Skopje 1963, quando la città trattenne il respiro
Il 26 luglio Skopje ha commemorato il 50simo anniversario del devastante terremoto che, nel lontano 1963, rase al suolo buona parte della capitale della Macedonia, uccidendo più di mille persone e lasciandone 200mila senza un tetto. Una tragedia che attivò una corsa alla solidarietà sia nell’ex federazione jugoslava, che a livello globale
Una delle prime cose che colpiscono chi visita Skopje è l’edificio della vecchia stazione ferroviaria, sul lato opposto della strada principale che scende dal ponte di pietra. L’edificio è distrutto per metà. È stato lasciato così appositamente, perché il ricordo resti vivo. La parte funzionale rimanente è ora un museo. Il grande orologio sopra l’ingresso principale segna ancora le 5 e 17: le lancette sono ferme da 50 anni, dal 1963. Dal momento che la gente di Skopje non dimenticherà mai. Dall’ora in cui, per un momento, la città trattenne il respiro.
Il sisma
Il 26 luglio Skopje ha commemorato il 50° anniversario del terremoto, l’evento più drammatico della sua storia recente. In quel giorno del 1963, in una manciata di secondi, il sisma ha distrutto 16mila case, danneggiandone altre 30mila. 1.070 persone, di cui 120 bambini, hanno perso la vita, e altre 3.300 sono state ferite, centinaia delle quali con disabilità permanenti. Circa 200mila persone hanno perso la casa. È stata una vera strage.
La gente ricorda che la terra continuò a tremare per ore dopo la scossa principale. Di lì alla fine dell’anno, ci furono centinaia di piccole scosse. Nel 1970, quando il vostro corrispondente era un ragazzino che cresceva nel sud del paese, il panico da terremoto era ancora ancora forte a livello nazionale, in conseguenza del disastro che aveva colpito Skopje. Alla minima scossa, evento non infrequente dato che i Balcani sono zona sismica, la gente si precipitava fuori dalle case e passava la notte all’aperto. A malincuore, passo dopo passo, ascoltando la terra, rientrava in casa il giorno successivo.
Secondo i sismologi, il terremoto di Skopje non fu troppo forte (6,9 gradi sulla scala Richter), ma l’epicentro era vicino alla superficie e questo causò il disastro. Un fattore importante furono gli edifici vecchi e mal costruiti. Secondo gli esperti, se lo stesso sisma colpisse oggi, non succederebbe niente di simile. Da allora, i costruttori sono ossessionati dalle tecniche antisismiche. Nel 1963 però, la scossa fu abbastanza forte da demolire completamente le parti della città più vicine all’epicentro. La città allora aveva tre sismografi, tutti distrutti dalla potenza della scossa. I dati sulla forza effettiva del sisma arrivarono dai centri in altre città.
Gli aiuti
A ricordo di quel tempo ormai lontano, i soldati dell’esercito ex-jugoslavo sono stati lungamente benvoluti a Skopje. Nei fine settimana lasciavano le grandi caserme per inondare il centro nelle loro uniformi verdi. La gente li salutava, qualche ragazza regalava loro un sorriso occasionale mentre mangiavano l’ultimo gelato (la maggior parte erano ragazzi sui 19 anni) prima di tornare in caserma al crepuscolo. Buona parte di quei sorrisi erano dovuti al fatto che furono proprio i militari i primi ad arrivare, in quel mattino di luglio, per scavare alla ricerca di sopravvissuti. Nelle ore successive arrivarono i minatori dalla Macedonia e dal Kosovo, poi le squadre umanitarie da tutto il paese. Sorsero centri medici d’emergenza all’aperto e cucine pubbliche. I feriti più gravi vennero trasferiti in aereo in altre città.
Nei giorni successivi arrivarono gli aiuti da tutto il mondo. La Jugoslavia non allineata era proprio sulla cortina di ferro, e sia l’Est che l’Ovest erano desiderosi di portare aiuto. Secondo alcune fonti, quello fu all’epoca l’unico luogo dove squadre sovietiche e americane lavorarono per la stessa causa. I paesi gareggiavano nell’invio di soccorsi e nella ricostruzione. Nei mesi che seguirono, Skopje fu definita “città della solidarietà internazionale”. Un termine che a volte si sente anche oggi.
Il drammatico evento ha cambiato la vita di molte persone a Skopje, ma non solo. Lawrence Eagerburger, allora ufficiale presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Belgrado e in seguito Segretario di Stato degli Stati Uniti, fu in prima linea nei soccorsi e per la ricostruzione della città. Il suo fervente coinvolgimento gli guadagnò il soprannome di Lawrence di Macedonia.
Nei mesi successivi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite si riunì a Skopje e contribuì a spingere la ricostruzione internazionale. Il 14 ottobre 1963, votò all’unanimità una risoluzione per fornire assistenza al governo jugoslavo per la ricostruzione di Skopje. Secondo alcune stime, i danni materiali provocati dal sisma furono pari al 15% del PIL jugoslavo al momento.
La ricostruzione
Il terremoto fu la fine della vecchia Skopje. La Skopje pre-terremoto si può ora vedere solo nelle foto ingiallite di quel periodo, appese alle pareti delle kafana (ristoranti). Molti dei monumenti della città sono stati distrutti.
Dalle macerie emerse il nome di Kenzo Tange, architetto giapponese a cui si attribuisce il piano urbanistico post-terremoto di Skopje. Non pochi edifici del periodo, stilisticamente simili, sono comunemente, e spesso erroneamente, definiti "edifici Kanzo Tange". Ma anche gli sforzi di altri hanno lasciato un segno. Un bel po’ di grigi prefabbricati a cinque piani, sparpagliati per tutta la città e noti come i "palazzi russi", testimoniano il contributo di Mosca alla ricostruzione.
I palazzi russi non sono eleganti, ma alcuni sono almeno circondati da vaste aree di verde, con grandi parchi alberati dove i bambini possono giocare (Karposh 4, ad esempio). Per fortuna, i progettisti della Skopje post-terremoto avevano in mente qualcosa di diverso dai pianificatori dell’epidemia di cemento degli ultimi dieci anni, che per amore del profitto sarebbero in grado di sradicare fino all’ultimo filo d’erba e fare strade senza marciapiedi.
Il grande anniversario è stato segnato da una serie di eventi, conclusasi con un concerto di gala e uno spettacolo intitolato "Skopje ricorda", presso la piazza principale. Al termine, 1070 lanterne sono volate in cielo, una per ciascuna delle vittime del terremoto.
Il 27 luglio, il quotidiano Nova Makedonija ha ristampato 4 pagine della sua edizione di quello stesso giorno di 50 anni fa, stampata a Pristina perché la sede del giornale era inagibile.
Una delle più belle canzoni che parlano di Skopje, dal titolo Skopje You Will be Joy, è stata ispirata dal terremoto. Scritta per i bambini, ma cantato anche dagli adulti, comincia con le parole “gradot ubav pak ke nikne [la bellissima città risorgerà]".
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