Ankara – Yerevan, il grande freddo
Sette anni dopo l’assassinio a Istanbul del giornalista Hrant Dink, il suo sogno di una riconciliazione tra Armenia e Turchia sembra più lontano che mai
Il 19 gennaio scorso, migliaia di persone hanno marciato per le strade di Istanbul portando cartelli in turco e armeno, in commemorazione del settimo anniversario dell’omicidio del giornalista Hrant Dink. Il fatto che migliaia di persone siano scese in piazza in memoria di un giornalista di etnia armena può essere considerato un segno dei tempi che stanno cambiando in Turchia. Tuttavia, il sogno che era tanto caro a Hrant Dink, la riconciliazione tra Armenia e Turchia, oggi sembra remoto esattamente come lo era prima della sua tragica morte.
Secondo Artak Ayunts, esperto in risoluzione dei conflitti di Yerevan, a livello ufficiale le relazioni tra i due paesi sono al punto più basso dal 2007. Molti segnali indicano infatti che l’Armenia e la Turchia sono, se possibile, più distanti che in passato. Anche se i protocolli turco-armeni firmati nel 2009 non sono stati formalmente abbandonati, nessuna delle due parti li ha ratificati, ed è impossibile immaginare che lo facciano nel prossimo futuro. Nemmeno la molto pubblicizzata visita del ministro degli Esteri turco a Yerevan, in occasione del meeting Black Sea Economic Cooperation, il 12 dicembre 2013, né la comunicazione tra Davutoğlu e Nalbandyan alla riunione dell’OSCE a Kiev alcuni giorni prima, hanno sortito alcun effetto significativo.
Dopo l’incontro tra Davutoğlu e Nalbandyan a Yerevan, invece di tenere una conferenza stampa congiunta, il primo ha tenuto una conferenza stampa per i giornalisti turchi mentre il secondo ha rilasciato una dichiarazione. Oltre alle riflessioni generali, nessuna delle due parti ha espresso nuove idee. Una certa attenzione hanno suscitato le dichiarazioni di Davutoğlu, citate dalla stampa turca, in cui si riconosce che quanto accaduto agli armeni nel 1915 è stato "completamente sbagliato" e "disumano".
Tuttavia, difficilmente questo può essere interpretato come una volontà di andare oltre la tradizionale posizione di Ankara, dal momento che Davutoğlu ha subito aggiunto che l’Armenia, a sua volta, dovrebbe essere pronta a riconoscere la sofferenza dei turchi durante questi eventi. In altre parole, Davutoğlu ha ampiamente riprodotto la tradizionale visione turca, secondo cui ciò che è accaduto nel 1915 non è stato un genocidio organizzato dallo stato turco, ma piuttosto una serie di scontri etnici in cui hanno sofferto sia armeni che turchi.
Fine della diplomazia del calcio in Armenia
L’Armenia è uscita disillusa dalla cosiddetta diplomazia del calcio. La firma dei protocolli era stata un passo coraggioso per il presidente armeno Serzh Sargsyan, che aveva ricevuto molte critiche per questo. Uno dei partiti di governo, il Dashnaktsutyun, aveva persino lasciato la coalizione per questo. La reazione della diaspora era stata furiosa, e probabilmente il governo di Sargsyan non è mai stato in grado di recuperare la sua posizione tra le comunità della diaspora (ovviamente l’accordo turco-armeno non è stato l’unica causa, le accuse di corruzione e frode elettorale hanno fatto la loro parte).
Ci sono stati inoltre segni di inasprimento della posizione armena, come la proposta fatta da uno dei rappresentanti dell’esecutivo che la Repubblica d’Armenia dovrebbe cambiare il nome in Repubblica dell’Armenia orientale (cosa che implica una rivendicazione territoriale verso la Turchia). Anche se la proposta non è stata presa sul serio, ed è stata criticata anche da alcuni membri del partito di governo, è un chiaro segno di quanto il governo armeno soffra per lo stato attuale delle relazioni con Ankara.
Anche l’atteggiamento della società armena, che aveva cominciato a cambiare ai tempi della diplomazia del calcio, si sta inasprendo. Il modo in cui un incidente relativamente lieve è stato trattato dai media armeni dimostra che il pubblico armeno si è disaffezionato all’idea di un riavvicinamento alla Turchia. Hasan Oktay, un analista politico turco che ha spesso visitato l’Armenia e, si è scoperto, ha opinioni politiche nazionaliste, ha postato sul proprio profilo Facebook delle foto in cui fa il saluto nazionalista dei "lupi grigi" nella piazza centrale di Yerevan. La cosa non avrebbe creato un grande scandalo, se non fosse che nel profilo Facebook di Oktay ci sono anche sue foto in posa con il primo ministro armeno Tigran Sargsyan e il Catholicos Garegin I. Quotidiani e social network hanno duramente criticato il primo ministro e il Catholicos per aver incontrato un nazionalista radicale turco.
La Turchia e il 2015
Per quanto riguarda la Turchia, qui la questione armena non è certo una priorità per i politici, mentre la guerra civile in Siria e lo scandalo corruzione continuano ad occupare i titoli dei giornali. Tuttavia, una cosa costringe il governo turco a richiamare l’attenzione sulla questione armena: il 2015 sarà il centesimo anniversario dello sterminio degli armeni nell’Impero Ottomano. Si tratta di una data di grande significato simbolico, e le comunità della diaspora armena si stanno preparando per un’energica campagna volta al riconoscimento del genocidio.
Secondo lo storico Tigran Zakaryan, il governo turco può utilizzare due possibili strategie per contrastare gli effetti negativi dell’anniversario del genocidio. Una è continuare a fare ciò che la Turchia fa da decenni, rispondendo alla campagna di sensibilizzazione della diaspora armena con il suo lobbying e contro-propaganda. Un’altra strategia possibile è riconoscere alcuni episodi di violenza contro gli armeni, e anche esprimere rammarico per alcuni di questi, per dimostrare che la Turchia ha fatto i conti con il proprio passato, senza però riconoscere le uccisioni del 1915 come genocidio.
Probabilmente, dice Zakaryan, la politica turca combinerà elementi di entrambe le strategie. Tuttavia, a parte la sfida esterna presentata dalla diaspora armena, il governo turco avrà anche a che fare con l’atteggiamento sempre più scettico nei confronti della narrazione ufficiale espresso da vari gruppi all’interno della società turca. La questione del riconoscimento del genocidio rischia così di provocare parecchi mal di testa al governo turco nei prossimi mesi, fino all’aprile del 2015.