I giganti malati della Bosnia Erzegovina
I giganti dell’economia bosniaca devono fare i conti con debiti insanabili e sono a un passo dalla chiusura. La crisi riguarda anche piccole e medie imprese, sono ormai più di 60.000 i conti bloccati a causa dei debiti
La lista si fa di giorno in giorno più lunga. L’ultimo nome ad essersi aggiunto, in ordine di tempo, è stato quello delle ferrovie del paese, che versano in una situazione di caos totale: treni fermi e vere e proprie voragini di bilancio. C’entra, in parte, il pessimo stato delle infrastrutture, mai veramente recuperate dopo i danni della guerra. Ma c’entra, soprattutto, la pessima amministrazione degli ultimi anni, e la quantità di debiti accumulata dal sistema.
Secondo quanto reso noto qualche giorno fa dalla stampa locale la Federacija BiH (FBiH), una delle due entità in cui è diviso il paese, potrebbe decidere di bloccare i propri trasporti nei confronti dell’altra entità, la Republika Srpska (RS). Le ferrovie della RS hanno infatti un debito di 5,8 milioni di marchi con quelle della FBiH, e la sola compagnia ‘Gikil’, di Lukavac, che si occupa di estrazione mineraria, ha un debito di 3,8 milioni di marchi nei confronti delle ferrovie della Federazione (1 marco equivale, approssimativamente, a cinquanta centesimi di euro).
"Il sistema ferroviario è al collasso", ha infatti scritto allarmato il quotidiano Dnevni Avaz . La situazione è lungi dall’essere un caso isolato, e ricorda anzi da vicino quella di un’altra impresa di trasporti pubblici, la ‘Gras’ di Sarajevo che, a fine agosto, era stata costretta a sospendere il funzionamento dei propri tram e filobus nella capitale a causa dei debiti con la locale impresa fornitrice di elettricità, la ‘Elektroprivreda BiH’.
La ‘Gras’ è ancora oggi in una situazione disperata. A fine novembre il suo conto bancario è stato congelato per l’ennesima volta (come per altre 63.392 imprese di Bosnia Erzegovina, numero in aumento) a causa dei debiti pregressi mai pagati, che ammontano oramai a 180 milioni di marchi. Il risultato, come dichiarato dal ministro dei Trasporti del Cantone di Sarajevo , Jusuf Bubica, al sarajevese Oslobodjenje, è che "la compagnia ‘Gras’ attualmente non può permettersi nemmeno di comprare un chilogrammo di zucchero". Ogni pagamento, compresi naturalmente gli stipendi dei dipendenti, è stato sospeso.
Simboli della decadenza
La paralisi dei trasporti sottolinea quella del paese. Non esiste miglior modo per evidenziarne la decadenza, infatti, che analizzare la situazione di quelle imprese che in passato erano dei veri e propri giganti, i fiori all’occhiello dell’economia bosniaca jugoslava, e che sono oggi lasciati a marcire. Il 29 novembre scorso, la data della “festa della repubblica” nel periodo jugoslavo, in molti giornali della regione è comparso un fotomontaggio della cartina dell’ex paese con indicate le principali industrie e la scritta, eloquente: "Avete rovinato tutto".
L’accusa era rivolta alla classe politica dell’ultimo ventennio, ma potrebbe essere estesa anche alla classe imprenditoriale. Sulle ferrovie ad esempio pesano, oltre ai debiti, anche []i di gestione macroscopici: come l’operazione, in realtà un suicidio economico, con la quale le ferrovie della Federacija hanno comprato 9 locomotive spagnole di tipo ‘Talgo’, capaci di raggiungere i 240 km/h e costate la bellezza di 67,5 milioni di euro. Le locomotive, comprate allo scopo di rimodernare la rete, non sono mai state utilizzate. Le infrastrutture infatti sono troppo vecchie (in alcuni casi, risalgono a più di un secolo fa). L'[]e è costato carissimo all’amministrazione la quale – per rientrare, almeno parzialmente, della perdita – ha deciso di tentare di noleggiare i locomotori alla Turchia. Storie come quella delle ferrovie non sono, purtroppo, casi isolati. Al contrario, nell’ultimo anno, complice la difficile situazione economica, molti altri ‘colossi’ dell’economia bosniaca si sono trovati a fare i conti con il proprio eccessivo indebitamento.
È il caso, per esempio, delle autostrade. Negli stessi giorni in cui il Kosovo inaugurava il segmento della propria autostrada che collega Pristina a Tirana, le autostrade bosniache denunciavano la presenza di un buco di circa 400 milioni di marchi. La situazione è particolarmente grave perché il grosso delle obbligazioni contratte dall’amministrazione, circa l’ottanta per cento, scadrà soltanto tra pochi mesi, nell’estate 2014. Occorre quindi trovare i soldi, e occorre farlo in fretta: l’attuale amministratore della società, Ensad Karić, sta cercando di trovare dei finanziatori d’emergenza. Ma per ora, secondo il settimanale Slobodna Bosna, gli unici che si sono detti disposti a finanziare l’ammanco sarebbero i membri di una banca d’investimento ceca, la OHL, la quale sarebbe pronta a sborsare 15 milioni di euro… in cambio di un appalto, quello della costruzione per il tratto Zvirovići – Kravice, che ne vale circa 62.
Il dramma di Aluminij
Altri nomi eccellenti si aggiungono alla pagina dei necrologi economici della Bosnia Erzegovina. La Fabbrica di tabacco di Sarajevo, per esempio. O la raffineria di Brod, che ha accumulato debiti per un totale pari a dieci volte il valore del capitale societario e che, nonostante Banja Luka si ostini a definire come "uno degli esempi più positivi delle privatizzazioni compiute nel paese", non ha smesso di accumulare perdite dal giorno in cui è stata acquistata dalla russa Zarubežnjeft.
Ma con ogni probabilità, il vero colosso morente dell’economia bosniaca, quello che più di ogni altro rappresenta il tracollo dell’economia nazionale, è la Aluminij di Mostar. La compagnia è uno dei principali esportatori della Bosnia Erzegovina, ma negli ultimi anni le sue perdite si sono moltiplicate, soprattutto per la coincidenza di due fattori: il crollo del prezzo dell’alluminio sul mercato mondiale e il costo crescente dell’energia, fornita dalla Elektroprivreda HZHB, verso la quale Aluminij avrebbe ormai acquisito un debito di 19 milioni di euro.
A ottobre l’impresa ha cominciato a chiudere il proprio impianto e a fermare la produzione. La chiusura definitiva sarebbe una notizia drammatica, non solo per i 600 operai che vi sono impiegati direttamente, ma anche per l’indotto della regione, che dipende enormemente dal lavoro di Aluminij. In tutto, tra le 5.000 e le 6.000 persone rischiano il posto di lavoro, tra la Bosnia Erzegovina e la Croazia, e la fine di Aluminij rappresenterebbe un colpo durissimo a tutta l’economia erzegovese.
La chiusura di Aluminij è un esempio di quanto l’economia locale sia tenuta in ostaggio dalla politica, come sottolinea per Osservatorio Saša Kulukčija, analista politico originario di Mostar ed esperto della situazione economica della regione: "La proprietà della Aluminij è per il 44% del governo della Federacija, per un altro 44% – secondo uno schema diffuso nei paesi dell’ex Jugoslavia – dei lavoratori, e per il restante 12% è controllato dal governo croato, attraverso la TLM, un’impresa croata che opera anch’essa nel settore dell’alluminio".
Kulukčija spiega molto bene quali sono le dinamiche alla base dell’attuale crisi della compagnia, che potrebbe costare il lavoro a migliaia di persone: "I problemi tra Aluminij e l’Elektroprivreda hanno cominciato a essere insostenibili dal momento in cui i socialdemocratici dell’SDP hanno vinto le elezioni politiche nel 2010, costituendo la maggioranza anche nel governo della Federacija, attraverso la cosiddetta ‘piattaforma’. Aluminij è, da anni, controllata strettamente da un altro partito, l’Unione Democratica Croata della Bosnia Erzegovina. Normale, quindi, che tra le due imprese non scorra buon sangue, e che siano ostaggio dei giochi di potere tra i due. Per risolvere la situazione, molto probabilmente, occorrerà aspettare le elezioni del prossimo anno".