Inclini all’amore
Una storia di famiglia, lunga tre generazioni, dalla Jugoslavia inizi ‘900 alle guerre degli anni ’90. Una recensione pubblicata in collaborazione con Il Gioco degli Specchi
Un romanzo che nella sua agilità ripercorre un secolo di storia di una famiglia jugoslava lungo 3 generazioni. Milovan ai primi del Novecento parte alla volta degli Stati Uniti per fare fortuna, passando per Trieste, Vienna, Colonia, la Francia, per accumulare denaro che renda possibile sempre un passo oltre.
L’oltre sarà l’Alaska, in miniera. Ma, come leggiamo quasi subito: "Di solito le partenze sono meditate. I ritorni no. Sono creature dormienti che i migranti portano dentro di sé. Durano molto tempo i ritorni, anche tutta una vita; possono persino non consumarsi mai. Capita che non si è riusciti a diventare qualcuno nel grande mondo e non lo si vuole far sapere a casa; o mancano i soldi per il biglietto, oppure non si ha più dove tornare – il paesaggio umano è un materiale delicato, fragile, che scolora e muta con facilità, e ci rende in breve estranei ai luoghi di origine" (p. 37).
In realtà Milovan, il capostipite di quella che sarà la sua famiglia, rientrerà dopo anni di vagabondaggi a casa, quando capirà che il prezzo della migrazione è troppo altro; si sposerà e avrà un figlio, che diverrà a sua volta padre della figura femminile protagonista della seconda parte del romanzo, Arianna.
La vita di Arianna verrà sconvolta al pari del suo paese, e ancora storia personale e collettiva si incrociano. Il padre, partigiano della prima ora, verrà detenuto nella oramai tristemente nota Isola nuda, Goli Otok e le scelte – coerenti – paterne peseranno inevitabilmente sulla vita della sua famiglia.
Anche questo, al pari di un romanzo come L’isola nuda, fa riflettere su come la storia e gli uomini si accaniscano contro chi ha dato tutto per loro. Arianna scoprirà tardivamente la storia del padre, e chi legge ne verrà a conoscenza con lei, poiché la strategia individuata dall’autrice vede nell’inserimento del diario paterno, scritto durante la sua prigionia, il modo per svelare il suo passato.
E poi, in questo vortice di storia e storie, la giovane donna si rimetterà in cammino, fuori da un paese che a stento riconosce ancora, ferito dagli scontri e dai rancori. Sarà nella scrittura che ricomporrà i tanti pezzi di se stessa e in questo ci pare forse di trovare un accenno autobiografico da parte dell’autrice.
Djerković è infatti al suo esordio in lingua italiana, (aveva pubblicato in serbo due raccolte di racconti); si tratta di una scrittura sapiente e matura, che deve forse molto alla sua attività di traduttrice. Arianna ama le parole e le letture grazie al modello paterno, che ricorda sempre intento nel suo studio alla macchina da scrivere. E’ forse questa, accanto al suo sconfinato amore, l’eredità più grande che le ha lasciato.