L’Europa, l’Azerbaijan e il caviale
Le recenti elezioni presidenziali in Azerbaijan, che per l’OSCE sono state probabilmente tra le peggiori mai osservate nella storia di quest’istituzione, per i parlamentari europei guidati dall’italiano Pino Arlacchi sono state libere e trasparenti. Il nostro approfondimento
La chiamano diplomazia del caviale. Dato il suo alto costo (circa 1.500 euro al kg) il caviale è da sempre un simbolo del lusso e, da qualche tempo, anche della capacità di alcuni paesi di ”far comprendere” agli altri le proprie ragioni. L’Azerbaijan è storicamente riconosciuto come uno dei produttori del miglior caviale al mondo ed anche uno dei paesi che negli ultimi anni si è distinto in questa del tutto particolare attività diplomatica.
Nel maggio 2012 il centro studi European Stability Initiative (ESI) ha pubblicato “La diplomazia del caviale, come l’Azerbaijan ha messo a tacere il Consiglio d’Europa”. Il rapporto ripercorre le tappe di un processo che avrebbe dovuto portare l’Azerbaijan vicino ai valori e agli standard democratici europei, ma che rischia invece di portare l’Europa a tacere sulle forti limitazioni ai diritti fondamentali e sull’assenza di libere e corrette elezioni in quel paese, in cambio proprio di “caviale”. Certo, precisa ESI, “non tutti quelli che hanno difeso l’Azerbaijan nella PACE [Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa] lo hanno fatto per benefici materiali. Ci sono stati altri fattori in gioco, tra cui considerazioni geopolitiche. Ma ci sono parecchie indicazioni che la corruzione abbia avuto un ruolo nel deviare la PACE dalle sue responsabilità.”
"La diplomazia del caviale – scrive ESI – è iniziata nel 2001, non molto tempo dopo che l’Azerbaijan ha aderito al Consiglio d’Europa. Si è rafforzata dopo che Ilham Aliyev è divenuto presidente dell’Azerbaijan nel 2003. Una volta che l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan è stato completato nel 2005, e le casse dello stato azero sono state inondate di proventi del petrolio, la ‘politica del caviale’ ha inserito una marcia in più”.
Il CoE cambia opinione sull’Azerbaijan
La marcia in più viene inserita alle elezioni del novembre 2005, decisive per la permanenza dell’Azerbaijan nel consesso del CoE. Infatti, tra gli standard da rispettare per far parte della più vecchia organizzazione internazionale che si occupa di diritti umani e democrazia, compare inevitabilmente il criterio di “elezioni libere e regolari”.
Ma nonostante il rapporto dell’OSCE/ODIHR sulle elezioni 2005 fosse negativo, così come quello dell’allora rapporteur del CoE Andreas Gross, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) decise di non sanzionare l’Azerbaijan. I rapporteur sull’Azerbaijan vennero ripetutamente attaccati dalla maggioranza dei membri dell’Assemblea del CoE per le loro posizioni critiche nei confronti delle elezioni azere.
Alla vigilia delle elezioni presidenziali azere del 2008 il dibattito si riaccese e contro l’allora rapportuer Andres Herkel si trovarono il britannico Michael Hancock e l’estone Kristiina Ojuland, entrambi su posizioni nettamente filo azere. L’accento del dibattito si spostò infine sul ruolo dell’OSCE/ODIHR e sulla presunta scarsa attendibilità della missione di esperti.
“Fino agli anni novanta l’Azerbaijan era considerato uno stato paria. Con il boom degli idrocarburi ha acquisito una grande importanza e, una volta capito come avvantaggiarsi del versante europeo, ha creato una lobby molto efficace e determinata”, spiega a OBC un funzionario di Bruxelles.
Illuminanti sono le parole di Lise Christoffersen relative ad una vicenda del 2009, quando la deputata norvegese fu vicina ad essere nominata co-rapporteur della PACE sull’Azerbaijan.
“Una rete per lo più nascosta, ma che di volta in volta diventa visibile, fu mobilitata per impedire la mia nomina… Vi fu la forte riluttanza dell’Azerbaijan verso la nomina di un rapporteur norvegese, e il motivo era evidente. Nelle visite ufficiali che coinvolgono i nostri due paesi, la Norvegia solleva sempre la questione delle violazioni dei diritti umani in Azerbaijan”.
Nel 2010 si svolsero le elezioni parlamentari in Azerbaijan, definite da ESI come “le più fraudolente che si siano mai monitorate in uno stato membro del CoE”. La missione dell’ODIHR, all’epoca guidata da Audrey Glover, si scontrò con la missione a breve termine della PACE e le altre due missioni sul campo, quella del PE e quella dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE, sull’esito dell’osservazione elettorale. Il risultato furono alcuni compromessi per stilare un documento congiunto cui però fecero seguito quattro differenti quanto imbarazzanti dichiarazioni alla stampa.
Ne seguirono dibattiti, rapporti e persino una petizione firmata da 19 organizzazioni della società civile azera indirizzata alla PACE e all’Assemblea parlamentare dell’OSCE. Alla fine Audrey Glover dichiarò rassegnata: “Il grado di sfiducia è tale da far sorgere la domanda: c’è un qualche valore nel continuo monitoraggio di questi paesi?”
Le elezioni del 2013
Il 9 ottobre 2013 in Azerbaijan si sono tenute le elezioni presidenziali. Grazie all’emendamento costituzionale del 2009, confermato da un referendum, che abolisce il limite di due mandati presidenziali consecutivi, Ilham Aliyev ha avuto la possibilità di ricandidarsi e ottenere con l’84.5% di preferenze il terzo mandato quinquennale per la presidenza della Repubblica. Ricordiamo che l’emendamento in questione è già stato oggetto di serie rimostranze da parte del CoE e della Commissione di Venezia per la sua dubbia valenza democratica.
La missione a lungo termine (3 mesi) dell’OSCE/ODIHR, guidata da Tana de Zulueta, ha concluso, nel rapporto molto dettagliato del 10 ottobre, che “le elezioni del 9 ottobre sono state compromesse da limitazioni alle libertà di espressione, di riunione e di associazione, che non hanno garantito la parità di condizioni per i candidati”. Posizione che è ancora in netto contrasto con quella espressa nel comunicato congiunto della missione della PACE e di quella ufficiale del Parlamento europeo, guidata dal deputato socialista Pino Arlacchi. La dichiarazione congiunta delle missioni e breve termine (4 giorni) di PACE e PE, del 10 ottobre, in sostanza rileva che “nel complesso nel giorno delle elezioni abbiamo osservato un processo elettorale libero, equo e trasparente”. Scandalo, per la prima volta le missioni non trovano un compromesso e rendono pubblici comunicati diametralmente opposti.
L’11 ottobre, in una dichiarazione sulle elezioni presidenziali azere, Catherine Ashton, alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE, e il commissario Štefan Füle non sembrano tener conto della missione del PE. Nella dichiarazione congiunta fanno riferimento ai risultati dell’OSCE ODIHR, con solo un rapido accenno alle missioni di monitoraggio PE e PACE.
Una missione imbarazzante
Una settimana dopo la tornata elettorale in Azerbaijan sale l’imbarazzo. In commissione esteri del Parlamento europeo si discute il rapporto della missione guidata da Arlacchi. Il gruppo dei verdi reagisce duramente e inoltra alla stampa un comunicato con cui critica il rapporto ufficiale della missione PE. “Il gruppo Verdi /EFA non appoggia le dichiarazioni fatte dalla delegazione del PE e ha richiesto un incontro con il capo missione dell’OSCE/ODIHR Tana de Zulueta”, afferma Ulrike Lunacek, portavoce Affari esteri del gruppo. Le fa eco ancora più duramente l’altro portavoce, Werner Schulz: “Il Parlamento europeo perde credibilità con dichiarazioni che ignorano la realtà della situazione nel paese. Un gruppo di deputati sta danneggiando la reputazione del Parlamento europeo nella lotta per i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto”.
Arlacchi sicuro di sé ribadisce la sua posizione in un’intervista esclusiva per l’agenzia azera Apa. Alla domanda della giornalista Victoria Dementyeva che chiede: “Come spiega la grande differenza di valutazioni del Parlamento europeo, PACE e ODIHR?”, Arlacchi risponde: “È molto semplice. Eravamo 66 parlamentari appartenenti a 3 differenti Assemblee – CoE, OSCE e PE. Tutti abbiamo osservato liberamente le elezioni e abbiamo avuto un’opinione positiva delle stesse. L’ODIHR è formato da un gruppo di cosiddetti esperti senza responsabilità politica, che non sono stati eletti da nessuno. Quindi è facile manipolarli. La nostra valutazione è stata fatta con grande senso di responsabilità, inoltre siamo parlamentari che conoscono le elezioni molto meglio degli esperti che vogliono solo essere sicuri di ottenere lavoro alla prossima occasione”.
Nel frattempo il presidente del gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo, Hannes Swoboda, ha preso posizione : “Il gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo prende le distanze dalle parole della missione di osservatori EP/PACE sulle recenti elezioni in Azerbaijan. Il gruppo crede che le differenze tra le conclusioni della delegazione di parlamentari e quelle dell’OSCE siano così lontane da non poter essere minimamente sostenute”.
Business list
Lo scandalo non si ferma. Scoppia il caso di parlamentari del PE che si sono recati non ufficialmente in Azerbaijan durante le elezioni del 9 ottobre. In un articolo dell’influente European Voice dal significativo titolo “I deputati devono spiegare i viaggi in Azerbaijan ”, pubblicato il 17 ottobre scorso, la questione viene portata a galla senza mezzi termini. “Una grossolana stupidità o una meschina venalità sembrano essere le uniche spiegazioni plausibili per far sì che un membro del Parlamento europeo scelga di andare a Baku come osservatore non ufficiale alla farsa delle elezioni presidenziali in Azerbaijan della scorsa settimana”. Il giornale riporta la lista (precisando che probabilmente è incompleta) coi nomi dei deputati che “pare si siano dati al turismo elettorale”. Commenta il giornale fondato dal gruppo Economist e aggiunge: “Ivo Vajgl (Slovenia), Alexandra Thein (Germania) e Hannu Takkula (Finlandia), tutti del gruppo ALDE liberale, hanno viaggiato a spese di una associazione tedesca, la Società per la promozione delle relazioni tedesco-azero, che appare come una subdola organizzazione di facciata per gli interessi del governo azero.[…] L’eurodeputata estone liberale Kristiina Ojuland è stata citata dai media azeri lodando il governo, ma si rifiuta di dire chi le ha pagato il viaggio.”
“Non c’è da stupirsi. È risaputo che vari membri del PE sono sulla ‘business list azera’. Vale a dire regali, viaggi, hotel di lusso, ecc.” ha dichiarato ad OBC una fonte che ha richiesto l’anonimato interna allo stesso Parlamento europeo. La stessa fonte non nasconde che sontuosi cesti natalizi, caviale compreso, raggiungono tranquillamente gli uffici di Bruxelles.
Il Parlamento Europeo reagisce e l’Azerbaijan lascia Euronest
La crisi delle missioni di monitoraggio in Azerbaijan divampa a soli sette mesi dalle elezioni per il Parlamento europeo. L’immagine di un pilastro importante dell’Unione europea rischia di essere messa in questione. A questo punto il Parlamento europeo reagisce, screditando indirettamente le conclusioni della sua stessa missione.
Nella risoluzione sulle Politiche di vicinato adottata il 23 ottobre dal PE passa una nota che farà parecchio infuriare il governo azero. Al punto 32 della risoluzione si legge che il Parlamento europeo “Si rammarica del fatto che, stando alle conclusioni della missione a lungo termine dell’ODIHR, le recenti elezioni presidenziali tenutesi il 9 ottobre 2013 non abbiano, nemmeno in questo caso, soddisfatto gli standard dell’OSCE, essendo state imposte restrizioni alla libertà di riunione e di espressione; chiede, in tale ottica, alle autorità azere di affrontare e attuare rapidamente tutte le raccomandazioni incluse nell’attuale relazione e in quelle passate elaborate dall’ODIHR/OSCE”.
Le reazioni azere non tardano ad arrivare. Il giorno seguente, con una lettera indirizzata al presidente del PE Martin Schulz, il deputato Elkhan Suleymanov – vicino al presidente Ilham Aliyev nonché alla guida della delegazione azera a Euronest (assemblea istituita dal PE nel 2009 che comprende oltre ai deputati del PE anche i membri dei cosiddetti partner orientali: Armenia, Azerbaijan, Georgia, Moldova e Ucraina), si lascia andare ad una replica stizzita alla nota contenuta nella risoluzione del PE.
Suleymanov accusa il Parlamento europeo di voler “creare disordini e sabotare l’Azerbaijan”, aggiungendo che forse il PE non è riuscito pienamente nel suo “piano di sabotaggio” consistente nel “trasformare l’Azerbaijan nella Libia o nella Siria”, dal momento che le elezioni sono state “free and fair”. Per questo motivo la “delegazione dell’Azerbaijan è costretta a sospendere tutte le attività all’interno dell’assemblea Euronest”. Posizione ribadita il 6 novembre scorso a Kiev durante l’incontro dell’Assemblea parlamentare Euronest.
Baku e la crisi delle missioni
Infine il 7 novembre scorso si è tenuto a Bruxelles un incontro con la responsabile della missione di monitoraggio elettorale OSCE/ODIHR in Azerbaijan, alla presenza del Democracy Support and Election Coordination Group (DEG) e dei portavoce dei gruppi della Commissione affari esteri, cioè praticamente tutti i gruppi politici parlamentari. L’incontro è stato partecipato e acceso ma non ha sortito alcuna conclusione. E’ previsto un secondo round il prossimo 12 dicembre.
Tra i numerosi interventi dei parlamentari da segnalare quello del liberaldemocratico Alexander Graf Lambsdorff. Questi infatti ha affermato di “rimanere basito di come una piccola organizzazione non governativa con sede in Germania, che si occupa delle relazioni con l’Azerbaijan, sia stata in grado di pagare il viaggio in business class e gli alberghi di prima classe a 120 persone di tutta Europa, parlamentari compresi”. Un numero veramente notevole che se confermato rende l’idea di dimensioni e capacità della cosiddetta "diplomazia del caviale".
Infine necessario dedicare anche la chiusura all’ESI, il centro studi con sede a Berlino. Il loro ultimo rapporto , uscito nei giorni scorsi, è inequivocabilmente intitolato “Caduti in disgrazia – L’Azerbaijan e la fine delle missioni di osservazione come le conosciamo”. Vi si dedicano ben sette pagine alle relazioni di svariati parlamentari con l’Azerbaijan e al lavoro di lobbying di alcune organizzazioni del tutto simili a quella indicata da Lambsdorff. ESI inoltre si interroga sulla valenza delle missioni di monitoraggio elettorali a breve termine come strumento per promuovere la democrazia.
In effetti quanto accaduto a Baku il mese scorso segna una sorta di spartiacque nelle missioni di monitoraggio. La distanza, mai prima d’ora così nettamente marcata, tra l’OSCE/ODIHR e le missioni a breve termine ha colpito la credibilità di alcune tra le più rispettate istituzioni europee. L’UE e il suo Parlamento hanno mostrato di saper reagire. Sarebbe ora necessario però che istituzioni così importanti facessero piena chiarezza su questa incredibile vicenda e si interrogassero il prima possibile sul senso delle missioni internazionali di osservazione elettorale.