Slovenia: la bufera dei 4 giorni

Dopo poco più di un anno termina il premierato di Alenka Bratušek dopo che quest’ultima esce sconfitta da Zoran Janković al congresso di Slovenia Positiva. Politica slovena nel caos e a giugno o in autunno probabili le elezioni anticipate

02/05/2014, Stefano Lusa -

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Titanic, Willy Stöwer, 1912

Sono bastati quattro giorni per cambiare la politica slovena e per poter profetizzare che i prossimi anni saranno all’insegna dell’ingovernabilità. La prima spallata l’ha data Janković che è tornato alla guida di Slovenia Positiva e che ha così aperto le porte alle elezioni anticipate.

Il controverso sindaco di Lubiana era stato pescato dal cilindro del centrosinistra, per evitare che i Democratici, dell’altrettanto controverso Janez Janša, conquistassero una maggioranza schiacciante dopo la squallida prova offerta dal governo di centrosinistra guidato da Borut Pahor. Janković, però, non ha solo arginato Janša, ma lo ha anche sconfitto. L’idea che un personaggio, di cui spesso e volentieri si sottolineano le origini serbe, andasse a guidare il governo fece trasalire il centrodestra, ma, a dire il vero, creò qualche malumore anche nel centrosinistra sloveno.

Alla fine Janković, con il suo fare da manager, non ce la fece a fare il governo e Janša si riprese in parlamento quello che gli elettori gli avevano tolto.

Il suo governo durò un anno e fu segnato da riforme, scontri ideologici e proteste di piazza. A condannarlo fu un rapporto della Commissione anticorruzione che puntò il dito su di lui e anche su Janković. Il risultato fu che Janša perse la guida del governo, mentre Janković dovette lasciare le redini del suo partito ad Alenka Bratušek, per consentire la formazione di una nuova maggioranza di centrosinistra.

Bratušek sconfitta

La Bratušek è andata avanti per poco più di un anno. Formalmente ha guidato un partito e un governo di cui non è sembrata mai avere il controllo assoluto. Janković si è ben guardato dal consegnarle definitivamente le redini del partito, anzi ad un certo punto ha deciso che se lo sarebbe ripreso, anche a costo di una crisi di governo. La Bratušek, inizialmente, ha preferito evitare il confronto e rimandare, finché ha potuto, il Congresso del partito, ma poi, non ha potuto evitare la resa dei conti.

Com’era ampiamente prevedibile, venerdì scorso il premier è uscito sconfitto dal congresso di Slovenia Positiva. Nulla hanno potuto illustri commentatori e politici che hanno invitato il partito a dare la presidenza alla Bratušek per evitare crisi di governo in un momento in cui si registravano i primi timidi segnali positivi per l’economia slovena. I suoi alleati di governo avevano, infatti, da tempo annunciato che non sarebbero rimasti nell’esecutivo se a capo del partito fosse tornato Janković.

La Bratušek, con la stizza propria di una prima donna offesa, ha subito sbattuto la porta e se ne è andata da Slovenia Positiva. Con sé ha portato circa la metà del gruppo parlamentare. Adesso dovrà decidere cosa fare con i suoi alleati. La scelta sembra essere tra le elezioni anticipate a giugno o dopo la pausa estiva, magari accorpandole con le amministrative di ottobre. Bisognerà vedere che calcoli faranno i suoi alleati e soprattutto quanto vorranno correre immediatamente al voto. Gli unici, al momento a trarne vantaggio, potrebbero essere i Socialdemocratici, che alle ultime politiche si videro soffiare una fetta consistente di voti da Slovenia Positiva.

Arrivano i Patria

Forse però i tempi del voto potrebbero essere accelerati. Lunedì è arrivata la sentenza definitiva sul caso di corruzione che ha visto coinvolto l’ex premier Janez Janša. La vicenda riguarda la fornitura di blindati finlandesi all’esercito sloveno. Per lui 2 anni di carcere per tangenti. Il simbolo della democratizzazione e della guerra d’indipendenza, ovviamente, è andato su tutte le furie. Con i suoi legali promette battaglia in Slovenia ed anche alla Corte europea per i diritti dell’uomo. In ogni modo gli ulteriori ricorsi potrebbero non fermare la sua incarcerazione che potrebbe avvenire prima dell’estate. Janša non ha mancato di presentarsi di fronte ai giornalisti con alle spalle l’insegna del tribunale militare jugoslavo che negli anni Ottanta lo aveva condannato al carcere, provocando una generale sollevazione in Slovena e quella del tribunale che ha appena emesso la sentenza.

La sua teoria e quella dei suoi uomini è semplice: la condanna non è che un altro tassello del perpetuo gioco di discredito della sua figura e del suo partito, che si ripete alla vigilia di ogni elezione politica. La sentenza, quindi, viene letta come un complotto ordito dalle forze legate alla vecchia nomenclatura di partito con l’aiuto delle toghe rosse. Bisognerà vedere se gli altri partiti di centrodestra riusciranno a trarre vantaggi da questa vicenda o se tutta questa storia non farà che rafforzare la figura di Janša e del suo partito.

In un paese dove su Janša e sulle vicende che lo coinvolgono appare impossibile discutere serenamente va detto che i tempi dello scandalo dei blindati è effettivamente stranamente conciso con quello delle elezioni e che la sentenza emessa si basa su una serie di prove indiziarie.

Tutto, quindi, potrebbe far credere che in Slovenia starebbero andando in scena intrighi di palazzo degni della serie televisiva House of Cards, ma va detto anche che guardando ai protagonisti di queste vicende, sembra difficile trovare qualcuno che possano avere l’acume di Frank Underwood.

Quello che appare chiaro, invece è che in pochi anni agli occhi dei cittadini la politica e le istituzioni appaiono di giorno in giorno più screditate. A volte la sensazione è quella che se la classe politica slovena si fosse trovata sul ponte del Titanic si sarebbe messa a litigare in maniera furibonda sulla musica da far suonare all’orchestra mentre la nave stava affondando.

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