Slovenia: cancellati, riconosciuto il danno

Sono passati più di venti anni da quando i cosiddetti "cancellati", cittadini ex jugoslavi eliminati dai registri anagrafici della Slovenia, hanno iniziato la loro battaglia. Solo di recente Lubiana ha riconosciuto il loro numero effettivo. Ora in base ad una sentenza della Corte di Strasburgo dovrà risarcirli

17/03/2014, Stefano Lusa - Capodistria

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Cancellati - Fabrizio Giraldi

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha sentenziato che la Slovenia dovrà pagare un risarcimento complessivo di 240.000 euro a sei cittadini ex jugoslavi, che vivevano nella repubblica, per i danni materiali che hanno subito a causa della loro cancellazione dal registro dei residenti. La corte, nel giugno del 2012, aveva concesso ai sei uomini un risarcimento di 20.000 euro a testa per i danni morali subiti e aveva dato a Lubiana sei mesi di tempo per risolvere con loro la diatriba per i danni materiali, ma non se n’è fatto nulla e così la questione è nuovamente passata nelle mani dei giudici.

Come nascono i cancellati

Ma andiamo con ordine. La vicenda nasce con il processo d’indipendenza del paese. Nella federazione oltre ad essere cittadini jugoslavi lo si sera anche delle repubbliche. Quest’ultima categoria appariva del tutto ininfluente, almeno sino alla dissoluzione della Jugoslavia.

Lubiana promise che a coloro, con cittadinanza delle altre repubbliche, che lo avessero voluto, sarebbe stata concessa la cittadinanza slovena. Nelle nuove leggi sulla cittadinanza e sugli stranieri però venne fatto saltare un emendamento che avrebbe concesso il diritto di residenza anche a coloro che non avrebbero fatto direttamente domanda di cittadinanza slovena.

Il 26 febbraio del 1992, a poche settimane dal riconoscimento internazionale della repubblica, oltre 25.000 persone vennero cancellate dal registro dei residenti, che a quel punto divennero clandestine a tutti gli effetti. Quell’operazione venne condotta dai solerti funzionari del ministero degli Interni in un clima di consenso sociale altissimo e senza che ci fosse nessuna reale solidarietà nei confronti di coloro che da un giorno all’altro si videro privati di tutti i loro diritti. Si credeva che queste persone avessero avuto la possibilità di ottenere la cittadinanza e quindi di continuare tranquillamente a vivere nella repubblica, ma non avevano voluto coglierla.

In realtà quel 26 febbraio nessuno, o quasi, ebbe la percezione che qualcosa fosse cambiato, nemmeno i cancellati si resero conto di quello che era loro accaduto. Poterono condurre tranquillamente le loro esistenze finché non erano costretti ad espletare qualche semplice pratica.

Aleksandar Todorović

Aleksandar Todorović, che divenne il simbolo della lotta per i diritti dei cancellati, scoprì di non essere più iscritto nel registro dei residenti nel 1993, quando andò ad iscrivere sua figlia appena nata all’anagrafe. La solerte funzionaria gli chiese i documenti e li distrusse davanti a lui, poi si rifiutò di scrivere il suo nome sul certificato di nascita della bambina, che risultò figlia di padre ignoto.

A quel punto Todorović cominciò la sua battaglia. Ben presto si rese conto che non era l’unico a trovarsi in quella situazione, fondò un’associazione ed iniziò una guerra senza quartiere, legale e morale, tra lo scherno generale e qualche attestato di solidarietà. Per anni si espose in prima persona, mise persino in atto uno sciopero della fame davanti allo zoo di Lubiana per dire che gli animali avevano più diritti dei cancellati. Fu una vera e propria spina nel fianco per le autorità e per l’opinione pubblica slovena, costretta a dover prendere atto, suo malgrado che era stata messa in atto una palese violazione dei diritti dell’uomo.

Consumato dalla sua battaglia, bersaglio di aggressioni verbali e persino fisiche è morto suicida poche settimane fa. Immediatamente, Marko Štrovs, un viceministro del primo governo Janša ha cinicamente commentato, su Twitter, che Todorović è stato nuovamente cancellato dal registro della popolazione residente in Slovenia.

In tribunale

Sta di fatto ci sono voluti anni prima che la Corte costituzionale sentenziasse che la cancellazione era illegale. Da quel momento la classe politica slovena si è trovata tra le mani un problema che probabilmente avrebbe preferito non risolvere e di cui avrebbe preferito non parlare.

Solo nel 2003, quando Lubiana oramai era praticamente nell’Unione europea, iniziarono ad arrivare i primi moniti dal Consiglio d’Europa, ma la questione era oramai diventato un terreno di scontro in politica interna.

Nel 2004 la legge che avrebbe dovuto (almeno parzialmente) chiudere la questione, approvata con i voti del centrosinistra, venne bocciata grazie ad un referendum promosso dal centrodestra. L’allora astro nascente della politica slovena, il post comunista Borut Pahor, che ricopriva la carica di presidente del parlamento, all’epoca, si dimenticò di chiedere l’ammissibilità costituzionale, che avrebbe portato probabilmente ad una bocciatura del referendum.

Per arrivare ad una svolta si dovette attendere che al ministero degli Interni arrivasse la giovane leader demoliberale Katarina Kresal. Con un certo dinamismo e non curandosi troppo delle critiche, comunicò, prima, che il numero esatto dei cancellati non era di 18.000, ma di oltre 25.000 e poi mise in atto una serie di azioni legislative e amministrative che andarono a buon fine e che regolavano la questione dal punto di vista burocratico. Quello che, invece, la Kresal non fece fu toccare il capitolo dei risarcimenti per i danni subiti a causa della cancellazione.

I suoi detrattori, comunque, non mancarono di sottolineare che avrebbe mandato in bancarotta la Slovenia e che il paese avrebbe dovuto pagare ai cancellati somme stratosferiche.

Imposizione europea

Ad imporre e Lubiana di risarcire i cancellati però ci ha pensato la Corte europea per i diritti dell’uomo, che in pratica ha concesso, sommando danni morali e materiali, 230 euro di risarcimento complessivo per ogni mese vissuto da cancellato. In questo periodo, l’esecutivo sloveno, con tutta la calma che ha contraddistinto l’azione dei vari governi in questa vicenda, ha elaborato uno schema che prevede un risarcimento forfettario di 50 euro, che potrebbe triplicarsi in caso di ricorso in tribunale. Per i cancellati è troppo poco.

Ora lo scontro è tutto sulla lettura della sentenza di Strasburgo. Per il ministro degli Interni Gregor Virant la decisione dei giudici sarebbe in linea con lo schema di risarcimento approntato dal suo esecutivo, mentre per i cancellati il Tribunale europeo ha concesso indennizzi ben più cospicui.

Sta di fatto che i cancellati non si arricchiranno e che comunque, come ha fatto capire la figlia di Todorović, il danaro non potrà compensare la vita serena che lei e sua madre avrebbero potuto passare in tutti questi anni con suo padre.

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