Il volto di Šantić
All’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, a Mostar i nazionalisti distrussero la statua di Aleksa Šantić, poeta della convivenza. Alcune settimane fa il suo volto bronzeo è riemerso dalle acque della Neretva
“Non credo tu possa immaginare la notizia che è arrivata da Mostar.”
Che cosa potevo rispondere alla domanda di un amico bosniaco d’infanzia, che mi aveva telefonato alla fine del mese di giugno? Era stata trovata una soluzione per questa città divisa?
“Beh, caro, non faticare. E’ stato ritrovato il volto della statua di Šantić. Anzi, direi che il volto è riemerso!” Poi mi ha consigliato di sfogliare le pagine internet di alcuni quotidiani bosniaci ed erzegovesi.
Il volto della statua di Aleksa Šantić, poeta di Mostar (1868-1924), un bronzo ferito dalle schegge e forato dagli spari, è stato consegnato dall’artista Ismet Kurt all’Associazione culturale serba “Prosvjeta”.
Kurt ha delle ragioni personali per cui non vuole rivelare come sia venuto in possesso di questo importante ma scomodo ricordo degli anni novanta, il periodo in cui nel paese non c’era nulla di sacro, quando saltavano in aria non solo le moschee e le chiese ma pure i ponti, le biblioteche e i monumenti. A me basta vedere il volto di Kurt e il suo sguardo, che rivela onestà pura, per capire che non c’è nulla da rimproverare a quest’uomo e artista, che lavora il rame nella sua officina nel Potkujundžiluk, non lontano dal Ponte vecchio e dal Parco di Aleksa Šantić.
Kurt pensa che il volto ferito del poeta di Mostar rappresenti un forte messaggio a tutti i suoi concittadini, perché tutto torni come prima della guerra. Lui si porta Šantić nel cuore. Lo testimonia il fatto che, appena finita la guerra, insieme ad altri concittadini aveva cercato di ritrovare i resti del monumento del poeta, che era stato fatto esplodere e gettato nel fiume Neretva. Malgrado una precaria attrezzatura da sommozzatori, avevano cercato di ripescarlo scandagliando il fiume.
Il monumento era stato realizzato dallo scultore belgradese Nikola Koka Janković e, nel 1974, era stato collocato nel parco dedicato al ricordo dell’opera e della vita di Šantić, simbolo della convivenza pacifica nel sensibile mosaico della città di Mostar.
Da quell’anno per molti mostarini, allora giovani, il parco, situato vicino al Neretva e alla “Ćorovića kuća” (la casa dello scrittore Svetozar Ćorović, cognato del poeta, attualmente Museo dell’Erzegovina), era diventato uno dei punti di riferimento della parte antica della città. Essendo un parco, era anche diventato il luogo romantico dei primi incontri amorosi.
Dopo il ritiro dell’Armata Popolare Jugoslava e dei militari serbi dalla città, nell’estate del 1992, il monumento era saltato in aria. Sugli autori della distruzione, i “soliti ignoti” che nel poeta vedevano solo un serbo ortodosso, circolano storie diverse. Il volto bronzeo di Šantić, con un lieve e tenero sorriso, ricordava troppo i tempi diversi nei quali migliaia di suoi concittadini, credendo alla normalità della vita comune di bosgnacchi, serbi, croati ed altri, tessevano i fili della convivenza pacifica nel Novecento.
L’ultimo progetto televisivo jugoslavo di un certo rilievo era stato proprio lo sceneggiato “Aleksa Šantić”, realizzato nel 1991 dalla TV di Belgrado e mandato in onda alla vigilia della guerra in Bosnia. Quella serie televisiva potrebbe essere interpretata come un’espressione metaforica di impotenza della cultura di fronte alla storia. Tuttavia, lo sceneggiato è molto guardato anche oggi. Lo sceneggiato era di Đorđe Lebović e Josip Lešić, tratto dal romanzo biografico di Lešić “Aleksa Šantić, il romanzo della vita del poeta”. Il regista era Aleksandar Jevđević e la sceneggiatura di Abdulah Sidran, Tarik Haverić e Bojana Andrić.
Per un paradosso della storia, durante gli scontri fra croati e bosgnacchi negli anni novanta, la via Šantić faceva parte della famosa linea di divisione fra le due parti di Mostar. Proprio la via dedicata a colui che nelle sue poesie esprimeva la sofferenza per i muri etnici, religiosi, culturali e chiamava gli altri fratelli.
Nel 2004, al posto della prima statua di Šantić ne venne posta una seconda, sempre opera dello scultore Janković. Dove verrà quindi collocato il volto riemerso nelle settimane scorse dalle acque della Neretva?
Sia le autorità che i cittadini di buona volontà sono d’accordo che quell’immagine bronzea, testimone del bene e del male umano, trovi il suo posto nella stanza di Šantić, il luogo dove il poeta trascorse gli ultimi anni della sua vita, all’interno della “Ćorovića kuća”.
Vicino al parco e alla “Ćorovića kuća”, dal 2010 si trova anche il monumento “Emina”, opera dello scultore Zlatko Dizdarević Buco, cittadino di Velika Kladuša, nel nord-ovest della Bosnia. Il monumento trae ispirazione dalla celebre poesia che Aleksa Šantić dedicò ad una ragazza musulmana, una sua vicina. La poesia divenne negli anni il testo di una ancora più celebre sevdalinka, canzone popolare bosniaca, e più in generale della convivenza pacifica e della avversione al nazionalismo. Secondo Zlatko Dizdarević Buco, l’artista che ha donato l’opera a Mostar con l’aiuto dell’amministrazione della città, la statua esprime l’idea della bellezza universale.
Le mani di questi due artisti, Janković e Dizdarević, hanno oggi creato un micromondo di ricordi, come se il loro lavoro fosse l’eco dei versi aggiunti alla poesia “Emina” dalla voce popolare:
E’ morto il vecchio poeta
è morta Emina
è rimasto deserto il giardino dei gelsomini.
Si è spezzata la brocca
i fiori sono sbiaditi
ma la canzone su Emina
mai morirà
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