Il “messia” di Yale per salvare l’economia serba

Alle prese con il rimpasto di governo, il potente vicepremier Vučić gioca la carta del giovane laureato di Yale Lazar Krstić per risollevare l’economia serba. A molti sembra però solo una mossa per andare alle elezioni

20/08/2013, Dragan Janjić - Belgrado

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Lazar Krstic sui social network

Lazar Krstić, 29 anni, laureato all’Università di Yale, è stato dichiarato il salvatore dell’economia e delle finanze della Serbia ancora prima di essere stato proposto come ministro. Il giorno dopo del suo colloquio con il vicepremier del governo serbo Aleksandar Vučić, sul suo profilo Facebook Krstić ha annunciato di essere il nuovo ministro delle Finanze. Ovviamente in Serbia il governo è eletto dal parlamento e su questa nomina non ha ancora tenuto alcuna seduta e non vi sono conferme se durante le consultazioni tra i partiti al governo ci si sia occupati nel dettaglio della questione.

Ma, ancora prima che avvenisse l’incontro con Vučić e delle prime dichiarazioni ufficiali di Krstić dove confermava la sua disponibilità ad accettare la poltrona di ministro delle Finanze, i media serbi per giorni hanno pompato la storia del genio della prestigiosa università che porterà in salvo le finanze serbe, non lasciando praticamente alcun dubbio sul fatto che sarà proprio Kristić ad essere nominato ministro.

Il messaggio su Facebook dimostra che anche Krstić non ha dubbi in proposito e che è convinto che la decisione dell’uomo politicamente più influente della Serbia sia più che sufficiente per dargli questa garanzia.

Si ha l’impressione che in questo momento l’appoggio dei partner di coalizione non sia così importante nemmeno per lo stesso Vučić. A quanto pare, mettere in campo il giovane esperto Krstić e lo stesso rimpasto di governo per il vicepremier sarebbero soltanto passi intermedi verso le elezioni politiche anticipate che potrebbero tenersi all’inizio dell’anno prossimo. Il suo piano è semplice: portare in Serbia il giovane esperto e se poi ai partner di coalizione la mossa non dovesse piacere dovranno andare ad elezioni anticipate, alle quali il Partito progressista serbo (SNS) di Vučić vincerebbe in modo schiacciante. 

Da questo punto di vista, mettere in campo Krstić è soprattutto una mossa politica. Se così non fosse, il governo, che ha avviato la procedura di rimpasto, probabilmente innanzitutto fisserebbe una piattaforma politica e fornirebbe, se non un piano preciso, quanto meno una cornice chiara per avviare le riforme dell’economia e del sistema finanziario e solo allora cercherebbe i ministri in grado di concretizzarle.

Invece, all’opinione pubblica è stata offerta l’idea di una sorta di giovane Messia dal quale ci si aspetta la salvezza, quando ancora non è chiaro se tra gli stessi partner di coalizione vi sia una volontà politica sufficientemente forte per portare avanti le radicali riforme economiche necessarie.

Nei preparativi per il rimpasto di governo il premier Ivica Dačić, leader del Partito socialista della Serbia (SPS), praticamente non si è fatto sentire, anche se sarebbe logico che fosse lui a guidare l’intera operazione visto che ha l’intenzione di mantenere la poltrona di premier. Ma evidentemente l’SNS lo ha posto davanti alla scelta “prendere o lasciare”. Se prende, rimane il premier del governo in cui il ruolo dominante sarà di Vučić, mentre Krstić o qualche altro esperto messo dall’SNS avrà un’importanza di gran lunga maggiore dello stesso premier.  “Questo non è il governo di Ivica Dačić, questo è il governo della Serbia”, ha dichiarato alla fine della settimana scorsa l’alta funzionaria del SNS e ministro del settore Energetico Zorana Mihajlović.  

Le riforme difficili

Qualsiasi scelta facciano i partner di coalizione, Vučić mantiene l’aureola del politico che sta cambiando la Serbia e dallo scontro, almeno per ora, esce vincitore. Vučić dice di star già preparando  un “piano Marshall” per la ripresa della Serbia e che il sostegno per realizzarlo va cercato tra esperti come Krstić. Se, dunque, i partner rifiutano il rimpasto di governo, il leader dell’SNS potrà avviare una campagna dove rappresenterà se stesso come il riformatore, e i partner di coalizione come quella forza che frena i necessari cambiamenti e lo sviluppo della Serbia. Se i partner invece dovessero accettare, è inevitabile che ancora più di prima dovranno agire secondo i dettami di Vučić e del suo SNS.

La posizione di Vučić non uscirà danneggiata nemmeno se si svolgesse tutto come dice lui e il rimpasto di governo dovesse filare via liscio, e poi dopo qualche mese ci si rendesse conto che un governo del genere non è in grado di risolvere i problemi della Serbia.

Vučić può sempre dire che non funziona perché l’SNS e gli esperti che ha portato devono affrontare un certo ostruzionismo e che i partner di coalizione non sono pronti per i tagli dolorosi necessari. Su questa base può chiedere il sostegno degli elettori, provocare la caduta del governo e andare ad elezioni anticipate. L’SNS anche in tale caso ha concrete possibilità di vincere in modo convincente. Quindi si potrebbe dire che le mosse che sta facendo Vučić, almeno per quel che lo riguarda, non sono connotate da un eccessivo rischio politico.  

È reale aspettarsi che Vučić nelle prossime settimane comunque riesca a dar vita al nuovo governo, ma è difficile aspettarsi che il nuovo gabinetto riesca seriamente a migliorare la situazione del paese in tempi brevi, data l’atmosfera politica che regna in Serbia.

In realtà, le possibilità che il giovane laureato di Yale riesca sono minime, perché le cause principali della crisi economica sono intrinseche all’establishment politico e ad altri centri di potere che difficilmente accetteranno di rinunciare volontariamente  all’enorme influenza che hanno sul sistema economico e finanziario della Serbia.

Questo significa che Krstić e gli altri esperti che eventualmente siederanno nel nuovo governo prima di tutto dovranno far fronte ad ostacoli politici. Probabilmente si aspettano che questi problemi li risolva Vučić, ma bisogna rammentare che nessuna forza politica in Serbia, dalla caduta del regime di Milošević fin’ora, è mai riuscita seriamente in questo compito. Vučić forse sembra più risoluto dei suoi predecessori, ma non ci sono garanzie per il successo, in particolare se si tiene presente che per lui e il suo partito hanno votato anche elettori che con tagli e riforme perderebbero posti di lavoro e privilegi vari.

Il piano di Kristić

Krstić non ha ancora esposto le sue intenzioni, ma secondo quanto riportano i media il suo piano comprenderebbe cinque punti principali. Il primo è la preparazione della finanziaria per il prossimo anno e la cornice per i bilanci del 2015 e 2016. Il secondo è il taglio di tutte le spese dello stato non necessarie, il terzo è l’abrogazione degli incentivi per gli investitori e le sovvenzioni ai debitori con un aumento invece dei contributi all’agricoltura. Il quarto passo sarebbe rappresentato dai preparativi per gli investimenti da fare insieme con i partner stranieri, tra cui le telecomunicazioni e il sistema bancario. Il quinto passo è il miglioramento dell’ambiente imprenditoriale e delle relazioni con il Fondo monetario internazionale (FMI).

Almeno due dei cinque passi suddetti suscitano un certo sospetto fra i partner dell’SPS di Dačić, e probabilmente anche fra molti funzionari dello stesso SNS. Si tratta del taglio delle spese e dell’abrogazione delle sovvenzioni per i debitori, cioè le grosse aziende pubbliche guidate principalmente dai quadri dei partiti, dove sono impiegate decine di migliaia di persone. Particolarmente delicata è poi la questione delle pensioni, vista la forte opposizione alla riduzione del bilancio per questi scopi da parte del Movimento dei pensionati uniti della Serbia (PUPS), presentatisi alle elezioni insieme all’SPS.

Gli esperti economici stimano che negli scorsi quattro anni dal budget serbo sono stati spesi addirittura 10 miliardi di euro per coprire le perdite delle aziende pubbliche. Per fare un raffronto, le entrate pianificate per quest’anno sono 7,7 miliardi di euro e le spese 9,3. In ogni caso una grossa fetta del budget viene spesa per lo più per gli stipendi degli impiegati del settore pubblico. Con questi interventi si mantiene la pace sociale, ma crolla il sistema economico. Se si sospendono le sovvenzioni, decine di migliaia di persone rimarranno senza lavoro, il che potrebbe trasformarli in potenziali elettori dell’opposizione.

Il PIL della Serbia è poco più di 30 miliardi di euro annui. Il debito esterno ha superato i 21 miliardi e il FMI chiede che venga abbassato sotto il 50 per cento del PIL. Ovviamente, non è possibile raggiungere questo abbassamento senza i tagli alla spesa pubblica, e con ciò anche delle pensioni, degli stipendi delle pachidermiche amministrazioni, dei benefici sociali, della sanità, dell’istruzione… La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che, secondo le stime degli esperti, un terzo del PIL è nella così detta zona grigia, il che vuol dire che non è tassato adeguatamente.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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