Unije, in equilibrio a filo di Adriatico

Isola più esterna dell’arcipelago chersino-lussignano, Unije ha sempre messo a disposizione dei suoi abitanti risorse tanto preziose quanto limitate. Oggi l’isola, fuori dai circuiti del turismo di massa, tenta di preservare l’equilibrio delicato che ha conservato nei secoli

23/12/2013, Francesco Martino - Unije

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Unije, foto di Ivo Danchev

“Bečo, ooooh Bečo. Buono, Bečo!”. Mentre ci facciamo largo col trattorino borbottante nell’intrico di cardi e rovi, la piana di Polje, immersa nel silenzio, è inondata dal sole ancora caldo e avvolgente dell’estate che muore. Sullo sfondo, una lunga striscia candida di ciottoli calcarei: poi c’è solo il brillio tremolante dell’Adriatico, appena increspato da un alito di Bora.

La nostra attenzione però, è rapita dalla fisicità imponente del toro, che rumina libero e mansueto pochi passi più in là. Circondato da un piccolo harem di vacche e vitelli, coi suoi 1200 chili di muscoli Bečo è un esemplare solenne ed orgoglioso di bue istriano o “boscarin”, originario appunto della penisola istriana e un tempo diffuso fino al Friuli.

Bečo

Unije, Croazia - Foto Ivo Danchev

“Bečo l’abbiamo portato ad Unije nel 2011, insieme a cinque vacche e cinque vitelli. Questi due anni ci hanno convinto che la scommessa di riportare sull’isola questo animale straordinario può essere vinta”. Mentre racconta, Robert Nikolić accarezza sicuro la testa massiccia dell’animale, affacciatosi curioso sul rimorchio alla ricerca di qualche ghiottoneria.

Faccia larga e gioviale, occhi che brillano dell’Adriatico, dopo anni trascorsi in mare come capitano di lungo corso e skipper Robert ha deciso da tempo tornare sulla sua isola. Oggi è il rappresentante dell’amministrazione locale, ma anche e soprattutto l’animatore di Slow Food a Unije, l’isola più esterna dell’arcipelago chersino-lussignano, porta naturale d’ingresso del golfo del Quarnero di fronte alla punta più meridionale della penisola istriana.

Abitata almeno dall’età del Bronzo (come testimoniato dalla presenza dei misteriosi “uroboros”, arcane incisioni che rappresentano il serpente che si mangia la coda, simbolo della natura ciclica delle cose) Unije è una terra tanto affascinante quanto parca di risorse, con poca acqua e nessun porto naturale sicuro. Il mare è tutto intorno: per secoli però i suoi abitanti sono stati soprattutto contadini, grazie alla presenza della pianura fertile di Polje, ma anche delle alture calcaree trasformate in terrazzamenti per la coltivazione degli ulivi.

Un tempo il “boscarin” era indispensabile non solo come fornitore di latte e carne, ma anche come principale strumento per la lavorazione dei campi. “Ci sono innumerevoli leggende sull’intelligenza e resistenza di questi animali. Alcuni contadini giuravano di avere buoi tanto sagaci, da fare addirittura l’occhiolino a comando”, racconta divertito Robert.

La reintroduzione del “boscarin” dopo lunghi decenni di assenza dall’isola, è al centro dell’intuizione di Robert: riattivare in modo sostenibile le risorse che Unije ha sempre offerto ai suoi abitanti. “Perché l’allevamento possa camminare sulle sue gambe, dobbiamo arrivare ad una trentina di capi. Con la produzione di fieno, indispensabile nei mesi più caldi e secchi, abbiamo già chiuso il ciclo produttivo. E forse arriverà presto anche un pastore da Požega, in Croazia continentale, per prendersi cura a tempo pieno degli animali”.

Un primo successo è già arrivato: la carne dei capi allevati ad Unije è già da tempo disponibile sulla tavola di alcuni ristoranti di Lussigno, maggiore centro turistico dell’area a poche miglia da Unije. L’obiettivo, però, è più ambizioso: offrire il prodotto direttamente nei locali dell’isola.

Unije

Unije, Croazia - Foto Ivo Danchev

Torniamo in paese. Unije è l’unico centro abitato dell’isola di cui porta lo stesso nome, (che deriva dal termine greco “heneios”, campo). Le strade del paese, inondate di sole, dal mare si inerpicano verso l’alto, punteggiate di belle di giorno, macchie di rosmarino, fichi e qualche palma. Le case, che si elevano alte sui pendii dell’isola sotto l’alto campanile della chiesa di Sant’Andrea, sono racchiuse tutte o quasi da un piccolo cortile, circondato da alti muretti in pietra a secco.

Oggi gli abitanti di Unije sono appena 85, dai 783 toccati nel lontano 1921. A svuotare l’isola soprattutto l’emigrazione economica, diretta spesso oltreoceano, ma anche le dolorose e complesse vicende politiche che hanno segnato per tutto il ‘900 l’alto Adriatico, terra contesa da progetti nazionali contrapposti.

Anche il turismo, divenuto risorsa economica di massa sulla costa croata, qui è un fenomeno di dimensioni più limitate. Su tutta Unije ci sono a malapena 200 posti letto: a passare l’estate sull’isola sono soprattutto famiglie e visitatori abituali. Le poche strutture turistiche sono concentrate sulla riva affacciata sul porticciolo: due piccole locande (“Kod Jože” e “Kod Barba Ive”), un agriturismo, una piccola gelateria stagionale.

Al tempo stesso, una sfida e una situazione ideale per puntare ad uno sviluppo che riprenda i fili dell’economia tradizionale, adattandola al nuovo contesto economico e culturale. “L’altro pilastro su cui reggeva il delicato equilibrio di Unije era la coltivazione dell’olivo”, ci spiega Robert mentre ci inerpichiamo a piedi (sull’isola non ci sono automobili) sui pendii pietrosi del monte Kalk, che coi suoi 138 metri domina l’area meridionale di Unije.

“Abbiamo più di 15mila piante, oggi tutte abbandonate, soprattutto delle due varietà più adatte al nostro clima, note come ‘starovjerka’ e ‘slatka’”. Curate un tempo come veri tesori, gli olivi di Unije venivano coltivate sui terrazzamenti tanto tipici di buona parte del Mediterraneo, grazie a muretti a secco costruiti con pazienza e abilità, e qui noti come “mocire” o “gromače”. “Ora abbiamo ripulito circa 500 piante, che presto torneranno a produrre. Un piccolo, ma importante passo, per rilanciare una tradizione millenaria che rischiava di sparire per sempre”.

La festa

Il vento di Bora si fa più teso, lunghe onde fanno risuonare gli scogli bianchi che si intravedono in basso tra le fronde scure degli olivi. Il mare s’ingrossa e fa sentire la sua presenza: sembra voler ricordare che s’avvicina l’autunno, e con questo la stagione della pesca ai calamari (in croato “lignje”).

Ogni 30 novembre, da ormai sette anni, in occasione della festa del patrono il team locale di Slow food organizza la “Lignjada”, gara di pesca ai calamari a cui partecipano barche locali, ma anche ospiti dalle vicine Slovenia ed Italia.

“Il campo di gara è la costa occidentale di Unije. Un anno, in sei ore i partecipanti hanno issato a bordo 60 chili di calamari, poi mangiati sul posto a competizione finita”. Robert sorride sornione: forse già pensa alla zuppa calda dopo la giornata di pesca, al cielo cobalto che si intreccia all’orizzonte col blu metallico dell’Adriatico. “La ‘lignjada’ però è molto più di una semplice gara di pesca. Per noi è l’occasione di ricordare il legame col nostro mare, con la nostra isola. Ma anche il sottile e delicato equilibrio che ha tenuto insieme per secoli, e ancora sostiene, il destino della nostra piccola comunità”.

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