Romania: lo stigma sulle madri migranti

In Romania esiste un forte flusso migratorio al femminile. Il sacrificio che le madri affrontano per aumentare il benessere delle loro famiglie e dei loro figli viene però spesso tradotto in patria in un discorso morale che le stigmatizza accusandole di abbandonare la prole

18/02/2014, Cristina Bezzi -

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A partire dagli anni ’90, a seguito del collasso del sistema socialista e al rapido impoverimento della popolazione dovuto alla ristrutturazione politica, all’adozione di politiche economiche neoliberiste e allo smantellamento dello stato sociale socialista, si è assistito in Italia ad un crescente flusso migratorio proveniente dai paesi dell’Europa dell’Est ed in particolare dalla Romania.

La comunità romena in Italia, che nel 2011 contava 1.072.342 persone residenti, si sta sempre più stabilizzando, ciò nonostante continua a permanere un flusso migratorio caratterizzato da una certa circolarità che vede rientrare in Romania coloro che sono partiti più tardi o chi, come nel caso delle “badanti”, è partito con un progetto volutamente temporaneo.

Richiamate anche da una crescente domanda nel settore del lavoro di cura dovuto ad un progressivo invecchiamento della popolazione in Europa, molte donne romene sono partite per cercare lavoro come assistenti famigliari, lasciando a casa i propri figli e famiglie. Donne provenienti da contesti rurali o in cui le possibilità d’impiego sono rare e scarsamente remunerate, hanno trovato attraverso la migrazione una possibilità di migliorare le proprie condizioni e quelle delle loro famiglie.

Rapporti di genere

La migrazione delle donne ha determinato anche grossi cambiamenti nei rapporti di genere all’interno delle coppie mettendo in discussione la struttura della famiglia patriarcale e la tradizionale divisione dei ruoli al suo interno. Molte donne hanno infatti abbandonato il loro abituale ruolo di cura assumendo quello di principale sostento al reddito familiare, prerogativa riservata precedentemente ai loro mariti.

Questo cambiamento di ruoli ha determinato anche l’insorgere di una forte stigmatizzazione sociale e un discorso di condanna nei loro confronti. La loro partenza viene spesso percepita come causa di una possibile rottura della famiglia e il loro comportamento come spregiudicato nei confronti dei figli che, secondo questa visione, verrebbero “abbandonati”.

La studiosa romena Foamete Ducu, che si è occupata di analizzare le modalità con cui viene praticata la maternità transnazionale, ossia attraverso i confini degli stati, ha notato come in Romania la discriminazione delle donne avviene sia a livello micro, all’interno delle comunità di appartenenza, sia a livello macro, attraverso la costruzione di una percezione sociale negativa nei loro confronti alimentata in particolare dal discorso mediatico.

La studiosa continua mostrando come nei numerosi casi da lei analizzati in diversi paesi rurali della Romania non si possa parlare di abbandono. Le madri infatti, nonostante la distanza, continuano a mantenere una relazione educativa ed affettiva con i figli, la cui cura viene però affidata ad altri membri familiari, come nonni, sorelle, cugine che in questo modo contribuiscono a sostenere la migrazione delle donne. Questa stessa pratica era peraltro molto diffusa nei contesti rurali anche prima del processo migratorio, quando a causa degli insufficienti servizi destinati alla prima infanzia i figli venivano affidati alle donne inattive all’interno della famiglia.

La rapida crescita della disoccupazione, seguita al collasso delle industrie di stato, ha avuto effetti pesanti sull’identità maschile, costruita in gran parte attorno alla realizzazione lavorativa, ed ha condotto spesso ad un incremento dell’alcoolismo e della violenza familiare.

Nonostante ciò a seguito della femminizzazione del flusso migratorio anche la figura paterna è stata chiamata ad assumersi un ruolo più attivo nei confronti dell’educazione dei figli, sebbene spesso con il sostegno di altre figure. In questo modo, come nota Foamete Ducu, l’uomo riesce a mantenere all’interno della coppia un certo potere anche se non rappresenta più il principale sostenitore finanziario della famiglia.

La stigmatizzazione sociale delle madri migranti

Negli ultimi anni, in Romania, il tema dei bambini left behind, è diventato un tema mediatico scottante che ha destato scalpore in particolare a causa di casi di suicidio di minorenni i cui genitori erano all’estero per lavoro. Se da una parte il suicidio di un minorenne rappresenta in se stesso un importante allarme sociale, dall’altra ricondurre le cause di questo gesto unicamente alla lontananza della madre risulta azzardato.

I toni enfatici utilizzati dai media romeni, ma anche internazionali, spesso hanno contribuito a creare una percezione negativa dei genitori migranti, in particolare delle madri e a rappresentare i bambini left behind unicamente come vittime.

Un articolo del New York Times relativo ad uno di questi suicidi, ha suscitato l’interesse di una studiosa sociale che da anni si occupa di analizzare il caso delle donne migranti filippine e dei loro figli left behind, Rhacel Salazar Parreñas, professoressa presso la University of Southern California.

La sociologa ha criticato l’articolo che descrive la migrazione delle donne romene come una “tragedia nazionale”, causa del collasso della famiglia e dello stato di abbandono di numerosi bambini left behind, rappresentati come bambini con difficoltà psicologiche che in diversi casi sono arrivati a compiere l’atto estremo del suicidio.

Parreñas osserva come le madri migranti, anche nel caso romeno, vengano ingiustamente accusate di abbandono dei figli, fenomeno che si ripete allo stesso modo nei confronti delle donne filippine e, come osservano altri studiosi, in altri paesi dove è presente una forte migrazione femminile quali Moldavia, Polonia e Ucraina.

Secondo le interpretazioni dell’autrice, mentre queste donne, all’interno del processo di trasformazione sociale degli ultimi decenni, cercano di ricostruire la loro maternità attraverso la migrazione lavorativa, le loro società di origine resistono a questa trasformazione sociale continuando a forzare il ruolo della donna all’interno di una ideologia che le relega nella sfera domestica.

Bambini left behind, quale approccio?

Il fenomeno dei bambini left behind in Romania, così come in altri paesi dell’est Europa e del mondo rappresenta una questione a cui è necessario accordare urgente attenzione. Risulta però fondamentale evitare toni paternalistici e ricordare che alle spalle di questi bambini ci sono numerose famiglie che hanno scelto la migrazione come strategia per far fronte alla trasformazione politica, sociale ed economica che ha coinvolto il loro paese.

Il distacco tra madri e figli, soprattutto in società dove la madre riveste il ruolo principale nell’accudimento, ha dei costi sociali ed emotivi enormi. Questo fattore deve però essere letto all’interno del più ampio contesto di trasformazione, a più livelli, che sta avvenendo all’interno di queste società.

Le condizioni di vita dei bambini left behind, inoltre, variano molto a seconda del background familiare di partenza e non necessariamente queste peggiorano a seguito della migrazione del genitore. I bambini che possono contare sulla solidarietà dei legami della famiglia allargata risentono in misura minore il distacco dal genitore la cui migrazione risulta funzionale ad un miglioramento delle loro condizioni di vita. I casi di forte disagio sociale ed emotivo dei bambini, non sono determinati unicamente dalla partenza del/dei genitore/i, ma da una concomitanza di fattori preesistenti la loro migrazione quali: povertà economica ed emotiva, alcoolismo dei genitori, famiglie disgregate e caratterizzate da legami deboli.

E’ importante dunque riflettere sul fenomeno dei left behind evitando la stigmatizzazione di quelle madri e genitori che hanno deciso di migrare per sostenere le proprie famiglie ma analizzando in quali forme queste famiglie transazionali possano essere sostenute a livello nazionale ed europeo, favorendo e non ostacolando la loro mobilità così come sostenendo l’unità e il ricongiungimento familiare.

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