La Serbia nella morsa della crisi ucraina

"Detto metaforicamente, un elefante è entrato in soggiorno e non si può far finta di niente". Sempre più difficile per la Serbia mettere in pratica la sua politica volta ad avvicinarsi a Bruxelles senza però mai scontentare Mosca. Un’analisi

17/04/2014, Dragan Janjić - Belgrado

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(foto Earth Touch

L’accelerazione subita dalla crisi in Ucraina ha bruscamente messo in questione la strategia di politica estera della Serbia, basata sul desiderio di entrare a far parte dell’Unione europea pur mantenendo buone relazioni con Mosca.

Con la crisi in Ucraina l’UE è arrivata infatti ad un duro confronto con la Russia e questo spinge inesorabilmente la Serbia a doversi esprimere sull’Ucraina con la stessa voce di Bruxelles o quanto meno con parole simili. Una mossa diversa non danneggerebbe in modo irreparabile il processo di euro-integrazione, ma di sicuro lo renderebbe più lento e faticoso.

Osservata dal punto di vista formale, per la Serbia la questione centrale collegata all’Ucraina è quella del Kosovo. Belgrado avrebbe in questo senso interesse a sostenere l’Ucraina e a contrastare la separazione della Crimea. Tuttavia ciò facendo entrerebbe in netto contrasto con la Russia. La Russia a sua volta è sempre stata contraria all’indipendenza del Kosovo ed ha sempre appoggiato la Serbia al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma poi in Ucraina ha agito seguendo altri principi.

Sia la Russia che l’Occidente, ognuno con le proprie argomentazioni, affermano che il Kosovo e la Crimea non sono la stessa cosa. Alla Serbia aggrada però di più il punto di vista di Mosca secondo il quale il Kosovo non ha il diritto di separarsi dalla Serbia. In Occidente invece si riconosce il diritto all’autodeterminazione del Kosovo ma non quello della Crimea.

Da che parte stare?

La Serbia si trova ora a dover dichiarare apertamente da che parte sta. Appartiene all’Europa solo geograficamente oppure condivide il progetto politico europeo senza riserve? Una questione difficile da dirimere per il governo in cui domina il Partito progressista serbo (SNS) del premier in pectore Aleksandar Vučić, soprattutto se si tiene presente che oltre la metà degli elettori di questo partito non è incline ad accettare le richieste di Bruxelles rispetto all’Ucraina, mentre coltiva evidenti simpatie per la Russia e il popolo russo.

Detto in modo esplicito: sul piano della politica interna non è ancora stato preparato il terreno per modificare la politica estera della Serbia e questo è un notevole fattore di limitazione per Vučić. Oltre a ciò, la Russia è un importante partner economico della Serbia e le aziende russe possiedono praticamente il monopolio del gas e del petrolio nel paese. Sono tutti elementi a cui Belgrado deve prestare attenzione se vuole limitare i danni di un possibile “tsunami politico” portato dai lampi della crisi ucraina.

In Serbia continua ad essere tacitamente in vigore quindi la posizione secondo la quale sul fronte internazionale non si deve fare nulla che possa essere interpretato come una mossa contro la Russia, ma Belgrado, nonostante la situazione critica, ha oggettivamente ancora un po’ di spazio di manovra. Perché partendo dalla frontiera con l’Ucraina sino a Londra la Serbia è l’unico potenziale amico su cui la Russia può contare, cosa che può essere sfruttata come vantaggio strategico. Mosca cerca un “sostegno attivo”, mentre la Serbia per ora offre solo un atteggiamento passivo con uno sporadico e tiepido sostegno della posizione russa. E potrebbe andare avanti così, a meno che Vučić e il suo partito non decidano di fare un ulteriore passo verso Bruxelles.

Le sfide della Serbia

L’SNS e il futuro premier Vučić saranno in grado di vincere questa sfida? La risposta è semplice: la vinceranno se riusciranno a seguire la strategia di Bruxelles anche nel momento in cui non saranno completamente d’accordo con essa. In caso contrario, la Serbia resterà una sorta di isola circondata da membri dell’UE e della NATO. È del tutto possibile che l’SNS e Vučić siano realmente intenzionati a cambiare le cose, ma ancora non riescano a  distanziarsi nettamente dalla retorica populista basata sull’”amicizia con tutti”, dietro la quale non c’è alcun piano chiaro ed elaborato, né tanto meno una stima reale delle sue possibili conseguenze.

La posizione in cui la Serbia si è trovata con la crisi ucraina sarebbe complicata anche per uno stato molto più grande e con maggiore stabilità economica. Detto metaforicamente, un elefante è entrato in soggiorno e non si può far finta di niente. Belgrado per ora si comporta come se non vedesse l’elefante, continuando a ripetere che desidera buone relazioni con tutti e che spera che questo atteggiamento venga compreso da Bruxelles, Washington e Mosca.

La prima dura prova per la Serbia è stata la votazione, la scorsa settimana, di una risoluzione con cui l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (CoE) ha tolto il diritto ai deputati russi di votare presso il CoE e di operare nei suoi organi dirigenti fino alla fine della sessione 2014, cioè fino alla fine dell’anno. Il governo serbo, almeno a giudicare da quanto riportato dai media, non ha dato un’indicazione chiara ai deputati serbi presso il Parlamento del CoE su come votare, e questi lo hanno fatto in modo vario, in base agli orientamenti propri o del partito di appartenenza.

Due deputate del partito di opposizione DS (Partito democratico), Nataša Vučković e Vesna Marjanović, così come il deputato del partito Unione delle regioni serbe (URS) Vladimir Ilić, hanno appoggiato la risoluzione, mentre i deputati degli altri partiti serbi hanno votato contro o si sono astenuti. Il voto di tre deputati a favore della risoluzione contro la Russia ha sollevato una piccola bufera politica in Serbia. Nataša Vučković ha risposto affermando di non aver adottato una posizione anti russa ma bensì una posizione filo serba e che sia lei che la Marjanović hanno tenuto conto del fatto che la Serbia debba tutelare il principio dell’integrità territoriale.

I media vicini al potere hanno criticato i tre deputati e lo stesso hanno fatto la maggior parte dei partiti politici. Da notare però che nei loro confronti non si è scatenata alcuna campagna stampa dei media vicini al governo e questo porta alla conclusione che Aleksandar Vučić si trattenga dal suscitare l’insoddisfazione di Bruxelles e che, almeno per ora, non ritiene che il comportamento delle due deputate vada bollato come tradimento degli interessi nazionali.

Un nuovo concetto di politica estera

La votazione all’Assemblea parlamentare del CoE ha fatto emergere una questione che la politica serba evidentemente non ha ancora metabolizzato. Le due deputate del DS, in sostanza, hanno appoggiato la posizione di Bruxelles ritenendo che la Serbia appartenga all’Europa e che debba seguire gli orientamenti generali di Bruxelles se desidera diventare davvero membro dell’UE. La loro spiegazione ufficiale sulla necessità di difendere il principio dell’integrità territoriale della Serbia sembra, in questo contesto è dettato più dal doversi difendere dall’opinione pubblica che da vero convincimento.

I primi spunti per l’inevitabile cambio di rotta nella politica estera serba sembrano quindi arrivare dal Partito democratico, ora all’opposizione. Ma anche all’interno di quest’ultimo il voto di Vučković e Marjanović ha causato un acceso dibattito. Molti tra i funzionari del partito lo hanno ritenuto avventato ed hanno sottolineato che la Serbia dovrebbe adottare una posizione univoca pur sottolineando ormai la necessità di cambiare rotta nella politica estera.

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