Elezioni in Serbia: l’SNS vuole tutto
A meno di due giorni dalla tornata elettorale del 16 marzo, la campagna ha toni infuocati. Come da pronostici l’SNS di Vučić farà man bassa di voti con la possibilità di ottenere oltre il 40% di consensi. L’opposizione è divisa più che mai e non ha la forza di contrastare l’egemonia dei progressisti
Lo scorso weekend, a sette giorni dalle elezioni, Vučić non ha esitato a calcare la mano accusando, in un’intervista rilasciata ad una tv serba, il Partito democratico (DS) di essere estremista e pronto ad usare la violenza. La sera stessa, il tabloid Informer ha pubblicato in prima pagina che i servizi segreti serbi hanno informato il governo che agenti stranieri e magnati locali starebbero preparando un colpo di stato in Serbia “secondo lo scenario bosniaco”.
E non è un caso che uno degli slogan che caratterizzano la campagna del Partito progressista serbo (SNS) recita: “O Vučić o i tycoon”.
Questi messaggi politici di Aleksandar Vučić non fanno altro che portare maggiore polarizzazione all’interno della società serba. Tuttavia tutto ciò dà i suoi risultati, perché l’insoddisfazione attuale e la paura del futuro sono ormai diventati i sentimenti dominanti della maggior parte degli elettori che cercano una via d’uscita nell’attuale potere, e quindi nell’SNS. I sondaggi sull’opinione pubblica condotti da prestigiose agenzie durante gli ultimi dieci giorni confermano che Vučić e il suo partito potrebbero ottenere persino il 45 percento di voti.
Una vittoria così schiacciante porterebbe l’SNS alla possibilità di ottenere da solo la maggioranza dei 250 posti in parlamento. A quanto pare Vučić crede che l’escalation della campagna e i messaggi radicali lanciati ultimamente possano portarlo a raggiungere quest’obiettivo. Nel futuro esecutivo potrà anche lasciare spazio a qualche piccolo partito di opposizione, ma questo non significa affatto che abbia davvero l’intenzione di condividere il potere e che lasci le decisioni importanti a qualcun altro.
Non vi è quindi spazio per una vera sorpresa elettorale anche perché l’opposizione è spaccata e sta conducendo una blanda e poco convincente campagna elettorale. L’SNS ha un totale controllo sui media e questi ultimi osano raramente pubblicare testi critici che mettono in dubbio l’azione del partito di governo. Opinioni diverse sono invece molto diffuse su internet, cioè su alcuni portali, blog e social network, ma questo non potrà avere un’influenza decisiva sull’elettorato.
L’opposizione senza idee
L’SNS è arrivato al potere più di due anni fa, sconfiggendo il Partito democratico (DS) che fino ad allora era stato al potere, e che dopo la caduta del regime di Slobodan Milošević è stato uno dei pilastri del nuovo esecutivo. Vučić aveva capito che la maggior parte della popolazione era insoddisfatta delle riforme attuate sino ad allora, che la gente viveva male e che voleva un cambiamento. Come oggi, anche allora la sua campagna era stata condotta all’insegna di un parallelo tra i suoi oppositori e la criminalità, e Vučić aveva promesso che avrebbe fatto le riforme e sradicato la corruzione.
Appoggiandosi saldamente a slogan populisti, l’SNS e Vučić negli ultimi due anni sono riusciti praticamente a spaccare il DS che nel frattempo si è diviso in due blocchi opposti: uno guidato dall’ex presidente del partito ed ex presidente della Serbia Boris Tadić, che ha formato il Nuovo partito democratico (NDS), e il nucleo del partito guidato da Dragan Đilas. Entrambi i partiti entreranno in parlamento ma, secondo i risultati dei sondaggi condotti finora, possono contare soltanto su poco più del 10 per cento di voti a testa.
Il DS e gli altri partiti che hanno contribuito alla caduta del regime di Slobodan Milošević hanno provato a sfruttare il fatto che l’anniversario dell’omicidio del premier Zoran Đinđić (assassinato il 12 marzo 2003) praticante si sovrappone alle elezioni. Ogni anno il 12 marzo circa 20.000 persone marciano nel centro di Belgrado in ricordo del premier defunto. Quest’anno alla camminata commemorativa hanno però partecipato meno persone rispetto agli altri anni, ciononostante l’opposizione, già divisa e sulla difensiva, può comunque essere soddisfatta, quanto meno perché ha mostrato di poter contare su una discreta forza di coesione.
E’ difficile tra l’altro immaginare una possibile collaborazione fra DS e NDS anche dopo le elezioni visto che l’NDS di Tadić ha già fatto sapere che forse potrebbe entrare in coalizione con Vučić, mentre il DS di Đilas rifiuta categoricamente questa possibilità. Dentro il DS si ritiene che Tadić abbia formato il nuovo partito, se non sulla base di un accordo diretto, quanto meno su suggerimento dell’SNS, per escludere anche la possibilità puramente teorica che il blocco dei partiti che era al governo dopo la caduta di Milošević conquistasse di nuovo la maggioranza.
Se anche dovessero ottenere più voti di quelli indicati dai sondaggi, difficilmente DS e NDS insieme potrebbero arrivare a più del 25 percento. Il loro partner potenziale, almeno per quel che riguarda le principali posizioni politiche, potrebbe essere il Partito liberale democratico (LDP) di Čedomir Jovanović, ma quest’alleanza non è possibile in parte a causa dei disaccordi fra questi tre partiti, e in parte per il fatto che nemmeno l’LDP ha escluso la possibilità di entrare in coalizione con l’SNS.
L’LDP dal canto suo è sull’orlo del quorum di sbarramento per entrare in parlamento (5%) e potrebbe accadere che rimanga fuori se l’affluenza alle urne dovesse essere bassa. Qualche possibilità in più di entrare in parlamento lo ha il Partito democratico della Serbia (DSS), forza politica molto conservatrice e nazionalista, dell’ex premier Vojislav Koštunica, ma è un partito storicamente impermeabile al minimo compromesso, motivo per cui difficilmente riesce a trovare partner di coalizione. Gli altri partiti di opposizione per ora sono sotto il quorum, ma potrebbe accadere che alcuni di loro comunque entrino in parlamento.
I partner potenziali
Il Partito socialista della Serbia (SPS) del premier Ivica Dačić, nonostante la forte campagna che i media vicini all’SNS gli stanno facendo contro, sta mantenendo la posizione. Secondo i sondaggi potrebbe ottenere persino il 15 percento di voti. I collaboratori più stretti di Dačić sono accusati di corruzione e di legami con la criminalità serba, ma il premier uscente evita in modo palese di attaccare l’SNS, temendo rappresaglie ancora più forti.
Dačić ritiene che potrebbe essere di nuovo partner di colazione nel prossimo governo serbo. Evidentemente Vučić è ben consapevole di ciò e le accuse mosse a persone vicine a Dačić di avere legami con la criminalità sono un’arma efficace per rendere l’SPS più propenso all’ubbidienza. Dunque, se anche dovessero entrare nella compagine di governo, l’SPS e il suo leader dovrebbero accettare una piena sottomissione all’SNS e a Vučić.
Il trattamento che ha ricevuto l’SPS durante la campagna è una chiara illustrazione del clima politico che in questo momento vige in Serbia. Manca un serio dibattito pubblico sulle principali questioni politiche, e tutto viene ridotto alla possibilità di imporre le proprie prese di posizione attraverso i media e varie forme di influenza dell’opinione pubblica. L’elettorato reagisce a tale atteggiamento proprio come desiderano i suoi artefici. I sondaggi hanno dimostrato che il rating dell’SPS era in discesa nel periodo delle pesanti accuse di collusione con la criminalità, ma che migliorava appena la pressione dei media diminuiva.
Grazie a tale atmosfera Vučić può presentarsi davanti agli elettori con alcuni semplici messaggi politici, senza articolarli: la scelta è tra lui e i tycoon; il DS è un partito estremista; soltanto l’SNS può efficacemente fare le riforme in Serbia.
Non ha mai nemmeno dovuto spiegare nel dettaglio che strategie di riforme abbia in mente, mentre l’opposizione spaccata non è in grado né di smentirlo in modo efficace, né di imporre una propria strategia. La valutazione di Vučić secondo la quale gli elettori sono pronti a chiudere un occhio sul fatto che da più di due anni, quanto è durato il governo dove lui è stato vice premier, non ci sono stati sostanziali cambiamenti né nell’economia né nelle riforme della pubblica amministrazione sembra dimostrarsi più che vera.