Regioni in Romania: opportunità o scatole vuote?
E’ la più grande riforma degli ultimi anni. E implica il raggruppamento dei 41 dipartimenti attuali in otto grandi regioni. Per il governo è la strada maestra verso i fondi europei, ma non tutti sono d’accordo
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 18 agosto del 2013)
La Romania è l’ultimo paese dell’Europa dell’est a creare delle regioni e a mettere in pratica un processo di decentramento. Questi due gravi compiti pesano da qualche mese sulle spalle di Liviu Dragnea, vice primo-ministro e ministro per lo Sviluppo regionale e l’amministrazione pubblica.
La questione però non è recente. Nel 1998 era già stata avviata una sorta di regionalizzazione. Il paese era stato suddiviso in “otto regioni di sviluppo” per diminuire le disparità economiche esistenti tra i 41 dipartimenti rumeni.
Ciononostante, 15 anni dopo, alcuni considerano che con questa politica si sia fallito. Secondo Dumitru Sandu, sociologo e coordinatore del Consiglio consultivo per la regionalizzazione (CONREG) – gruppo di esperti sul tema del decentramento – “il modello del 1998 ha fallito perché queste regioni non hanno mai avuto un effettivo statuto amministrativo e, d’altro canto, perché i dipartimenti non hanno mai collaborato a sufficienza tra loro. E’ per questo che ora si ha bisogno di una struttura istituzionale che faciliti gli scambi tra i dipartimenti”.
La creazione di vere e proprie entità amministrative regionali, permetterebbe, secondo il sociologo, di colmare i ritardi della Romania in termini di sviluppo.
Migliorare l’assorbimento dei fondi europei
Per Sandu inoltre la riforma permetterebbe di migliorare l’assorbimento dei fondi europei. Su questo la Romania è attardata: il suo tasso d’assorbimento di fondi strutturali non supera il 21%. Secondo il sociologo “il problema è in particolare legato alla modalità in cui è organizzata l’amministrazione pubblica. L’idea è quindi di modernizzarla affinché i fondi vengano meglio assorbiti”.
“Collegare le regioni rumene direttamente a Bruxelles”, questa è l’intenzione recentemente formulata dal ministro Liviu Dragnea, o, per dirla in altro modo, far sì che i fondi europei vengano gestiti direttamente dalle regioni, secondo i loro bisogni, senza l’intervento diretto di Bucarest.
Per il sociologo Dimitru Sandu la riforma è urgente: “Non si può più attendere, più si postpone la modernizzazione dell’amministrazione pubblica più i problemi rischiano d’aggravarsi. Inoltre, se la Romania vuole accedere alla nuova strategia dei fondi europei 2014-2020 è ora che occorre riformare il tutto”.
Affrontare i problemi con dei buoni strumenti
Alcuni però dubitano che il decentramento sia la risposta a tutti i mali della Romania. Un think-tank rumeno, la Società accademica rumena, si interroga così in un recente documento dedicato al tema: “La regionalizzazione può risolvere tutti questi problemi? Esistono altre misure che permetterebbero un miglior assorbimento dei fondi europei?”.
Queste domande sono ricorrenti all’interno della società civile e condivise anche da Sorin Ioniţa, specialista di questioni europee e membro dell’Ong Expert Forum.
“L’ipotesi che lega la decentralizzazione all’assorbimento dei fondi europei non sempre regge. E’ certo vero che la Polonia, che ha effettuato un decentramento dieci anni fa, ha ora un tasso d’assorbimento dei fondi molto più alto del nostro. Ma l’Ungheria, che non ha mai creato le regioni, ha anch’essa un tasso d’assorbimento molto buono. Non vi sono a mio avviso correlazioni tra questi due fenomeni”. Per l’esperto “occorre piuttosto affrontare e combattere i problemi con strumenti adatti”.
Un dibattito superficiale
Sorin Ioniţa va oltre nella sua critica e punta il dito su due aspetti a suo avviso dimenticati da parte delle autorità rumene.
“Mancano due elementi importanti in questo dibattito” spiega “la lista delle competenze delle future regioni e la loro dotazione finanziaria. E’ inutile definire il numero delle regioni, il loro nomi, i capoluoghi se non se ne conoscono prima le competenze. Ma di questo nessuno parla perché sono questioni troppo astratte! Sui media si preferisce infiammare il pubblico sulla scelta del capoluogo, litigare sui nomi delle singole regioni o dibattere dei futuri confini territoriali poiché tutto questo è molto visivo e immediato”.
Il ministero per lo Sviluppo regionale ha preferito non rispondere alle domande che avevamo posto. Non ci resta che il dibattito che ogni settimana si sviluppa sui media: la questione principale che pongono è sempre la stessa. La minoranza ungherese ha diritto ad una regione indipendente? I rumeni dovranno tenersi pronti: ad ottobre su tutto questo si terrà un referendum.