notizia più importante però è che i portali dopo due giorni di silenzio, hanno dato rilievo ai fatti e una volta cominciato il primo, tutti si stanno passando il servizio.

Alla prima notizia ne è seguita una di risposta da parte del direttore della Stazione Veterinaria di Bihac , che afferma che, con i fondi che hanno a disposizione, si reputa soddisfatto del lavoro che stanno facendo e che in ogni caso sono aperte nuove collaborazioni per il futuro, tra cui quelle con ENPA e altre organizzazioni internazionali.

Queste dichiarazioni hanno però scatenato nuove polemiche sui portali locali che lanciano accuse pesanti al direttore (soprannominato nell’articolo Mengele) e accusandolo pubblicamente di avere interessi privati nella gestione del canile (il direttore è anche proprietario di un negozio, rivenditore Eukanuba, che fornisce il canile. Di fatto, mai nessuna crocchetta è arrivata al canile, ma pare che il comune riceva regolarmente le fatture che sono di 3,5 marchi al giorno a cane. Il paradosso sta nel fatto che non essendoci un registro dei cani ed essendo i cani nelle gabbie spostati continuamente, non si conosce nemmeno il numero reale degli animali da gestire).

Il direttore inoltre ha appoggi politici pesanti (suo fratello è un “notabile del partito SDP, oggi al Parlamento a Sarajevo, che era il partito che amministrava la città di Bihać al momento dell’apertura del canile, pochi mesi prima delle elezioni dell’ottobre 2012 che avrebbe poi perso) e nonostante sia dimissionario da mesi, non è ancora stato trovato il suo sostituto.

E’ evidente, come nella maggioranza dei casi in Bosnia, che il problema dunque non è solo un problema di cani, ma è radicato in un sistema corrotto e clientelare, che da anni anziché cercare soluzioni in favore dei cittadini, non fa che sfruttare le tante zone d’ombra.

A far le spese, sono sempre i più poveri e quelli senza voce, le persone che vivono in condizioni disumane nelle campagne sperdute, gli anziani con 30 euro di pensione al mese, i bambini malati senza codice fiscale, i cani randagi.

Non si tratta certo di mettere allo stesso livello animali e persone, anche se si presuppone che in una società evoluta, i diritti garantiscano ad ogni essere vivente le stesse possibilità di condurre un’esistenza dignitosa. Si tratta di evidenziare le criticità di questo angolo d’Europa, un far west senza alcun controllo, risultato di un pasticciaccio brutto delle diplomazie internazionali, pressate dall’incapacità di gestire l’emergenza degli anni ’90.

L’infinita battaglia per i cani di Bihać continua, tra articoli di giornale e appelli accorati, cercando di dare voce a chi non ce l’ha.

Pretesti per il cambiamento

Ogni grande cambiamento nel mondo ha avuto bisogno di un pretesto, il problema più grande della Bosnia di oggi però è dare una continuità allo sforzo iniziale. Le manifestazioni che facevano sperare in una primavera bosniaca, sul caso del codice fiscale, si sono presto infiacchite, finendo nel silenzio più totale. Ci sono spesso grandi entusiasmi, ma mai nessuno che porti avanti una causa sino in fondo, una carenza di leader generalizzata che vede le nuove generazione totalmente apatiche, in grado di lamentarsi su FB e difficilmente nelle piazze. E questo sta succedendo anche a Bihać sul caso del canile: l’associazione SPAS che ha denunciato il caso è nuovamente sprofondata nell’oblio, si sono attivati italiani, sloveni, americani, ma di fatto nulla di concreto è stato portato avanti sul territorio direttamente interessato.

Sino a che non saranno i cittadini della Bosnia a spingere i loro politici e i loro protetti via dai posti che immeritatamente occupano, è certo che nulla cambierà e continueremo a scandalizzarci. Anche se forse, in fondo, la situazione non è tanto diversa nemmeno da noi

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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