L’autunno caldo del Kosovo

Dopo lo shock dell’omicidio ancora irrisolto del poliziotto EULEX, Audrius Senavicius, il Kosovo si prepara alle elezioni amministrative del prossimo 3 novembre, principale test di tenuta degli accordi sulla normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado. Cosa faranno i serbi del nord?

21/10/2013, Tatjana Lazarević - Mitrovica

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Mitrovica © Livio Senigalliesi

Il 19 settembre, nelle prime ore del giorno, una guardia di confine della missione EULEX, il lituano Audrius Senavicius, è stato ucciso mentre andava al lavoro in un agguato a colpi di arma da fuoco in uno dei luoghi più famigerati del Kosovo del nord: Balaban, sulla strada tra Mitrovica e Raška. Si tratta del secondo omicidio con agguato di un poliziotto di un corpo internazionale che avviene nel Kosovo settentrionale.

Esattamente dieci anni fa, un agente dell’UNMIK, l’indiano Menos Satisj, venne ucciso mentre si trovava sulla stessa strada – il collegamento Mitrovica-Raška – in un veicolo chiaramente identificabile come appartenente alla polizia delle Nazioni Unite, mentre attraversava il villaggio albanese di Cerenjski Potok, nelle immediate vicinanze del luogo in cui è stata uccisa la guardia di confine dell’EULEX.

Inoltre, due appartenenti del cosiddetto Esercito di liberazione Albanese (UCK) sono morti nel 2000 nello stesso luogo, mentre cercavano di piazzare dell’esplosivo. Nelle vicinanze, accanto al villaggio serbo di Banjksa, sulle pendici del monte Bajgora, si trovano anche tre villaggi albanesi. Già da prima della guerra qui c’era un posto di polizia permanente, perché uno dei centri di addestramento degli appartenenti all’allora Esercito di liberazione del Kosovo si trovava proprio su questa montagna.

Condanna unanime dell’omicidio del poliziotto EULEX

Tuttavia, la notizia dell’assassinio del poliziotto è stata come un fulmine a ciel sereno per i serbi nel nord del Kosovo. Anche gli attivisti dei gruppi di destra più estremi hanno condannato l’omicidio in modo deciso, sottolineando che l’atto “non è affatto tipico della lotta per la resistenza dei serbi del nord”, e il momento in cui è avvenuto è molto pericoloso per "compiere azioni di quel tipo contro funzionari della comunità internazionale”.

Poco dopo la notizia, sono seguite dichiarazioni istintive e quasi intimidatorie di quelli che al momento sono gli uomini chiave della Serbia: Ivica Dačić e Aleksandar Vučić. Questi hanno indirettamente dato la colpa ai serbi, un nuovo shock non solo per i serbi del nord del Kosovo, ma anche per molti rappresentanti della comunità internazionale.

Contemporaneamente, tutte le più alte cariche internazionali presenti in Kosovo hanno rilasciato dichiarazioni estremamente prudenti e misurate sui possibili colpevoli. Il loro commento più acceso è stato “si rivolterà ogni singola pietra per trovare il colpevole e punirlo secondo giustizia”. I rappresentanti della comunità internazionale, dopo numerosi altri crimini, hanno pronunciato parole identiche a proposito dell’assassinio dei 14 contadini del villaggio di Staro Gacko nel giugno del 1999, ma i colpevoli non sono ancora stati consegnati alla giustizia.  

Una delle poche questioni su cui concordano i serbi del nord del Kosovo, al momento molto divisi, è che essendo l’omicidio avvenuto nel Kosovo settentrionale, se si dovesse scoprire che l’esecutore o il mandante fanno parte di questa comunità, la morte di un ufficiale EULEX equivarrebbe a “essersi sparati un colpo in testa”.

“Forse qualche anno fa, quando l’allora regime di Belgrado ha acconsentito all’arrivo di EULEX contro il nostro volere, qui qualcuno avrebbe augurato anche di peggio ai loro funzionari. Ma ora è assurdo che qualcuno dei nostri possa anche solo pensare di fare del male a questi ‘ospiti’. Loro se ne andranno presto in ogni caso, e ora si attende solo di gettare la colpa sui serbi del nord. Negli ultimi tredici anni, questo non è mai stato il nostro sistema di lotta”, ha affermato in una conversazione informale uno dei principali attivisti dei movimenti di destra del nord.

Dopo il picchetto d’onore dei colleghi più vicini, all’istituto di medicina legale di Pristina, il corpo di Audrius Senavicius è stato consegnato alla madre all’aeroporto. La presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga ha espresso personalmente il suo cordoglio alla donna, e tra alcuni media è circolata la notizia non confermata che anche l’ufficiale di collegamento serbo Dejan Pavićević avrebbe partecipato al saluto.

In vista delle elezioni del 3 novembre

La morte del giovane funzionario EULEX è solo una delle questioni aperte nella bollente situazione politica del Kosovo. E’ in corso un movimentato autunno elettorale. L’importanza delle elezioni locali in Kosovo – indette per il 3 novembre – si deduce chiaramente dal numero di liste registrate e da quello dei candidati alle cariche di sindaco e consigliere comunale. 

In un territorio con poco più di 1.730.000 abitanti censiti e una popolazione mono-etnica per quasi il 90%, con un basso indice di democrazia e un alto tasso di corruzione, alle imminenti elezioni si sono candidate 103 entità politiche. Di queste, 50 sono albanesi, 31 serbe, 3 turche, 9 bosgnacche, 3 montenegrine, 1 gorana, 2 ashkali, 2 rom, 1 egiziana e 1 croata. Per la carica di sindaco scenderanno in campo 224 candidati e per quelle di consiglieri comunali 7.740.

Tuttavia, il cuore strategico della questione politica è la partecipazione dei serbi del nord. Anche se è stato evidenziato chiaramente che le elezioni del 3 novembre saranno riconosciute anche nel Kosovo settentrionale, con o senza la partecipazione della comunità serba, l’interrogativo è se e in quale misura i serbi del nord andranno a votare.  

Le previsioni sono diverse, a seconda degli interessi dei gruppi e dei singoli. Secondo le poetiche dichiarazioni dell’ex pugnace attivista del famigerato JUL [il partito Jugoslovenska Levica– Sinistra Jugoslava] e attuale ministro senza portafoglio per il Kosovo e Metohija, Aleksandar Vulin, queste elezioni vedranno “la più grande partecipazione della comunità serba dal 2000” perché “esse faranno rimanere il Kosovo e Metohija per sempre in Serbia”.

Alcuni analisti prevedono “un’affluenza inaspettatamente alta” di serbi del nord. I politici vicini a Vojislav Koštunica sono convinti che “la comunità serba del nord anche questa volta resisterà alle pressioni che arrivano da Pristina, nonostante la capitale li abbia traditi e le autorità di Belgrado esercitino una pressione paurosa perché si partecipi alle elezioni di un paese che non riconoscono”.

I partiti in corsa per le elezioni si agitano nell’arena. Le loro attività politiche in pubblico, invece, sono relativamente discrete. Molti dei candidati in lista e dei membri di partiti e liste civiche non sembrano in vena di apparizioni pubbliche. E il poco entusiasmo della gente nei confronti delle elezioni è evidente:

“Sono pronta ad ascoltare i motivi per cui dovrei andare a votare. Capisco che ci troviamo in una situazione difficile, che se boicottiamo il voto saremo abbandonati a noi stessi e che non abbiamo l’esperienza e la capacità che hanno i serbi della Republika Srpska. Ma davvero non mi sentirei a mio agio ad andare a votare: a questo si oppone tutta me stessa”, dice Svetlana A. (36 anni) di Mitrovica nord.

Inoltre, i casi di intimidazione danno un motivo in più agli attivisti politici per essere discreti durante la campagna elettorale. Tra gli episodi più estremi ci sono l’assalto alla moglie di uno dei candidati sindaco per Mitrovica, Oliver Ivanović, avvenuto nel suo appartamento, e l’attacco all’auto del suo avversario politico, Dimitrije Janićijević. 

Agitazione tra i serbi del nord

D’altra parte, la campagna contro le elezioni è ben visibile, a giudicare dai manifesti e dai cartelloni. A Mitrovica nord quasi tutti i manifesti del centro sono stati coperti da vistosi messaggi contro la partecipazione dei serbi alle elezioni di novembre, e sui lampioni della strada Zvečan- Mitrovica sono da un pezzo apparsi cartelli con un messaggio molto semplice: Bojkot.

Dopo che l’11 settembre scorso le autorità di Belgrado hanno sciolto i consigli comunali del nord del Kosovo, a causa della decisione dei suoi membri e dei sindaci di boicottare le elezioni, i cittadini credono che il proprio il governo e le sedi centrali dei partiti a Belgrado avranno anche questa volta un ruolo importante nell’esito del voto al nord.

Molti si aspettano che dalla capitale serba, giusto un paio di giorni prima del voto e proprio attraverso quelle istituzioni del Kosovo che ci si attende verranno chiuse subito dopo le elezioni, facciano pressione sulla popolazione perché si presenti in massa a votare e metta la croce sulla cosiddetta lista statale “serba”. I cittadini inoltre pensano che la questione già molto problematica degli individui con diritto di voto al di fuori del territorio del Kosovo potrebbe portare a brogli.

Da Belgrado giungono accuse dirette alla Commissione Elettorale Centrale del Kosovo (CIK)che vorrebbe ridurre il numero dei serbi con diritto di voto, numero che quindi non arriverebbe a includere tutte le persone con diritto di voto che vivono come profughi nella Serbia centrale. In un comunicato recente, la CIK ha dichiarato che dei 41.168 elettori registrati fuori dal Kosovo, in tutto sarebbero regolari solo 8.383.

Belgrado continua ad accusare Pristina di voler scongiurare la possibilità di un’ampia partecipazione della comunità serba alle elezioni locali. Le accuse più recenti sono giunte in occasione del divieto per i rappresentanti serbi di visitare il Kosovo durante la campagna elettorale. Il primo ministro Dačić ha allora “minacciato”, tramite i mezzi di informazione, di sospendere i negoziati dal momento che gli è stato impedito di raggiungere il Kosovo. E’ seguito quindi l’incontro della nota troika Ashton- Dačić-Thaçi, al termine del quale è stata resa pubblica la notizia che Dačić andrà in Kosovo. Dopo il sedicesimo round del dialogo tra Belgrado e Pristina all’inizio di settembre, dopo gli accordi sull’elettricità e sulle telecomunicazioni, si tratta di un ulteriore successo per la troika, da aggiungersi a quelli già ottenuti in precedenza. 

Questi stratagemmi mediatici, però, non hanno una grande presa sui serbi del nord. Nonostante i successi ottenuti in campo diplomatico a Bruxelles, la comunità serba in Kosovo percepisce chiaramente che la sua posizione e la sua unità sono state indebolite tramite i negoziati di Bruxelles. Solo per due ragioni i serbi potrebbero decidere di andare a votare: perché decideranno di dare ascolto ai funzionari di Belgrado o perché riterranno che la partecipazione al voto sia il male minore.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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