Bosnia: la catastrofe demografica

I risultati preliminari del censimento dello scorso ottobre rivelerebbero una vera e propria catastrofe demografica per la Bosnia Erzegovina: dal 1991 il paese ha perduto 585.000 abitanti. Tutto il fianco orientale della Republika Srpska è diventato un vero e proprio deserto

22/11/2013, Asim Metiljević -

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(Michele Mazzoli/flickr)

(tratto da Slobodna Bosna, pubblicato originariamente il 7 novembre 2013, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)

Il nostro paese ha subito, nel corso degli ultimi vent’anni, la peggiore catastrofe demografica della sua storia. Dal punto di vista statistico, la Bosnia Erzegovina ha fatto un salto indietro agli inizi degli anni ’70: in effetti, al censimento del 1971, aveva 3,74 milioni di abitanti, numero vicino all’attuale.

Nel corso del XX secolo, nonostante le due guerre mondiali, le difficoltà economiche o le epidemie, la Bosnia Erzegovina era riuscita quasi a triplicare la propria popolazione. Secondo il censimento austro-ungarico del 1910 aveva infatti 1.898.044 abitanti. Nel 1991 erano 4.377.033. La perdita di circa 585.000 abitanti non sarà facile da colmare, anche tra cinquant’anni, dato che la crescita naturale della popolazione bosniaca è attualmente quasi nulla.

Il deserto della Republika Srpska orientale

Sono anche altri i dati interessanti che emergono dai risultati preliminari del censimento, in particolare in merito alla distribuzione della popolazione sul territorio della Republika Srpska. Un’area molto ampia, sul fianco orientale dell’Entità (gli Accordi di Dayton, che hanno posto fine alla guerra, hanno suddiviso il paese in due Entità, la Republika Srpska e la Federazione BiH, ndr), da Trebinje a Istočno Sarajevo, passando per Gacko e Kalinovik, è ormai quasi disabitata. Su 5.600 chilometri quadri, non vi sono che 134.000 abitanti… tanti quanti vivono a Novi Grad, quartiere di Sarajevo!

Con l’eccezione di Bijeljina, che ha visto la sua popolazione aumentare del 20%, grazie alla sua posizione vantaggiosa non lontana dai confini con Serbia e Croazia, tutti gli altri comuni della Republika Srpska orientale hanno visto una caduta drammatica della popolazione, molto più marcata rispetto alla parte occidentale dell’Entità.

Gli attuali sindaci dei sei comuni dell’Erzegovina orientale, da Trebinje a Kalinovik, si lamentano da tempo per la regressione demografica e per i suoi effetti sullo stato delle infrastrutture, del trasporto, dell’educazione e della sanità pubblica. Questi sindaci, tuttavia, sembrano ignorare il problema principale, e cioè il fatto che l’Erzegovina orientale è stata deliberatamente isolata da Mostar, il solo agglomerato urbano della regione ad aver conosciuto una certa crescita economica dopo la guerra.

Le virtù della decentralizzazione

L’irreversibile caduta demografica dell’Erzegovina orientale dà una prova eloquente delle falle del modello amministrativo unitario e centralizzatore adottato in Republika Srpska, e della maggiore efficacia dell’amministrazione policentrica adottata in Federazione, che raggruppa dieci Cantoni autonomi.

Il contrasto è evidente se si compara la situazione della Bosnia Erzegovina orientale con quella di Goražde, enclave all’interno del territorio della Republika Srpska. Alla fine della guerra, le previsioni annunciarono una vera catastrofe demografica per la città: secondo gli esperti gli abitanti di Goražde sarebbero espatriati in massa verso Sarajevo.

Questo non è mai avvenuto. Nonostante le previsioni, Goražde ha conosciuto dopo la guerra una vera e propria espansione economica, che ha avuto come conseguenza anche a una sua crescita demografica, con il ritorno anche di alcuni di coloro i quali avevano abbandonato la città. Goražde ha anche ritrovato una forza attrattiva nei confronti dei comuni confinanti, a maggioranza serba.

Il merito di tale crescita è da attribuire interamente all’amministrazione del governo cantonale di Goražde che, nonostante la sua penosa situazione finanziaria, è riuscita a migliorare le prospettive economiche della città. Il governo centrale di Sarajevo non sarebbe mai riuscito a farlo, come del resto avviene in Republika Srpska, dove l’amministrazione centrale a Banja Luka si rivela incapace di trovare soluzioni ai problemi concreti dell’Erzegovina orientale.

L’esempio di Goražde non è isolato: in tutto il territorio della Federazione si può constatare la realtà di uno sviluppo relativamente omogeneo, mentre in Republika Sprska Banja Luka concentra su di sé tutte le principali attività economiche.

La vitalità demografica di Sarajevo

Infine, i risultati preliminari del censimento dimostrano una certa vitalità della capitale del paese. Malgrado la partenza di numerosi suoi abitanti durante e dopo la guerra – un vero e proprio esodo collettivo nel caso dei serbi di Sarajevo e della parte più dinamica della popolazione urbana – Sarajevo è riuscita a conservare il suo primato demografico sul resto del paese. Oggi, sul territorio della vecchia Sarajevo ante-guerra, vivono 504.000 persone, 22.000 in meno del 1991.

Banja Luka, che non è stata colpita dalla distruzione della guerra e dove si rifugiarono almeno 30.000 serbi di Croazia, conta oggi 4.000 abitanti in più rispetto al censimento del 1991. E nonostante l’opinione comune pretendeva che la città avesse “almeno 300.000 abitanti”, il censimento ha mostrato che la popolazione reale resta al di sotto dei 200.000.

Gli altri risultati del censimento, in particolare quelli relativi alla struttura etnica all’interno di ciascuna regione e ciascuna città, dimostreranno anch’essi dei cambiamenti radicali. Per esempio mostreranno che non vi sono praticamente più croati in Republika Srpska e che il loro numero nei comuni dei Cantoni della Federazione a maggioranza bosgnacca è drammaticamente sceso. Allo stesso tempo questi risultati mostreranno che molto probabilmente il numero di bosgnacchi che vivono in Republika Srpska è più alto di quanto non si creda. Al contrario, il numero di serbi nella Federazione sarà certamente inferiore alle previsioni… Ma per sapere tutto questo con certezza occorre ancora aspettare un po’ di tempo.

 

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Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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