Un fumetto per raccontare l’avventura di Alexander Langer
In fondo alla speranza, di Jacopo Frey e Nicola Gobbi: la graphic novel che racconta l’esperienza balcanica del politico e scrittore sudtirolese. L’intervista agli autori di Roberto Spagnoli per Radio Radicale
Raccontare una storia con un fumetto: oggi si chiama graphic novel, ma in realtà si tratta di una forma letteraria e artistica che in Italia ha una grande tradizione, basta pensare a nomi come Hugo Pratt o Guido Crepax. Ma con il fumetto si può raccontare anche la storia, e anche in questo caso il nostro paese ha una lunga tradizione con Sergio Toppi e Dino Battaglia. E in questa tradizione di grandi storie raccontate attraverso il fumetto si può inserire In fondo alla speranza – ipotesi su Alex Langer, di Jacopo Frey e Nicola Gobbi, pubblicato da Comma 22. Un’opera che racconta l’avventura di Alex Langer, uomo politico, pensatore, militante della pace e non pacifista a ogni costo, morto suicida il 3 luglio 1995. Jacopo Frey, laureato in Storia all’università di Bologna, e Nicola Gobbi, diplomato all’accademia di Belle arti di Bologna dopo aver studiato alla scuola Comix di Iesi, con questo lavoro hanno vinto il premio Reality draws, premio promosso dall’associazione dei comuni d’Italia e dalla Presidenza del consiglio dei ministri con il comune di Ravenna, proprio per promuovere i giovani talenti del fumetto.
Com’è nata quest’idea e perché la scelta di raccontare la storia di Alex Langer?
JF: Ho iniziato a studiare il pensiero di Langer un po’ casualmente, incuriosito dalla storia dell’ecologismo politico italiano, del partito dei Verdi, e ancora prima dalla complessa stagione degli anni ’70 italiani. In questo panorama è spuntata questa figura forse di secondo piano, o perlomeno non uno dei volti che compaiono spesso nella storia politica del nostro paese. La sua figura mi ha incuriosito sia per il carattere delle sue idee sia per il percorso esistenziale. Un personaggio che ha attraversato diverse stagioni della politica italiana e dell’impegno sociale: ha iniziato nei movimenti cattolici di base per approdare poi a Lotta continua e, quando si è sciolto questo movimento, è stato in grado di rinnovarsi con le liste civiche del Sudtirolo e infine con l’ecologismo politico. In più, insieme a questo aspetto, c’è il fatto che un pensatore di questa portata venisse da una zona di confine com’era e com’è tutt’oggi il Sudtirolo. Siamo sempre stati abituati a pensatori che si muovevano nelle grandi città, trovarne uno che nasceva in una zona periferica mi ha incuriosito molto.
Il testo com’è nato? Su quali materiali hai lavorato e quanto c’è di tuo nell’elaborazione delle sue parole?
JF: Il testo nasce dalla volontà di fare un mix, di far incontrare menti diverse. Io sono partito lavorando sui testi che Langer aveva pubblicato, che si trovano oggi in diverse antologie, ma che all’epoca uscirono su una miriade di riviste fra loro molto diverse. Questo è il lascito più grande della produzione di Alex, magari non organica, ma che ci permette di raccontare diverse cose. Oltre a questo ho po lavorato con chi l’ha conosciuto. Siamo andati a intervistare alcuni suoi amici, compagni di militanza politica, familiari, e ci siamo fatti raccontare cos’era per loro Alex Langer. Partendo da questi elementi ho fatto un lavoro di fantasia. Il nostro racconto è sì una biografia a fumetti, ma anche allo stesso tempo un’opera di finzione. Noi abbiamo creato una storia di cui abbiamo reso protagonista Langer. O meglio, il nostro Langer, come poi i lettori avranno modo di scoprire. Abbiamo preso un personaggio partendo da quello che aveva lasciato come persona e come eredità politica, abbiamo costruito una storia, mettendo nei dialoghi tanto delle sue stesse parole – prese soprattutto dai suoi scritti, anche perché la sua scrittura si prestava molto al racconto, avendo uno stile di scrittura molto immaginifico – e a queste abbiamo aggiunto degli elementi che ritenevamo verosimili.
Come si lega il disegno a questo lavoro sui testi? Avete lavorato insieme?
NG: Il lavoro è andato di pari passo, soprattutto nello strutturare la storia. Quando si fanno fumetti si lavora con parole e immagini; nella strutturazione della base della narrazione, però, per me è imprescindibile dividere la narrazione dalle immagini. Sono le stesse immagini che vanno a creare la storia che si sviluppa. Poi Jacopo ha buttato giù la sceneggiatura vera e propria, da un punto di vista di narrazione, di sequenza delle immagini, che poi è il succo del fumetto come medium. Abbiamo lavorato insieme, cercando di strutturare una storia che partisse da elementi reali per ambientarli in un contesto fantastico, carico di riferimenti reali presi dall’esperienza della guerra nel Balcani. Quello che ne viene fuori, però, è una guerra archetipica, la guerra come tutte le guerre, che perseguita il nostro personaggio.
Non ci sono indicazioni di luoghi precisi, però si capisce che ci si trova in Bosnia, probabilmente a Sarajevo.
NG: Il richiamo a Sarajevo è abbastanza palese. Noi abbiamo cercato comunque di non entrare nello specifico perché non volevamo raccontare un episodio della vita di Langer ma il suo pensiero nell’arco della sua vita.
Il fumetto ha un tratto e una sequenza quasi cinematografici. La scelta del bianco e nero, giusto con l’aggiunta di qualche grigio, come si spiega?
NG: Io ho sempre apprezzato il bianco e nero nei fumetti. La forza del segno grafico per me è una potenzialità immensa che ha il fumetto. Diciamo che la scelta è stata naturale. Il grigio è invece per me una novità, e in questo tipo di ambientazione risulta funzionale. Dà un’aria un po’ autunnale.
Il racconto inizia e finisce al fondo di un pozzo: questo è legato anche a quell’”in fondo” che c’è nel titolo?
JF: Abbiamo costruito questa storia pensando sia al politico che all’uomo. La vicenda politica di Langer è stata un’esperienza bellissima ma allo stesso tempo molto dura. In particolare il nodo della guerra ha segnato Langer, come avrebbe fatto con chiunque si fosse impegnato allo stesso modo in quel contesto. È però un viaggio che purtroppo trova un fondo. L’immagine ci è stata suggerita da uno dei sui ultimi articoli, “Una voce dal pozzo”, in cui Langer – all’indomani dell’esclusione dalle elezioni comunali a Bolzano – raccontava se stesso e il suo malessere come quello di Giuseppe gettato in un pozzo dai suoi fratelli, riprendendo una parabola biblica. In questo viaggio siamo arrivati insieme al personaggio in fondo alla speranza. Nel senso che essere portatori di speranze – ancora un volta citando un suo articolo dedicato all’ecologista e pacifista tedesca Petra Kelly – è difficile, anche per via di tutte le attese che l’umanità può avere, e noi abbiamo voluto raccontarlo in questa maniera. La nostra non è una storia facile, è una storia dura, ma – rifacendomi alle tinte autunnali di cui parlava Nicola – Langer non è mai stato un uomo grigio, era il mondo che ruotava intorno a lui che viveva in un pesante autunno, un mondo in cui la primavera che lui sperava di portare non è riuscita a entrare.
Langer si scontrò anche con chi nel movimento pacifista negava in modo assoluto l’uso delle armi. Voi questa cosa l’avete trasferita nel fumetto?
NG: Questo è stato un passaggio significativo per l’esperienza di Langer e nella lotta che si era impegnato a portare avanti. Nel fumetto questo è un momento importante, perché lui rompe con i compagni con cui era partito e da lì in poi andrà avanti in solitaria. Ed è stato anche per lui un momento di dibattito interiore significativo, una lotta dentro di sé: non ha mai appoggiato un intervento armato a cuor leggero.
JF: Abbiamo voluto isolare la vicenda dal contesto del movimento pacifista italiano. Non siamo entrati nel merito della questione jugoslava perché sarebbe stato molto difficile e la nostra generazione, che quella guerra l’ha conosciuta, non riesce ad avere una propria posizione. Però ci rendiamo conto – e qui è la grande forza del pensiero di Langer – che l’importante è non fermarsi a un pacifismo gridato, ma cercare un qualcosa che si possa fare concretamente per risolvere i problemi in corso. Abbiamo voluto lanciare un sasso nello stagno e lasciare ai lettori il compito di porsi gli interrogativi.
Per voi qual è l’eredità che ha lasciato Alex Langer?
JF: Far uscire Langer dal pozzo è un po’ anche tirarlo fuori dal dimenticatoio in cui è stato posto. Langer è in realtà un personaggio di secondo piano perché non ha mai cercato, a differenza di altri, una visibilità pubblica. Lui si accontentava di un ruolo dietro le quinte, in senso positivo. Secondo me è proprio questo il grande lascito di Langer, l’insegnamento del fare e dello spendersi in prima persona nel desiderio del cambiamento.
NG: Langer è un personaggio che va riscoperto, lui non era un mestierante della politica, ma uno che faceva delle sue scelte quotidiane il suo fare politica.