Mir Sada, vent’anni fa
Arrivare a Sarajevo, per contribuire alla pace in Bosnia Erzegovina e ribadire l’importanza di interventi di diplomazia popolare e di interposizione nonviolenta. E’ l’obiettivo di oltre duemila pacifisti, italiani e stranieri, che nell’agosto del 1993 partecipano all’iniziativa "Mir Sada – Pace ora". La ricostruzione di Nicole Corritore, che a quell’iniziativa partecipò
“La marcia per la pace affronta, con tutti i suoi limiti, la violenza della guerra in ogni luogo, nella polvere dei Balcani quanto nelle stanze paludate dei governi e delle diplomazie internazionali. Perché la storia dell’umanità è fatta pur sempre dagli uomini, comunque e dovunque agiscano." Dal documentario “Mir Sada – Pace ora” (45′, regia di Massimo M. Rossi – Enrico Venditti, prodotto dai Beati Costruttori di Pace, 1993)
Dal 2 al 14 agosto di vent’anni fa veniva realizzata l’iniziativa "Mir Sada (Pace ora). Si vive una sola pace" che si poneva l’obiettivo di arrivare a Sarajevo, partendo da Spalato, con migliaia di pacifisti italiani e stranieri. Mir Sada viene organizzata sulle orme della marcia nonviolenta che nel 1992 riuscì a far arrivare 500 attivisti italiani fino alla capitale bosniaca, sotto assedio da otto mesi.
Preparazione
I principi di fondo di Mir Sada, definiti in un documento durante il convegno "Si vive una sola pace", tenutosi a Padova il 26 giugno 1993, ricalcano quelli della marcia dei 500: contribuire concretamente al raggiungimento della pace e della giustizia in Bosnia Erzegovina e ribadire l’importanza di interventi di diplomazia popolare e di interposizione nonviolenta in luoghi di conflitto. Inoltre, nel manifesto i numerosi aderenti italiani e di molti altri paesi – che già si stanno organizzando da mesi – fanno precise richieste alla comunità internazionale e alle parti in conflitto: immediata e definitiva cessazione delle ostilità; disarmo di tutte le fazioni, sotto il controllo internazionale; immediata applicazione di tutte le risoluzioni di pace Onu rimaste inapplicate.
Promossa dai “Beati Costruttori di Pace” con sede a Padova e dall’associazione umanitaria francese “Equilibre” – che assume il coordinamento logistico e dell’assistenza medica – l’iniziativa ottiene in pochi mesi l’adesione di pacifisti europei ed extraeuropei, sebbene non nel numero di 100.000 com’era nelle aspettative degli organizzatori. I gruppi stranieri più rappresentati, dopo quello italiano, sono quello francese – con oltre duecento partecipanti – e lo spagnolo coordinato dall’associazione "Caravana por la Paz a Sarajevo". Ma aderiscono anche tedeschi – sotto la guida del “Gesellschaft Kultur des Friedens”, inglesi, austriaci, svedesi, olandesi, norvegesi, sloveni, polacchi, cechi, slovacchi, greci, statunitensi, canadesi, uruguaiani, messicani e giapponesi.
Sono più di duemila persone, di cui l’80% italiani in rappresentanza di realtà della società civile come Acli, Associazione per la pace, Arci, Gruppo Abele, Pax Christi e molte altre. Accanto ad esse, aderiscono anche amministratori pubblici, giornalisti, deputati e senatori. Tra questi ultimi, Chicco Crippa dei Verdi, Giovanni Russo Spena di Rifondazione Comunista, Dorigo Guidi del PDS, Giovanni Bersani (DC) e Alfredo Galasso (La Rete).
Nei mesi precedenti la partenza gli italiani, organizzati in “gruppi di affinità” coordinati su scala regionale e nazionale, partecipano alla formazione gestita dal “Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli” dell’Università di Padova. Un percorso che, oltre a prepararli ai modelli della DPN (Difesa Popolare Nonviolenta), rendesse possibile la condivisione orizzontale di principi e obiettivi ma anche di aspetti organizzativi dell’iniziativa.
Alcune settimane prima della partenza una delegazione del corpo organizzativo pone la base a Spalato, per proseguire il lavoro di comunicazione con le parti in conflitto e ottenere l’autorizzazione del passaggio di Mir Sada sul territorio bosniaco.
Verso Sarajevo
In un grande hangar nei pressi del porto di Ancona, con temperature africane, si riuniscono domenica 1° agosto i primi 1200 pacifisti che alla sera si imbarcano sul traghetto Ivan Zajc per Spalato, in Croazia. All’arrivo, la mattina del 2 agosto, devono affrontare le prime difficoltà: le autorità croate rifiutano i dodici pullman precedentemente promessi che dovevano sopperire ai mezzi di trasporto mancanti. Seicento partecipanti restano a piedi e saranno obbligati a rimanere a Spalato.
Inoltre dai contatti locali militari e istituzionali, oltre che dai caschi blu dell’Unprofor, con i quali si contratta il passaggio sul territorio bosniaco, cominciano ad arrivare diversi inviti a non procedere. Alla conferenza di pace di Ginevra i negoziati tra le parti croata, serba e musulmana invitate a discutere il piano di pace Owen-Stoltenberg – che propone la divisione della Bosnia Erzegovina in una confederazione di tre “mini repubbliche” – procedono a stento. Dopo diversi cessate il fuoco, il conflitto si è intensificato su tutto il territorio e la Nato dichiara di essere pronta a bombardare le forze serbe che assediano Sarajevo, se queste non dovessero ritirarsi.
Per i pacifisti sono giorni di attesa, di riunioni e assemblee per condividere l’andamento degli eventi in Bosnia Erzegovina e discutere se proseguire. Nei pomeriggi e alla sera organizzano fiaccolate e incontri in città con la popolazione spalatina. La mattina del 4 agosto, infine, poco più di 800 partono in direzione di Sarajevo – attraverso Duvno/Tomislavgrad – per arrivare alle prime ore del 5 agosto sul lago di Ramsko vicino alla cittadina di Prozor, a 120 Km dalla capitale bosniaca. Qui si accampano dopo che un mezzo dei pacifisti viene sequestrato da paramilitari croato-bosniaci.
Nel frattempo altrettanti pacifisti rimasti fermi a Spalato, assieme ad altri 500 appena arrivati con un secondo traghetto, organizzano incontri tra gruppi, discussioni sul senso dell’iniziativa e momenti di condivisione delle notizie in arrivo dai luoghi di conflitto. All’accampamento di Ramsko, invece, si attende il ritorno di una delegazione partita per Sarajevo per ottenere una temporanea tregua fra i contendenti e garanzie sulla sicurezza del percorso.
Nel pomeriggio, mentre dall’altra sponda del lago partono i colpi di artiglieria dell’HVO (esercito croato-bosniaco) sulla cittadina di Gornji Vakuf – abitata in prevalenza da musulmani – e continua l’atterraggio di elicotteri con feriti croato-bosniaci, la delegazione torna con notizie negative. Come emerge dal documentario realizzato dai Beati Costruttori di Pace, il responsabile della missione di Equilibre, Pierre Laurent, riferisce: “I rappresentati militari incontrati hanno dato l’ordine di andarcene subito e che se fosse stato possibile negoziare tra croati e musulmani, avrebbero già raggiunto la pace”.
L’intensificarsi degli scontri tra croati e musulmani, la notizia di prossimi bombardamenti internazionali e le minacce arrivate da parte serbo-bosniaca spingono Equilibre a tornare indietro. E’ Alain Michelle, presidente dell’associazione francese, ad annunciarlo il 6 agosto all’assemblea riunita sulle sponde del lago: “Equilibre si dissocia dall’iniziativa. Per le condizioni inaccettabili e oltre i limiti della sicurezza, che prospettano – per chi prosegue – la certezza della prigionia e del martirio”. Mentre i francesi tornano a Spalato, poche ore dopo arriva al lago di Ramsko un altro gruppo di pacifisti italiani, spagnoli e tedeschi.
Il giorno successivo si tiene un collegamento radio con Umberto Playa, responsabile dell’Unità di crisi del ministero Affari Esteri, il quale ribadisce la gravità della situazione: “Vorrei invitarvi a ragionare e rinunciare a qualcosa che diventa di ora in ora più pericoloso per tutti voi. E farlo tra oggi e lunedì mattina (ndr: 9 agosto), dove nel pomeriggio la Nato deciderà probabilmente di fare un bombardamento…” Don Albino Bizzotto, presidente dei Beati, accoglie l’invito: “In questo momento le condizioni non ci permettono oggettivamente di passare senza il sacrificio sicuro di qualcuno di noi”. In assemblea la maggioranza decide per il ritiro e viene scritto un documento, poi consegnato ai caschi blu inglesi di stanza nell’area, in cui si chiede alla comunità internazionale di assumersi la responsabilità delle conseguenze della loro inazione e di avviare immediati interventi di pacificazione.
Mostar e ritorno
Un pullman di 58 persone, ciascuna assumendosi individualmente la responsabilità, decide di proseguire da Ramsko per Sarajevo. Le altre decine di pacifisti tornano al campo base di Spalato nel pomeriggio. Assieme agli altri pacifisti rimasti qui fin dal 2 agosto si decide di proseguire l’iniziativa ma verso la città di Mostar, divisa in due e la cui parte est è assediata e bombardata dai croato-bosniaci che controllano la parte ovest. Con l’intento di spingere le parti croata e musulmana al cessate il fuoco, fare una marcia per la pace e portare aiuti umanitari ai civili di entrambe le parti. Un gruppo, con Tom Benetollo e Raffaella Bolini dell’Arci e per conto del Consorzio Italiano di Solidarietà, si reca invece al campo profughi di Posušje, situato in Bosnia Erzegovina a pochi chilometri dal confine con la Croazia, con lo scopo di valutare le necessità dei civili lì accolti.
Nel pomeriggio del 9 agosto la colonna di mezzi viene bloccata nei pressi di Široki Brijeg, a pochi chilometri da Mostar. Il comando del posto di blocco dell’HVO, che controlla l’area, nega il permesso di scendere in città e intima di abbandonare subito la strada, via principale di passaggio dei loro mezzi militari. La lunga contrattazione arriva a una mediazione: viene dato il permesso solo a dieci pullman, per un totale di 500 pacifisti, all’ambulanza e al furgone con la postazione radio. Gli altri dovranno rinunciare. I cinquecento arrivano nella piazza antistante la cattedrale, nella parte ovest di Mostar, e ci restano due ore.
Davanti alla cattedrale parlano Monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea, Tom Benetollo dell’Arci e Mario Montagnani che interviene a nome della comunità dei non credenti. Il vescovo di Mostar Ratko Perić, presente nei pressi della piazza, non interviene in pubblico e risponde solo alle domande dei giornalisti. Non avviene alcun incontro con la parte musulmana e non viene dato il permesso di arrivare fino al fiume Neretva e passare nella parte est della città. Il cessate il fuoco prospettato non viene rispettato. Tutt’intorno alla piazza ci sono militari croato-bosniaci mischiati a cittadini locali, mentre a poche decine di metri le postazioni croate bombardano.
Il 10 agosto una gran parte dei pacifisti rientra in Italia. L’11 arriva la notizia che i 58 sono riusciti ad arrivare a Sarajevo, eccetto alcuni che sono stati obbligati a rimanere a Kiseljak alle porte della capitale, zona sotto controllo croato-bosniaco. Quella sera, i pacifisti ancora a Spalato organizzano una manifestazione-concerto in piazza Repubblica con il coinvolgimento di cittadini, donne, anziani e bambini.
Il ritorno a casa trova i pacifisti divisi. Tra chi ritiene che l’iniziativa Mir Sada abbia avuto risvolti positivi e chi ritiene che si sarebbe potuto fare molto meglio. Dal punto di vista organizzativo, ad esempio per il percorso decisionale degli organizzatori non sempre condiviso, ma anche dal punto di vista del senso politico dell’iniziativa. Un dato è certo: Mir Sada ha contribuito alla nascita di reti, in Italia, che produrranno un massiccio movimento di solidarietà con l’ex-Jugoslavia.
Un movimento multiforme, di cui ancora oggi non si conosce esattamente la portata. Secondo alcune stime si parla di più di ventimila volontari, tra singoli, gruppi, associazioni, enti pubblici e privati che durante e dopo le guerre dei Balcani hanno continuato ad aiutare e a cooperare con le popolazioni della ex-Jugoslavia. Trasformando così, per usare le parole di Alexander Langer, la teoria pacifista e nonviolenta in “pacifismo concreto”.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.